Purtroppo, gli anni Ottanta del secolo scorso, con l’esplosione delle dottrine neoliberiste, hanno causato gravissimi danni e la mentalità di allora è dura a morire: si antepone il profitto, l’interesse economico all’Uomo ed ecco il risultato.
di Roberto Borri
I servizi pubblici essenziali ad alta rilevanza sociale, tra cui, a titolo esemplificativo e non esaustivo, rientrano Sanità, Istruzione, Acqua potabile, Energia in tutte le sue forme, Trasporti, Poste e Telecomunicazioni, debbono essere gestiti dalla Pubblica Amministrazione, escludendo ogni forma di lucro d’impresa o d’investimento con scopo di remunerazione del capitale, sacrificando, se necessario, l’efficienza a favore dell’efficacia: è una questione di civiltà. Va da sé che i servizi debbano essere erogati non già a prezzo di mercato, bensì ad eque condizioni, se non gratuitamente od a prezzo politico, qualora possibile.
Dopo aver vigliaccamente privatizzato o, comunque, consentito l’interesse privato in tutti i settori (l’operazione è iniziata con la privatizzazione della telefonia) ed averlo ammesso anche nella Pubblica Istruzione, finanziando in maniera più o meno palese gli istituti privati, non rimaneva da privatizzare che la Sanità, auspicando che a nessuna mente malata venga in mente di privatizzare le Forze Armate, trasformandole in brigate di mercenari.
Il modo più banale per far digerire le privatizzazioni è creare un servizio pubblico scadente, facendo credere all’utenza che la gestione privata sia migliore e fomentando così anche un considerevole indotto nel mondo delle assicurazioni, poiché i Cittadini saranno costretti a stipulare costose polizze per ottenere assistenza, peraltro limitata a quanto possa coprire il massimale pattuito e non oltre. Sul fronte dell’istruzione in campo sanitario, si è voluto stabilire un numero chiuso, necessario per avere una didattica valida, ma è stato fissato troppo in basso, senza tenere conto né della dispersione scolastica, né del ricambio generazionale.
Inoltre, in Europa ed in Italia in particolare, sono stati importati ed accettati acriticamente (e non solo in Sanità) modelli provenienti dagli Stati Uniti d’America, dove non vi è alcun ritegno a considerare i servizi pubblici, anche quelli sanitari, come imprese qualsiasi, da gestire secondo ottiche di bilancio, senza contare gli accorpamenti tra Unità Sanitarie o la deriva volta a lasciare un solo Ospedale per Provincia o poco più, in nome di chissà quale distorto principio in base ai cui enunciati, per il buon risultato, conterebbe solo la ricchezza di casistica, come se i Medici od i professionisti sanitari ancillari fossero scimmie ammaestrate anziché Homines Sapientes.
Dal lontano 1993, per avere un contratto di lavoro a tempo indeterminato, è obbligatorio il possesso di un Diploma di Specialità, ma solo per circa un terzo dei Medici vi è la possibilità di ottenerlo: si è, pertanto, creata una pletora di persone che vivono in un limbo senza un’apparente via d’uscita, costretti a vivacchiare di incarichi temporanei, di volta in volta rinnovati, dove nessun altro presterebbe servizio, come la Guardia Medica o l’Emergenza territoriale od il Pronto Soccorso o le sostituzioni di Medici generici.
Questo, ancora una volta, perché si è voluto copiare, per di più malamente, gli altri Stati Europei, che, a loro volta, hanno importato dagli Stati Uniti d’America le Scuole di Specialità dove i frequentanti percepiscono una diaria ed essendo i fondi limitati, ovviamente, le borse sono, parimenti, limitate nel numero, senza però consentire l’accesso ai corsi di specializzazione senza percepire nulla.
Un altro grosso errore è stato compiuto con l’assegnare alle Università il compito d’istruire i professionisti ancillari, esclusi gli infermieri generici, od operatori socio – sanitari, come, oggi, si chiamano e, contemporaneamente, aver eliminato le Scuole Universitarie dirette a fini speciali: il risultato è aver formato delle persone che, pur possedendo una minilicenza triennale, si credono laureati e non aspirano più a quelle mansioni di cura che, in altre epoche, costituivano la vocazione degli infermieri.
Si può ovviare a questo inconveniente creando un percorso nella scuola secondaria superiore volto a preparare il personale sanitario: cinque anni, con conseguimento della qualifica d’infermiere generico al termine dei primi due e d’infermiere professionale con la Maturità, come succedeva un tempo; Maturità che dovrebbe costituire titolo preferenziale per l’accesso al corso di laurea in Medicina e Chirurgia. A tutto vantaggio della buona riuscita didattica, i corsi universitari, almeno quelli più comuni, dovrebbero essere organizzati su base provinciale, senza costringere gli allievi a spostamenti o pendolarismi estenuanti, ancorché questo vada ad ostacolare gli interessi di chi specula sul giro degli studenti fuori sede.
Naturalmente, è imprescindibile il ripristino degli Ospedali chiusi o depauperati o declassati (nella Provincia di Alessandria, è particolarmente scandaloso il caso di Acqui Terme, Ovada e Valenza) così come dei Poliambulatori di Distretto Sanitario, anzi, è necessario implementare adeguato potenziamento, nonché superare lo spezzatino regionale, che, oltre ad aver creato venti sistemi sanitari diversi, ha anche portato al paradosso di portare un Paziente nell’Ospedale posto nella regione di competenza, anziché in quello più vicino, che, magari, è anche più attrezzato.
Ora, siamo in situazione d’emergenza e, amaramente, ci siamo resi conto che quanto enunciato sopra, che, in gran parte, altro non sarebbe che il ritorno all’antico, è indispensabile e, parimenti, non si attua in un giorno. In determinati edifici, è obbligatorio collocare degli estintori, affinché, nella malaugurata ipotesi che si verifichi un principio d’incendio, possano essere convenientemente adoperati ed evitare seri danni: noi siamo nella situazione analoga a quella di decidere per l’installazione degli estintori quando, ormai, tutto è a fuoco. L’organizzazione delle strutture sanitarie, che, un tempo, ad alcuni occhi distratti, pareva eccessivamente ridondante e costosa, era concepita anche per poter fare fronte a gravissime situazioni di emergenza, come quella che stiamo vivendo ora, ancorché non in piena tranquillità, con un certo margine d’assorbimento, senza stremare il personale sanitario, che, tristemente, piange anche operatori i quali hanno pagato con la vita la loro dedizione al servizio e, in ogni caso, specie in particolari condizioni meteorologiche e d’affollamento, i lavoratori debbono affrontare un considerevole disagio, per tacere dell’ansia generata dalla paura di aver contratto un così pericoloso agente infettante.
A quanto sopra descritto, a quanto pubblicato da vari organi di stampa, si aggiungerebbero sotterfugi – va da sé, finalizzati alla massimizzazione del profitto – tra imprenditori farmaceutici, loro procuratori e membri delle diverse Istituzioni, anche a livello Europeo, per la produzione e la distribuzione del vaccino, con tanto di protocolli secretati, pur trattandosi di pubblica incolumità; anzi, molti industriali o loro rappresentanti, non battono ciglio allorquando viene fatto loro osservare che la questione rivesta importanza planetaria e vi siano in ballo moltissime vite umane e si limitano ad osservare che chiunque potrebbe fare ricerca in tal senso e che loro esistono a mero scopo di lucro.
Roberto Borri