L’indagine riservata di Paolo Emilioni Taviani”.Oggi (sabato 17 ottobre 2020) l’articolo di Maurizio Caprara apparso sul “Corriere della Sera” sotto il titolo “Piazza Fontana, l’ombra della CIA. Clamorosi documenti senza più omissis.
di Franco Astengo
L’articolo riporta i passaggi di un’audizione svolta dal senatore democristiano Paolo Emilioni Taviani alla Commissione Stragi nel 1997. Gli atti dell’audizione sono depositati presso l’archivio storico del Senato.
Il testo è stato solo recentemente sollevato dagli “omissis” per decisione delle Presidenze dei due rami del Parlamento. L’individuazione di una sede istituzionale come luogo di espressione di queste dichiarazioni rende la testimonianza dell’ex-ministro della Difesa e dell’Interno (uno dei pochi DC ad aver ricoperto, in tempi diversi, entrambi gli incarichi) particolarmente significativa anche rispetto a quanto contenuto nelle memorie “Politica a memoria d’uomo” pubblicate, dopo la morte di Taviani, dal Mulino nel 2002.
Nel corso di quel suo intervento presso la Commissione Stragi Taviani espresse la convinzione circa la presenza di agenti della CIA sul teatro dell’attentato di Piazza Fontana con prove costruite in anticipo per far sì che si seguisse la pista Valpreda.
Taviani accennò anche all’eventuale coinvolgimento nell’attentato di un colonnello dei Carabinieri o di un ipotetico ufficiale del SID.
Interessanti anche altri tre punti dell’esposizione di Taviani:
1) Soltanto il terrorismo di destra poteva portare a un golpe (smentendo quindi la teoria dell’equivalenza tra gli “opposti estremismi”). Taviani proclama anche l’estraneità dell’MSI dagli attentati;
2) La presenza di agenti del KGB in Italia era destinata esclusivamente a vigilare sul PCI perché non diventasse mai un partito di governo;
3) Se si fosse detto subito, come era sua intenzione, che la strage di Milano era di destra si sarebbe lasciato meno spazio alla capacità del terrorismo rosso di attrarre giovani. Se si fosse detto che quella strage era di destra, probabilmente non si sarebbe arrivati né alle stragi dei treni, ma soprattutto non si sarebbe arrivati all’uccisione di Aldo Moro.
Ci troviamo quindi al nodo di fondo della vicenda politica italiana, il rapimento Moro, la sua uccisione, il peso della divisione tra fermezza e trattativa.
Non è questo però il punto di fondo che intendevo sollevare alla vostra attenzione.
Bensì intendo riferirmi a un aspetto dell’analisi sviluppata in quella sede dal “Comandante Pittaluga” (nome di battaglia di Taviani nella Resistenza) che mi ha fatto pensare (e ripensare, in tutta onestà intellettuale) alle “Bombe di Savona” sulle quali fra l’altro è in atto una meritoria iniziativa di prosieguo di ricerca storica, dopo la chiusura del piano giuridico e dell’impossibilità di riaprire il discorso in sede parlamentare.
Nel 1996 gli atti della vicenda furono portati in Commissione Stragi da Michele Del Gaudio che ne era componente (chi scrive ricopriva l’incarico di responsabile della segreteria parlamentare) ma la caduta della legislatura portò al definitivo arresto delle indagini in quella sede.
Secondo la citazione contenuta nell’articolo di Caprara, Taviani espresse ai membri della Commissione l’ipotesi che gli attentatori di Piazza della Fontana non intendessero compiere una strage: a suo giudizio, infatti, essi agirono nella convinzione che in quel tardo pomeriggio la banca fosse chiusa. A sostegno della sua tesi Taviani compì un parallelo con l’esito degli attentati avvenuti nello stesso giorno a Roma in via Veneto, in piazza Venezia, al Museo del Risorgimento che causarono feriti ma non uccisero nessuno.
Questo particolare mi ha riportato alla mente la scansione temporale delle “Bombe di Savona” che tutti noi ricordiamo verificatasi tra l’aprile del 1974 e il maggio del 1975 laddove può essere rintracciata una evidente analogia nella continuità dell’idea di provocare esplosioni in modo tale da suscitare tensione sociale ma senza causare eccessivi danni alle persone.
Non intendo stabilire aprioristicamente un collegamento che potrebbe apparire arbitrario tra Piazza della Fontana, attentati romani, bombe di Savona (tra l’altro nell’iter delle bombe di Savona in almeno due episodi si possono rilevare elementi di difformità da questo schema) mentre apparirebbe del tutto arbitrario un eventuale collegamento con il seguito del terrorismo nero costellato di stragi da grandi numeri (Italicum, Stazione di Bologna, San Benedetto val di Sambro).
Rimango convinto della circoscritta natura “locale” degli episodi savonesi: ma un punto di ulteriore riflessione andrebbe compiuto sull’esistenza di uno “schema” di destra nella ricerca di provocazione di fatti destinati a suscitare reazione da parte dell’opinione pubblica senza determinare per questo episodi di tipo stragistico.
Poi il tipo di reazione dell’opinione pubblica savonese, o meglio delle forze politiche e dei sindacati, è probabile che gli attentatori non l’avessero messa in conto.
Franco Astengo