Oggi bisogna provare a considerare il paesaggio ligure ,in particolare quello terrazzato, in relazione a tutte le sue componenti,che ne possono determinare una attenzione particolare e diversa.
di Danilo Bruno

Qui però vorrei porre l’attenzione su costruzioni, caratterizzanti in particolare l’area del ponente ligure anche se simili edifici sono segnalati pure nella zona di Arenzano e poi nell’area di Genova per ridursi gradualmente nel Levante, che vengono denominate “caselle” o casui,supenne,cabanne,…a seconda dei dialetti locali.
Si tratta di particolari costruzioni in pietra a secco, che si ritrovano in tutto il bacino del Mediterraneo ed erano utilizzate probabilmente per il ricovero del bestiame o di persone ed attrezzi agricoli. Sul sito del Centro Studi Ponentini (http://www.centrostudiponentini.it) si trova una efficace descrizione, che trascrivo per maggiore comodità:
“…la forma e le dimensioni di queste costruzioni sono quelle dettate dalle necessità che derivano dall’ubicazione e dalle esigernze colturali del sito. Genralmente hanno la pianta circolare, ma ve ne sono anche a pianta ellittica, quadrangolare, abisdata e , in qualche raro caso, a sviluppo irregolare.


La descrizione tecnica introduce una tipologia costruttiva fortemente legata probabilmente all’origine ad un tipo di economia pastorale ma poi integratasi nell’uso con la vita quotidiana tanto che si trovano caselle pure negli oliveti o addirittura come apertura nelle terrazze coltivate o come punto di possibile sosta lungo antichi sentieri (es. quella in rovina esistente e studiata anche dal sottoscritto sull’antica strada Alto- Garessio) così come esse si ritrovano facilmente in ambiente
montano sia ad Alto che a Caprauna per non parlare delle Bories provenzali o di quelle tuttora esistenti a Brusio in Valle Poschiavo proprio a ridosso della Ferrovia del Bernina per poi comparire un pò in tutta Italia ma con particolare frequenza nella zona pugliese anche con caratteri diversi.

Se poi vengono ben osservate si possono trovare analogie con i nuraghi sardi, piuttosto che altre tipologie costruttive per spiegare come le caselle rappresentarono un importante fenomeno di unificazione socio- culturale oltreché una singolare ed estesa modalità costruttiva.
Su questo fenomeno vi sono state alcune analisi (Issel nel 1908 su Liguria Preistorica, Nilde Vassallo nel 1959 sulla Rivista Ingauna Intemelia) importanti per la segnalazione
del fenomeno ma sostanzialmente di carattere preliminare così come sono state quelle condotte da Bianco in Alto agli inizi del secolo e in collaborazione con il Gruppo Terre Alte del CAI dal Laboratorio di Antropologia Storica e Sociale delle Alpi Marittime (LASA), diretto dal sottoscritto nell’ area Albenga – Loano, che fornirono sicuramente dati quantitativi dal punto di vista numerico, importanti riflessioni sulle tipologie costruttive ma pochi elementi sulla loro origine e sulla loro persistenza culturale nel tempo.

Oggi le caselle rimangono comunque una importante testimonianza culturale del passato agro – pastorale delle nostre zone e delle relazioni non altre aree del Mediterraneo.
Esse sono interessate da importanti percorsi trekking oltre a veri e propri sentieri come l’Anello
delle caselle del Monte Carmo ma dovrebbero entrare nella coscienza collettiva come componente del paesaggio da conservare in misura uguale a quella dei muretti a secco.

Si tratterebbe infatti in primo luogo censire e studiare percorsi idonei affinché simili opere siano conosciute e visitate prima che il tempo le rovini definitivamente.
Nel contempo esse possono costituire un elemento decisivo per una riappropriazione del territorio e costituire insieme ai terrazzamenti uno degli elementi per una adeguata conservazione e valorizzazione del paesaggio.
Danilo Bruno