Alla scoperta di Pigna e Castelvittorio tra remota cattolicità, simboli templari, esoterismo medievale, storie di brutali esecuzioni.
di Angelo Verrando
La Loggia tardo-medievale con piazza Castello a Pigna, la piazza principale di Castelvittorio. Sono i siti dell’Alta Val Nervia finiti recentemente sotto la lente degli studiosi a caccia di una sorta di “cerchio magico” dal sapore misterioso su remote ritualità, antiche magie, simbologie esoteriche. A stuzzicare la curiosità di alcuni esperti è soprattutto il monogramma di Cristo “IHS” adottato nel XVI secolo da Sant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù approvata da papa Paolo III nel 1540.
Il monogramma è visibile su due portali in pietra della Colla a Pigna, una delle piazze più affascinanti e misteriose della Liguria. Un’influenza gesuita sul posto, quindi ? L’unica presenza finora storicamente accertata di Ordini religiosi nella vallata alle spalle di Ventimiglia, è quella dei Padri Benedettini nell’Alto medioevo, ossia circa quattro
secoli prima del 1500 i quali, con il loro ora et labora, hanno contribuito fattivamente a introdurre l’olivicoltura in queste campagne. Ma il monogramma “IHS” è ben visibile nei luoghi pubblici dei due paesi della Val Nervia, così come altri simboli dello scudo, già templare, crociato.
E tanto basta per stuzzicare la curiosità degli studiosi. Le ricerche, ancorché difficili, proseguono. Un legame, seppur generico, del giovane cavaliere Iñigo Lopez (nome originario di Ignacio di Loyola) con la Liguria è tuttavia accertato. Nel 1521, nell’assedio al castello di Pamplona ad opera dei francesi, da combattente al servizio di don Antonio Manrique, duca di Najera e viceré di Navarra, viene ferito ad una gamba. Trasportato nella sua casa di Loyola, subì due dolorose
operazioni, nonostante le quali fu costretto a zoppicare per tutta la vita. Ma, proprio nel momento della sofferenza, Domine Iddio operò nel plasmare l’anima di quell’irrequieto giovane. Durante la lunga convalescenza, non trovando in casa libri cavallereschi e poemi a lui graditi, prese a leggere, prima svogliatamente e poi con attenzione, due testi che gli procurò la cognata: la “Vita di Cristo” di Lodolfo Cartusiano e la “Legenda Aurea” (La vita dei santi) di Jacopo da Varagine (1230-1298). Dalla meditazione di queste letture, si convinse che l’unico vero Signore al quale poteva dedicare la fedeltà di cavaliere, era Gesù stesso. Il Beato Jacopo di Varazze, appare quindi un chiaro anello di congiunzione tra il cavaliere basco, prossimo santo della cristianità, e il territorio ligure. Un legame culturale, ascetico, di conversione attraverso lo studio di testi cristiani. Ma null’altro. All’abbazia benedettina di Monserrat, il futuro protagonista della Riforma cattolica nel XVI secolo fece
una confessione generale, si spogliò degli abiti cavallereschi pronunciando voto di castità perpetua. Ancora un cenno ai benedettini, ma niente di un’opera gesuita nell’angusta valle Nervia Intemelia.
Comunque un’altra traccia che ci riporta nell’entroterra tra i “codici” racchiusi nelle incisioni pignasche e castelluzze sulle pietre scolpite dei due paesi. Sulle quali, oltre al monogramma di Gesù e dei cavalieri templari, ne figura una con cinque fiori di cinque petali, probabilmente la “rosa” utilizzata in oscuri riti di iniziazione o forse divinatori, con la data che indica l’anno 1550. E, a completare il bouquet fiorito, la testa del diavolo cornuto, che parrebbe ricondurre alla figura dell’angelo caduto dal Cielo. Un po’ poco per chiunque. Ma tracce meritevoli di approfondimenti per studiosi a caccia di riferimenti storici più consistenti.
Giorgio Caudano, insegnante e storico locale, è generalmente scettico sulle tante interpretazioni esoteriche che fioriscono come i fiori a cinque petali sparsi qua e là.
“Ognuno sembra dare le proprie interpretazioni di fronte a queste antiche tracce. Tutte rispettabili, sia chiaro. Io sostengo che qualche ulteriore approfondimento storico-umanistico, vada comunque fatto prima di arrivare alle conclusioni. E secondo me, bisognerebbe cominciare dall’antica chiesa romanica di Sant’Tommaso di Pigna, antecedente alla parrocchiale di San Michele, nei cui resti figurano alcuni reperti degni di nota”. Il riferimento è ad alcune formelle di terra rossa incastonate nell’intonaco dell’antico luogo di culto che risale ai primi insediamenti nel paese (secoli XI-XII). Secondo alcuni studiosi, infatti, quei reperti potrebbero far pensare a qualche spedizione locale di ritorno da una Crociata in Terrasanta. Ex voto? Bottino di saccheggi? Chissà.
Ma a Sant’Tommaso ci sono altri elementi degni di nota. Si tratta dell’allineamento della luce del sole tra le navate nei giorni del solstizio. Un fenomeno che potrebbe indicare una sorta di grande asse globale tra i luoghi di culto dedicato a questo Santo. E ciò in un’epoca in cui astronomia e geografia erano soltanto scienze nascenti. Ancora, un’indagine archeologica potrebbe restituire l’immagine di una cripta dalla complessità rara per il Ponente (affine a quella di San Paragorio a Noli) e magari chiarire la cronologia del ragguardevole edificio, ancora piuttosto problematica anche per l’assenza di documenti, per cui del tutto ipotetica è una sua origine benedettina. Misteri profondi, affascinanti. Altro che riti esoterici e acrobazie interpretative ! Qui ci vorrebbero archeologi e storici specializzati.
Ma altri segni, altri reperti aspettano di essere compresi, interpretati. Come il rosone scolpito in marmo bianco della stessa parrocchiale di San Michele Arcangelo, al centro del paese. E’ enorme. Collocato sopra l’ingresso principale della chiesa sul quale figura soprattutto la scultura del Santo patrono che uccide Satana con la lancia. “In questo caso – spiega Caudano – ci sono da individuare i segni dei petali così cari agli studiosi. Anche perché si tratta di disegni che, ad esempio, troviamo identici in alcuni edifici della Cappadocia turca. Più che di riti, direi che si tratti di una sorta di cammino culturale”.
E infine: sotto la Loggia medievale di Pigna, appesa alla colonna centrale, c’è un misterioso anello, apparentemente usato dai proprietari di bestiame per legare i propri animali in un momento di sosta. Qui siamo nel campo dei “si dice” di paese: l’anello, secondo testimonianze orali non controllate, sarebbe invece stato usato – in epoca remota – per legarvi persone da sottoporre a pubblica fustigazione, e particolarmente, le mogli infedeli da parte dei mariti traditi.
Una barbarie difficile da ricostruire, anche perché la Loggia di Pigna è stata gran parte distrutta da un bombardamento nella Seconda guerra mondiale, e ricostruita dopo il 1945. L’anello, quindi, non è sicuramente un manufatto antico, e non è detto neppure che ne sia stato ricollocato uno allo stesso posto al momento della ricostruzione della piazza coperta. Un altro fatto truculento nella stessa Loggia è invece stato tramandato, e storicamente verificato, dall’epoca napoleonica. Riguarda la vicenda di un pericoloso brigante soprannominato Batitun, catturato e ucciso dai soldati dopo alterne vicende e scorrerie con grande allarme sociale in tutta la vallata. Infine, a severo monito per chiunque, le guardie decisero di decapitare il cadavere dell’uomo, e di esporre la sua testa proprio sotto la piazza coperta di Pigna.
Angelo Verrando