Albenga, Viaggio nella bellezza. Il patrimonio sommerso. Un museo sul fondo del mare. In onda Lunedì 4 gennaio 2021, alle 21:10, su Rai Storia. Con Cosimo Costa, Presidente dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri; Barbara Davidde, archeologa – Istituto Centrale per il Restauro; Valeria Li Vigni, Soprintendente del Mare della Regione Sicilia; Francesca Oliveri – archeologa, Soprintendenza del Mare, Fabio Pagano, direttore del Parco Archeologico dei Campi Flegrei; Gianni Ridella, Esperto di artiglierie navali; Piefrancesco Talamo – Direttore del Museo Archeologico dei Campi Flegrei; Simon Luca Trigona, archeologo subacqueo – Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Genova e le province di Imperia, La Spezia e Savona; Giuliano Volpe, archeologo, ordinario di Metodologia della ricerca archeologica all’Università di Bari
SINOSSI BREVE (Ecco il link per il trailer del programma. ……………): Un viaggio alla scoperta dello straordinario patrimonio sommerso nei nostri mari. Un vero e proprio museo liquido, pieno di tesori. Le meraviglie della città sommersa di Baia. La storia della nave di Albenga, la più grande nave oneraria romana rinvenuta nel Mediterraneo. Il satiro danzante di Mazara del Vallo, capolavoro della statuaria in bronzo greca, rinvenuto nelle profondità del Canale di Sicilia. E l’incredibile scoperta dei rostri navali della battaglia delle Egadi, nell’isola di Levanzo, dove i romani sconfissero i cartaginesi ponendo fine alla prima guerra punica. Pagine affascinanti della grande avventura dell’archeologia subacquea, disciplina che proprio in Italia ha visto la sua nascita negli anni ’50 del secolo scorso, grazie al lavoro di un pioniere come Nino Lamboglia. E che ha trovato nell’archeologo siciliano Sebastiano Tusa, scomparso nel marzo del 2019 nel tragico incidente aereo dell’Ethopian Airlines, un altro grande interprete di caratura internazionale.
Credits: scritto e diretto da Marta Saviane ed Eugenio Farioli Vecchioli, consulenza scientifica di Luca Peyronel. videomaker Stefano Stefanelli, Pierluigi Braca.
SINOSSI ESTESA: Un viaggio alla scoperta dello straordinario patrimonio sommerso nei nostri mari. Un vero e proprio museo liquido, pieno di tesori. Questa puntata di “Italia, viaggio nella bellezza” offre agli spettatori un’immersione nelle profondità del mare.
BAIA SOMMERSA – A pochi metri dalla superficie incontriamo le meraviglie della città sommersa di Baia, la lussuosa località di villeggiatura scelta dall’aristocrazia e dagli imperatori romani, sprofondata nel mare a causa del bradisismo dell’area dei Campi Flegrei.
È uno dei luoghi simbolo dell’archeologia subacquea italiana. Area marina protetta dal 2002, Baia sommersa è oggi un esempio straordinario di un parco archeologico subacqueo visitabile. Grazie agli itinerari elaborati dal Parco Archeologico dei Campi Flegrei, e agli strumenti multimediali messi a punto dal progetto MUSAS (Musei di Archeologia Subacquea), i visitatori, accompagnati dai diving locali autorizzati, possono nuotare tra i resti del sontuoso Ninfeo imperiale di Punta Epitaffio o tra gli ambienti dell’antica Villa dei Pisoni.
LA NAVE DI ALBENGA – Ci spostiamo poi in Liguria, e a 40 metri circa di profondità, incontriamo il famoso relitto di Albenga, la più grande nave oneraria romana mai rinvenuta nel Mediterraneo. È la nave con cui è nata, all’inizio degli anni ’50, l’archeologia subacquea italiana grazie all’instancabile lavoro di Nino Lamboglia. Grazie alla preziosa testimonianza del presidente dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri, Cosimo Costa, che nel febbraio del 1950 era a bordo del leggendario piroscafo Artiglio, rivivremo l’epopea della prima campagna di recupero delle anfore vinarie della nave di Albenga. E capiremo come, riflettendo sugli errori commessi in quella prima pioneristica esperienza, Nino Lamboglia elaborò le metodologie che sono tutt’ora alla base dell’archeologia subacquea. Eredi della sua lezione, sono oggi gli archeologi del Servizio Tecnico di Archeologia Subacquea della Soprintendenza della Liguria che proseguono le ricerche sul relitto di Albenga, coadiuvati dai carabinieri e dalla guardia costiera.
IL NAUFRAGIO DELLA SANTO SPIRITO – Sempre in Liguria, nell’area del promontorio di Portofino, scendiamo sino a 50 metri di profondità e incontriamo i resti appena scoperti di un relitto moderno, di epoca rinascimentale. Una nave imponente, affondata nelle vicinanze di Camogli. I resti individuati fanno pensare che si possa trattare della Santo Spirito, una delle navi più celebri che solcava il Mediterraneo nella seconda metà del ‘500, che affondò in quelle acque nel 1579, dopo essere partita dal porto di Genova mentre in città imperversava la peste. Una mistero affascinante da dipanare tra i documenti conservati nell’Archivio di Stato di Genova e i risultati che emergeranno dagli scavi effettuati sul relitto.
I ROSTRI DELLE EGADI – A 80 metri di profondità, nel mare limpido a largo dell’isola di Levanzo, incontriamo i rostri romani e punici della Battaglia delle Egadi, il sanguinoso scontro navale che nel 241 a.C. decise le sorti della prima guerra punica. Rappresentano una delle scoperte più importanti fatte dall’archeologia subacquea. E una delle eredità più preziose che ci ha lasciato Sebastiano Tusa (archeologo, soprintendente e poi assessore siciliano), tragicamente scomparso nel marzo del 2019 nell’incidente aereo del volo 302 dell’Ethiopian Airlines. Proprio il 10 marzo, lo stesso giorno della Battaglia delle Egadi. Il recupero dei rostri è il frutto della sua felice intuizione scientifica e della capacacità operativa della Soprintendenza del Mare siciliana. Grazie alla collaborazione con la RPM Nautical Foundation, a partire dal 2005 a oggi sono stati recuperati 20 rostri navali e, per la prima volta nella storia dell’archeologia, è stato individuato il sito esatto di una battaglia navale antica.
IL SATIRO DANZANTE – Infine, scendiamo a 500 metri di profondità, negli abissi del Canale di Sicilia, tra Pantelleria e Capo Bon in Tunisia, lì dove la rete a strascico del peschereccio Capitan Ciccio di Mazara del Vallo ha pescato nel 1998 il celebre Satiro Danzante, una meravigliosa statua in bronzo, uno dei rarissimi bronzi antichi che si sono conservati. Dopo i Bronzi di Riace, si tratta del ritrovamento sottomarino più sensazionale e conosciuto. Dopo un lungo restauro presso l’Istituto Centrale per il Restauro, il Satiro fu esposto nel 2003 a Montecitorio, e nel 2005 rappresentò l’Italia in Giappone nell’Expo di Aichi del 2005. Fu proprio sfruttando la grande popolarità del Satiro che Sebastiano Tusa convinse la politica siciliana a creare nel 2004 una Soprintendenza interdisciplinare interamente dedicata al Mare, esempio unico in tutta Europa (esiste solo in Grecia una struttura simile), e oggi modello di riferimento per la Soprintendenza Nazionale per il Patrimonio Culturale Subacqueo appena nata.
Il viaggio alla scoperta del patrimonio sommerso si chiude volgendo lo sguardo verso quegli abissi sempre più profondi nei quali oggi arrivano i moderni robot utilizzati dalla ricerca archeologica. Il patrimonio culturale che giace nei nostri è un patrimonio dell’Umanità. Un patrimonio prezioso e fragile. Ce lo ha ricordato l’UNESCO, 20 anni fa, nella Convenzione del 2001 sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo. E l’Italia, al centro del Mediterraneo e con 8 mila chilometri di coste, è chiamata a giocare un ruolo da protagonista nella protezione e valorizzazione di questo patrimonio
VIRGOLETTATI ESTRATTI DAL DOCUMENTARIO – Piefrancesco Talamo – Direttore Museo Archeologico dei Campi Flegrei.
«Baia fondamentalmente non è un organismo urbano, non è una città, è solo un insieme di luoghi residenziali dei romani ricchi della nobilitas Patrizio plebea dove sin dalla fine della Repubblica si doveva avere una proprietà. A partire dalla tarda antichità, Baia subisce pian piano l’aggressione del bradisismo e quindi tutti questi immensi padiglioni residenziali iniziano a scendere, sotto livello del mare; all’inizio noi vediamo che i romani cercano di porre rimedio, di alzare le pavimentazioni, ma poi l’area viene totalmente abbandonata perché essendo un’area di lusso e di residenza, non era un’area difendibile».
Fabio Pagano – Direttore del Parco Archeologico dei Campi Flegrei – «Immergersi nel parco sommerso di Baia vuol dire rinnovare un’emozione, un’emozione identica a quella che provano nostri visitatori perché ci si proietta in un mondo diverso dal rispetto a quello da cui si proviamo, il mondo appunto terrestre, quindi c’è questo doppio binario di scollamento della nostra realtà e se vogliamo aumenta ancora questa percezione di staccare la spina dalla contemporaneità e immergersi in quella dimensione che appunto ripeto è un tuffo materiale ma soprattutto un tuffo immateriale.»
Barbara Davidde – Archeologa, Istituto Centrale per il Restauro – «Grazie alle nuove tecnologie noi abbiamo creato degli itinerari subacquei con dei tablet che permettono ai sub di vedere sott’acqua la realtà aumentata ovvero come doveva apparire la villa o il monumento o il ninfeo dell’imperatore Claudio per esempio».
Cosimo Costa – Presidente dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri – «Ci sono stato sulla nave Artiglio quando tiravano su queste anfore che presentavano dei colori vivacissimi, ma proprio sembravano portate via da una tavolozza di un pittore. Era una cosa veramente entusiasmante»
Giulio Volpe – archeologo, Università degli Studi di Bari – «Nino Lamboglia fu un archeologo vero, un archeologo di terra, che introdusse la stratigrafia, quindi non solo uno storico dell’arte come tanti suoi colleghi in quegli anni». «Nino Lamboglia che pure ha dato il suo nome a un’anfora, la Lamboglia 2, un’anfora importante, da vero archeologo odiava quel feticismo dell’oggetto e insisteva sulla necessità della lettura stratigrafica, sulla forza del contesto».
Simon Luca Trigona – archeologo, servizio tecnico archeologia subacquea – SAPAB Liguria.
«Abbiamo proprio scelto di indagare il relitto di Albenga, di riprendere questa ricerca sul relitto di Albenga un po’ perché è il relitto simbolo dell’archeologia subacquea in Italia e un po’ perché abbiamo aperto il relitto alle visite subacquee, portiamo dai 500 ai 600 subacquei sul relitto e negli anni siamo riusciti proprio grazie a questa continuità a riprendere gli studi (…) Chi la visita non si rende conto la complessità di un’operazione di scavo, 40 m non è proprio una profondità molto accessibile, prevede un massimo di tempi di fondo di 30 minuti, è un continuo quindi ricambio di persone. Consideriamo che per fare 4 ore di lavoro di scavo abbiamo bisogno di un impegno di uomini e di mezzi non indifferente: 16 operatori, 16 bombole 16 decompressori, 16 di tutto…Ti trovi a scavare in un ambiente che è assolutamente estraneo all’ambiente normale in cui uno solitamente vive sulla terra ferma.»
Renato Gianni Ridella – esperto di artiglieri navali. «Il mio primo incontro con la Santo spirito è avvenuto una quindicina di anni fa quando ho letto un capitolo di un libro che parlava dei naufragi avvenuti sulla costa ligure orientale. Si diceva che questa nave era una caracca spagnola e che era stata scacciata dal porto di Genova perché si sospettava che il suo equipaggio fosse contagiato dalla peste. Quindi la nave viene noleggiata il 15 settembre riesce a partire il 28 ottobre e il 28 ottobre fa poche miglia e non riesce a doppiare il promontorio di Portofino, viene colpita da un Fortunale che la porta a impattare contro la scogliera quindi le provoca l’affondamento. I contadini del luogo dove la nave andava a naufragare sfidarono il pericolo di essere contagiati dalla peste per salvare l’equipaggio, ovvero dalla costa lanciarono delle corde che permisero ai marinai della Santo spirito di salvarsi tutti quanti. E questo fu un atto veramente di grande altruismo perché in quel periodo la peste imperversava nella città.»
Francesca Oliveri – archeologa, Soprintendenza del Mare. «Il rostro è una micidiale arma di distruzione di massa, diremmo oggi. Cioè, l’arma più potente che una nave aveva a disposizione nell’antichità. Stiamo parlando di un oggetto che pesa circa tra i 150 e i 200 chili, che praticamente alla velocità di crociera di queste navi all’assalto, sfonda la nave nemica. (…) L’importanza della Battaglia delle Egadi è che essa costituisce, effettivamente, uno di quei momenti nodali della storia. Eh, dove molti studiosi, storici, e perfino autori di fantascienza si sono dilettati a immaginare cosa sarebbe accaduto se invece i romani non avessero vinto in questa battaglia.»
Valeria Li Vigni – Soprintendente del Mare (moglie di Sebastiano Tusa). «Sebastiano Tusa era un grande ricercatore, un grande uomo che amava entrare in contatto con tutti. Infatti le sue ricerche partivano sempre da indagini sul campo, dalla sua volontà di condividere con i pescatori, con la gente del luogo, le notizie, le informazioni. Sebastiano decise che lo spazio terracqueo doveva essere controllato da coloro che vivevano quello spazio, da coloro che ci lavoravano e che l’amavano. Infatti coinvolse i diving, i diving che lui li definiva “le sentinelle della cultura”. Se c’era qualche tentativo di furto erano proprio i diving a segnalarlo alla Soprintendenza del Mare».
Giulio Volpe – archeologo, Università degli Studi di Bari. «Sebastiano Tusa ha avuto l’intelligenza di trasformare una scoperta occasionale, come quella del Satiro, sensazionale sicuramente, nella molla per dotare la Sicilia della Soprintendenza del Mare, cioè di una struttura di ricerca e di tutela interamente dedicata al mare. Cosa che non è successa all’indomani della scoperta e del grande successo mediatico che hanno avuto i Bronzi di Riace. Ci saremmo aspettati tutti che da quella scoperta partisse una progettazione di una Soprintendenza, di una struttura di tutela nazionale, così non fu.» «Oltre alla Convenzione UNESCO del 2001, biosgna applicare la Convenzione di Faro, la convenzione sul valore del patrimonio culturale per la società, costruendo – come dice la Convenzione di Faro, una sorta di comunità di patrimonio sottomarino, una comunità che senta il patrimonio sottomarino come un patrimonio comune e che quindi veda un’azione di responsabilità non solo degli archeologi, il patrimonio culturale, il patrimonio archeologico sottomarino, non è proprietà degli archeologi, è un patrimonio comune e dobbiamo cercare di coinvolgere i pescatori, i sommozzatori, gli armatori della necessità della protezione di questo patrimonio non soltanto per il suo valore identitario e culturale ma perché è un valore importante per la società contemporanea e anche per il futuro del mare mediterraneo e di tutti i mari».
ENTI E ISTITUZIONI COINVOLTE E RINGRAZIATE NEI TITOLI DI CODA MiBACT – Istituto Centrale per il Restauro
Progetto MUSAS (Musei di Archeologia Subacquea) – ICR. Parco Archeologico dei Campi Flegrei.
Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Genova e la provincia di La Spezia – Servizio Tecnico Archeologia Subacquea.Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Archivio di Stato di Genova.
Arma dei Carabinieri- Nucleo Carabinieri Subacquei di Napoli. Nucleo Carabinieri Subacquei di Genova.
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – Guardia Costiera – Ufficio Circondariale Marittimo di Loano
Ufficio Locale Marittimo di Favignana. Capitaneria di Porto di Mazara del Vallo.
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – Area Marina Protetta Isole Egadi. Regione Siciliana
Assessorato dei Beni culturali e dell’Identità siciliana. Soprintendenza del Mare. CRICD – Centro Regionale per l’inventario, la catalogazione e la documentazione dei beni culturali della Regione Siciliana. Parco Archeologico di Selinunte, Cave di Cusa e Pantelleria. Museo del Satiro di Mazara del Vallo. Museo Interdisciplinare Regionale Agostino Pepoli di Trapani – Ex Stabilimento Florio delle Tonnare di Favignana e Formica. Fondazione Federico II. Comune di Favignana. Istituto Internazionale di Studi Liguri Onlus – Museo Navale Romano di Albenga. RPM Nautical Foundation. Università degli Studi di Bari – Dipartimento di Studi Umanistici. GUE – Global Water Explorers.