Nell’impegno politico-istituzionale e mediatico il monopolio acquisito dalla pandemia virale, con connesse logistiche vaccinali e a fronte di avversioni e di effetti collaterali indesiderati, espone a rischi simmetrici e maggiori: l’oblio, forse inconsapevole, delle forme cliniche di pandemie non virali ancor più estese e gravi che da molti decenni attanagliano sempre più da vicino ogni popolazione, nessuna esclusa.
Francesco Domenico Capizzi *
Nell’impegno politico-istituzionale e mediatico il monopolio acquisito dalla pandemia virale, con connesse logistiche vaccinali e a fronte di avversioni e di effetti collaterali indesiderati, espone a rischi simmetrici e maggiori: l’oblio, forse inconsapevole, delle forme cliniche di pandemie non virali ancor più estese e gravi che da molti decenni attanagliano sempre più da vicino ogni popolazione, nessuna esclusa.
La battaglia contro il Covid, con i suoi effetti devastanti, non deve liberare alcuna Istituzione pubblica e privata dal senso di responsabilità, nell’emergenza virale sopita, verso le galoppanti malattie cronico-degenerative e neoplastiche, anzi dovrebbe risvegliarla per la loro azione dimostratasi fortemente aggravante sul decorso clinico della malattia da Covid -19 con esiti infausti fino al 50% dei casi (ISTAT, ISS 2021).
È del tutto corretto porre l’obbiettivo prioritario di vaccinare in fretta tutta la popolazione, oggi come nel futuro, ma quest’obbiettivo non deve disgiungersi da strategie socio-sanitarie e sociali rivolte all’abbattimento preventivo primario delle malattie cronico-degenerative e neoplastiche che, trascorsa l’emergenza attuale, continueranno a gravare sulla normale attività clinica in misura del 75-80% mentre riempiono Trattati medico-chirurgici e Attività accademiche.
La loro definizione biologica si fonda su differenziazioni cellulari, in larga parte d’origine ambientale e legate a stili di vita, che conducono ad evoluzioni cliniche ed esiti imprevedibili nonostante le vaste esperienze medico-chirurgiche e la disponibilità di sofisticati apparati tecnologici e farmacologici.
Soffermiamoci a volo d’uccello sulle neoplasie che rappresentano la malattia per eccellenza, il corollario della modernità e dell’era del progresso tecnologico e scientifico, parola quasi mai pronunciata, ma appena sussurrata e indicata da circonvoluzioni verbali e da ammiccamenti suggestivi… Per inciso, le malattie cronico-degenerative, si stima, riguardano circa un quarto della popolazione italiana, ma il loro decorso è abbastanza “discreto” e si prolunga e si diluisce nel tempo generando meno fragore.
Nonostante l’azione chirurgica possieda le caratteristiche del trattamento locale, a volte con un’efficacia parziale, continua ancor oggi a rivelarsi, comunque, la migliore delle terapie oncologiche esistenti: la Chirurgia oncologica – radicale, curativa, riduttiva, palliativa – pur nell’era biotech e con i limiti imposti dalla preponderante biologia neoplastica, possiede un ruolo centrale strategico nel trattamento dei tumori solidi: delle circa metà delle guarigioni, i due terzi sono attribuibili al solo intervento chirurgico, un terzo alla combinazione chirurgia-terapie adiuvanti, soltanto il 2-3% agli effetti cito-riduttivi delle sole terapie adiuvanti.
L’essenza positiva dell’azione chirurgica risiede, sostanzialmente, in due fattori legati fra loro: il primo di tipo anatomo-topografico, su cui la chirurgia fonda la propria azione, con la rimozione programmata della sorgente di cellule tumorali e di eventuali loro migrazioni e diramazioni; il secondo di tipo biologico, sostanziato da un’auspicata inversione del rapporto di forza esistente nel conflitto tumore-ospite e nei successivi intenti terapeutici spesso multidisciplinari.
Allo scopo di ottenere la condizione anatomo-patologica di assenza radicale di neoplasia l’azione chirurgica mette in atto la rimozione intera dei tessuti neoplastici; nella medesima direzione si muove l’asportazione del complesso ghiandolo-linfatico regionale, potenziale sede di localizzazione metastatica. È intento della Chirurgia, infatti, raggiungere l’assenza macro-microscopica di tessuti neoplastici (Ro, N0, Mo) nel corso dell’intervento ed evitare la permanenza di residui microscopici e macroscopici (R1, R2, N1, N2, M1). La persistenza residuale isto-anatomo-patologica conferisce all’intervento chirurgico un significato palliativo non avendo raggiunto l’R0.
Si tratta, naturalmente, di convenzioni nosologiche empiriche che non possono tener conto di cellule già disseminate, per loro natura occulte, e dell’eventuale presenza di iceberg neoplastici, viciniori o distanti dalla sede d’origine, che permangono criptici sul piano morfologico e del quadro diagnostico-clinico a causa delle minute dimensioni e per la relativa insufficienza insita nei mezzi d’indagine che tendono, in generale, a sotto-stimare la situazione reale pre- intra- e post-operatoria.
Si seguono protocolli diagnostico-terapeutici codificati, si applicano modelli collaudati di tecniche chirurgiche che, tuttavia, possono non fornire risultati soddisfacenti rispetto alle attese relative allo stadio clinico e all’impegno professionale profuso: la filiera di esami diagnostici strumentali, per quanto sofisticata ed innovativa, può risultare approssimativa nonostante lo studio clinico ed anatomo-istopatologico.
Ecco perché il tumore deve essere considerato una malattia d’organismo piuttosto che d’organo ed ecco la ragione fondamentale della possibile inefficacia dell’azione chirurgica, la più potente fra gli arsenali clinici di cui la Medicina dispone nella lotta contro il cancro, troppo spesso frantumati dall’invisibile iceberg biologico-neoplastico.
In queste constatazioni risiedono le motivazioni che rendono insufficiente il solo metodo diagnostico-terapeutico adottato comunemente nella lotta contro i tumori, nonostante l’introduzione di tecnologie avanzate nelle diverse fasi diagnostico-terapeutiche, comprese le vie d’accesso chirurgiche mininvasive laparoscopiche e toracoscopiche e robotizzate che garantiscono alcuni vantaggi, ma all’interno dei soliti limiti dell’azione chirurgica. Queste tecniche mininvasive producono, in definitiva, risultati complessivi eccellenti nella patologia non neoplastica, migliorativi nella oncologica per quanto attiene il superamento della malattia postoperatoria e la convalescenza, ma pressoché inefficaci sul tempo libero da tumore.
L’entusiasmo suscitato dalle nuove tecnologie, e dai risultati conseguenti in termini di minore invasività psico-fisica, non contribuisca ad offuscare la strada che conduce alle origini basilari della malattia per eccellenza. Ancora va ribadito che, senza sminuire il valore della prevenzione secondaria (diagnosi precoce), alla prevenzione primaria (salubrità ambientale, modi di produrre e consumare e consapevoli aggiustamenti degli stili di vita, ecc. www.smips.org) va rivolta la strategia principale, per la reale difesa della salute nella lotta contro il cancro da tanti dichiarata e combattuta quotidianamente, anche con tanta dedizione, generosità e passione, ma con risultati complessivi non soddisfacenti.
Francesco Domenico Capizzi
* Già docente di Chirurgia Generale nell’Università di Bologna e direttore di Chirurgia generale negli Ospedali Bellaria e Maggiore di Bologna