Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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INTERVISTA/ Rosa Elisa Giangioia. Cultura vissuta e insegnata. La natia Ceva, il papà alla Piaggio. A Genova seguace del ‘metodo-natura’. Il fascino e il cristianesimo di don Balletto. L’ultima idea: Le ricette nel tempo


La prof. Rosa Elisa Giangoia si è dimostrata, ed è sempre stata, donna di cultura, carattere e tensione ulteriormente accentuati in lei ora che le arridono più ore disponibili, ossia più tempo, dopo la giubilazione dall’insegnamento. Senza finanziamento alcuno, ma soltanto con personale impegno e fatica, persegue la promozione della cultura ligure, in particolare quella letteraria e poetica.

di Gian Luigi Bruzzone

La prof. Rosa Elisa Giangoia

Anima di iniziative, capace di coinvolgere parecchi appassionati ed anime nobili: la vera cultura non può essere egoista, bensì espansiva, desiderosa di donare, di comunicare. La precipua dote dell’essere umano consiste per l’appunto nel partecipare agli altri la propria esperienza, la propria esistenza…

Gentile Prof. Rosa Elisa, la sua famiglia non è originaria della Liguria, non è vero?

Sono venuta a vivere a Genova dal Piemonte nell’infanzia e devo dire che il mio cuore è da sempre legato a entrambe le regioni. Il mio primo impatto con Genova non è stato positivo. Quando sono arrivata la città presentava ancora vistosi e drammatici segni dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale con molti palazzi sinistrati e mezzi da sbarco bellici abbandonati sulla spiaggia per cui mi spaventai molto, dato che fino ad allora ero vissuta in Valsusa in un tranquillo e grazioso villino con un giardino pieno di rose, amorosamente curate da mio nonno paterno.

Ma non sono nata in quella bella valle, dove poi ho trascorso tante estati di villeggiature, ma a Ceva, in provincia di Cuneo. È una lunga storia, determinata dagli spostamenti avvenuti in Italia, fin dai primi del Novecento, con lo sviluppo industriale. Infatti sia i miei nonni paterni che materni erano approdati in Valsusa dal Monferrato, a seguito della prima vigorosa industrializzazione della valle dovuta alla produzione di energia idroelettrica, poi mio padre si era trasferito alla Piaggio, che prima della Vespa, produceva carrozze ferroviarie a Finale Marina, in provincia di Savona, da dove lo stabilimento dovette sfollare per i bombardamenti a Ceva, dove appunto sono nata; poi gli uffici sono stati trasferiti a Genova e anche noi siamo approdati definitivamente in città. Ceva e soprattutto la zona delle Alpi Marittime l’ho frequentata dopo che mi sono sposata, perché con mio marito siamo andati per molti anni a sciare a Prato Nevoso. Ora, rimasta sola, ci vado solo occasionalmente… 

Vuole parlarci dei suoi studi? Quali insegnanti le hanno impresso nell’animo una lezione durevole, calatasi nella sua volontà? un possesso per sempre, giusta la nota definizione dello storico greco.

I miei studi sono stati normali e regolari per quegli anni del dopoguerra che andarono presto verso la ripresa economica del nostro paese: liceo classico al D’Oria, laurea in Lettere Classiche e Diploma di Perfezionamento in Filologia Classica all’Università di Genova. Poi, molto studio per gli esami di abilitazione e di concorso, allora davvero impegnativi, ancora con la prova scritta di composizione in latino! Non ho avuto insegnanti, né al liceo né all’Università, che mi abbiano particolarmente segnata, ma posso dire che la mia più autentica e profonda formazione culturale è avvenuta al di fuori della scuola, allora troppo nozionistica, rigida e severa.

Le figure che più hanno avuto incidenza per me sono state il domenicano padre Enrico di Rovasenda e soprattutto don Antonio Balletto, prima vincenziano, poi sacerdote secolare, negli anni Sessanta del secolo scorso “pendolare” tra Genova e Albenga, dove il suo ricordo è ancora molto vivo, anche perché in quella cittadina, dopo la sua morte (2008) è stata accolta, per l’intelligente disponibilità dell’allora sindaco Antonello Tabbò, la sua amplissima biblioteca che per me e per molti miei coetanei costituiva in gioventù un’attrattiva fortissima e un’occasione speciale di approfondimento culturale. Don Balletto, negli anni problematici della contestazione giovanile e del rinnovamento conciliare della Chiesa, ci ha orientati verso un cristianesimo più aperto e spiritualmente profondo rispetto al rigido dogmatismo del tempo e ci ha aperto molte strade per conoscere e meglio comprendere la letteratura, la pittura e la musica… Poi è venuta la stagione, purtroppo troppo breve, della sua direzione della casa editrice Marietti e il coinvolgimento di noi giovani in questa avventura… 

Poi ha iniziato a insegnare?

Sì, appena laureata. Ho sempre insegnato nel triennio dei licei, iniziando negli anni della contestazione, talvolta dura, anche violenta, poi a poco a poco la scuola in Italia è andata modificandosi, più per l’impegno personale di tanti docenti che per le riforme ministeriali, non sempre opportune e fruttuose. 

Sì è impegnata molto nell’insegnamento?

Insegnare mi è sempre piaciuto tanto, soprattutto perché  amavo gli autori classici e italiani che dovevo insegnare, per cui cercavo di coinvolgere i miei allievi in questa mia passione letteraria. Fin dai primi anni sono entrata in contatto con molti colleghi, miei coetanei, con cui si è cercato di portare innovazioni e miglioramenti nella scuola, soprattutto attraverso l’attività del CIDI (Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti), presente in molte città italiane che, con l’organizzazione di convegni, corsi di aggiornamento, esperienze seminariali e pubblicazioni, ha cercato di svecchiare la scuola e introdurre nuove opportunità e metodologie didattiche. 

Di quali ambiti di innovazione didattica si è occupata in particolare?

Essenzialmente di due: introdurre la lettura degli autori contemporanei nella pratica scolastica, fino agli anni Settanta ancora fissa entro un canone arretrato, e rivedere le metodologie della didattica delle lingue classiche. 

Ci può illustrare qualche esperienza concreta?
Per quanto riguarda la conoscenza degli autori contemporanei devo ringraziare molto l’allora Assessore, prima della Provincia di Genova e poi della Regione Liguria, Maria Paola Profumo con cui ho collaborato per molte occasioni di incontro tra studenti e scrittori come Edoardo Sanguineti, Sebastiano Vassalli, Elio Pagliarani, Fulvio Tomizza, Dacia Maraini, Attilio Bertolucci, Giorgio Caproni, poi nella creazione dei Parchi Letterari, dedicati a scrittori liguri (Eugenio Montale, Italo Calvino e Giorgio Caproni) e per la pubblicazione di una serie di volumetti con testi di autori, italiani e stranieri, ispirati a varie località della Liguria.

Il mio impegno per la revisione della didattica delle lingue classiche è nato dalla constatazione della scarsa efficacia del tradizionale insegnamento col metodo grammaticale-traduttivo che, dopo molti anni di studio del Latino e del Greco, non consentiva ai ragazzi di leggere con autonomia e disinvoltura i testi degli autori, ma al massimo di tradurre, con il supporto del dizionario (e quasi sempre con fatica) un breve testo. Ho cercato informazioni su eventuali altre metodologie didattiche e sono venuta in contatto con Luigi Miraglia, fondatore e presidente dell’Accademia Vivarium Novum, allora a Montella, ora a Frascati, e quindi del “metodo-natura”, ideato ed elaborato nei suoi manuali, sulla linea della Lingua Latina per se illustrata, dal linguista danese Hans Henning Ǿrberg che ho incontrato in varie occasioni. Sono così entrata in rapporto con colleghi di altre città (soprattutto della Lombardia e del Veneto) che seguivano questo stesso metodo e ho potuto fare interessanti esperienze a scuola, anche se, come tutte le innovazioni, anche questa, che prevedeva un uso vivo e attivo delle lingue classiche, ha incontrato ostacoli e difficoltà burocratiche, nonostante il metodo portasse buoni risultati, come ho cercato di dimostrare negli anni in cui ho collaborato con l’Università per i corsi della SISS, e sia poi stato caldeggiato da parte del Ministero della Pubblica Istruzione, proprio per i buoni esiti di apprendimento.

E poi è venuta la pensione…

Sì, abbastanza presto arrivarono i quarant’anni anni di servizio, prima che il governo Monti allungasse il periodo di lavoro, e avendo io iniziato ad insegnare molto giovane…

Ma forse da allora il suo impegno per la letteratura è aumentato…

Ha ragione! Prima avevo pubblicato solo qualche manuale scolastico, tre romanzi (In compagnia del pensiero nel 1994, Fiori di seta nel ’98 e Il miraggio di Paganini nel 2005), una silloge di poesie (Agiografie floreali, 2004) e vari contributi di didattica, poi ho potuto dedicarmi liberamente e intensamente alla letteratura e sono nate tante belle esperienze. Prima di tutto l’Associazione Culturale Il gatto certosino, fondata nel 2009, con relativo blog, per creare relazioni di amicizia attraverso la letteratura, nell’ambito dell’interessantissima esperienza dell’associazione (e relativo sito) BombaCarta, promossa dal gesuita padre Antonio Spadaro. Per dieci anni abbiamo fatto tante cose: presentazioni di libri, pubblicazioni, convegni, incontri, laboratori, festival, oltre alla pubblicazione della newsletter LETTERA in VERSI, giunta ormai al 77° numero…, poi tutte le iniziative in pubblico si sono dovute fermare per la pandemia, ma non manca certo la speranza di poter riprendere. Nel mentre, grazie all’iniziativa del magistrato e poeta Guido Zavanone, che ha radunato un gruppo di critici e scrittori liguri, è iniziata, nel 2009, la collaborazione con la rivista SATURA e poi, dal 2015, l’autonoma pubblicazione di XENIA che ormai mi impegna sempre di più, ma è anche occasione di soddisfazioni e di contatto e scambio con tanti scrittori e appassionati di letteratura in Italia e all’estero. 

Ormai questa è la sua occupazione principale?

Sì, insieme alla Fondazione Guido e Giovanna Zavanone, essendone diventata presidente dopo la scomparsa di Guido Zavanone nel 2019, con l’aiuto del vice-presidente Stefano Verdino e dei consiglieri Adriano Sansa e Lucilla Lijoi. 

Qual è la finalità di questa Fondazione?

Lo studio e la valorizzazione della produzione letteraria, soprattutto in poesia, dalla seconda metà del Novecento in Liguria e nel basso Piemonte, anche perché Guido Zavanone era nativo di Asti e ha voluto essere sepolto nella tomba di famiglia nel cimitero di Mombello Monferrato. 

Cos’ha fatto finora questa Fondazione? Che progetti ha per il futuro?

Avendo iniziato la sua attività, purtroppo, con lo scoppio della pandemia, finora si sono potuti solo pubblicare tre libri: il romanzo Le salmonelle a Rado, lasciato inedito da Guido Zavanone, Nel solco del verso. Le carte di Guido Zavanone, curato da Lucilla Lijoi e da me, che raccoglie tutta la bibliografia su Zavanone, oltre a carteggi, testimonianze e ricordi, e Dodici poeti liguria (1960-2020), curato da Anna Sansa, che ricostruisce una mappa all’interno della fitta attività poetica in Liguria, tramite brevi monografie e antologie degli autori più significativi. Al momento abbiamo in stampa un altro libro, curato da Stefano Verdino e da me, di testimonianze, memorie e saggi su Camilla Salvago Raggi che continua la sua ormai lunghissima attività letteraria nella sua dimora di Campale, vicino a Ovada.

Ma anche lei, dopo la pensione, ha pubblicato nuovi libri…

Sì, due raccolte di poesie (Sequenza di dolore e La vita restante), il testo teatrale (Margaritae  animae ascensio (2014), ispirato alla figura di Margherita di Brabante resa immortale dal gruppo scultoreo di Giovanni Pisano, e il romanzo Febe. Dal tempo all’eterno che mi ha impegnata molto, perché ha richiesto un’intensa ricerca storica.

Ma ha scritto anche alcuni testi un po’ particolari che si potrebbero definire di “gastronomia letteraria”…

Quell’interesse è iniziato a scuola, per divertire un po’ i miei studenti. Abbiamo incominciato a leggere delle ricette di Apicio, a rilevare qualche spunto culinario nella Divina Commedia… Così poi è nato il mio A convito con Dante, ripubblicato come Sapori danteschi, in cui si evidenziano appunto i cenni a momenti conviviali il cui approfondimento sovente chiarisce certi punti della Commedia, e poi Magna Roma, un’antologia di ricette di Apicio. Lavorando in questo ambito mi sono resa conto che i ricettari di cucina possono considerarsi un genere letterario imperituro, senza soluzioni di continuità dall’antica Grecia a oggi, così mi sono dedicata alla ricerca in questo campo ed è venuto fuori il mio recente Ricette nel tempo. I ricettari di cucina come genere letterario. 

È soddisfatta della sua vita così dedicata alla letteratura?

Direi di sì! Ho sempre potuto occuparmi di quello che mi piaceva di più, sia a livello professionale, avendo insegnato le mie predilette materie letterarie, sia nell’attività personale, in ambito creativo e critico. 

Ritiene di aver avuto una vita felice?

In senso generale, io e tutti quelli della mia generazione, abbiamo avuto indubbiamente una vita più felice, qui in Europa, rispetto alle generazioni precedenti, non avendo dovuto patire guerre o altri gravi sconvolgimenti. In ambito personale, si desidererebbe sempre ottenere qualcosa di più, per cui l’importante è avere la saggezza di accontentarsi e godere di quello che si ha con senso della misura.

Grazie, Prof. Rosa Elisa, per aver risposto alle mie domande. Ex corde Le auguro giorni sempre sereni, che le Sue iniziative possano procedere alla grande, e che “Xenia” sia maggiormente conosciuta.

Gian Luigi Bruzzone


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