Intervista a Mirko De Carli dopo l’editoriale di Andrea Riccardi su Famiglia Cristiana del 4 ottobre 2020. “La carità stessa stimola visioni e sogni” scrive Riccardi dando espressione al suo anelito ad un impegno più incidente dei cattolici nella sfera pubblica. Riccardi, storico, accademico, attivista e politico, fondatore nel 1968 della Comunità di Sant’Egidio. Dal 22 marzo 2015 è presidente della Società Dante Alighieri.
di Gianluca Valpondi
Caro Mirko, se, come diceva san Paolo VI, la politica è forma alta di carità, non è forse altrettanto vero che al centro dell’umanesimo cristiano come propulsore di ogni tipo di azione vi è appunto proprio l’amore? L’amore, in senso pieno, non può che essere amore per le persone. Per fare politica bisogna amare le persone? Amare il loro destino? Amarli nella concretezza spicciola dei loro bisogni più stringenti?
Ho letto l’intervista di Andrea Riccardi. Ha stimolato diversi spunti, diverse riflessioni. Sono convinto che il passaggio dove dice appunto che la carità stessa stimola visioni e sogni è corretto, nel senso che nel momento in cui ti poni in una condizione di amore nei confronti del prossimo, dell’altro, hai sempre una prospettiva di bene che può essere generata. Sono convinto che anche la riflessione tesa a comprendere l’occasione storica che attraversiamo oggi di un’elaborazione, riflessione culturale altissima che ci è offerta all’interno della Chiesa grazie anche all’ultima enciclica di papa Francesco, ma soprattutto anche dentro al mondo tutto, dove c’è un momento dovuto anche al tragico passaggio della pandemia da Covid-19 di grande messa in discussione collettiva, chiama tutti noi cristiani oggettivamente ad una riflessione interiore da offrire a tutta la nostra comunità cristiana, che possa darci una riorganizzazione in termini di presenza, in termini di incidenza nella realtà e in termini di contenuti da proporre al centro del dibattito sociale. Sì, per fare politica bisogna inevitabilmente amare le persone. Io ho cominciato a fare politica a 14 anni non tanto per una tensione ideologica, che non mi è mai appartenuta sin da quando ero ragazzo, ma prevalentemente per il bisogno di incontrare l’altro, per il bisogno di abbracciare l’altro. Mi ha sempre affascinato vedere dal mio nonno, nella sua passione per la politica, sino a crescere ai maestri che ho incontrato, la bellezza nei loro occhi, nel loro sguardo, nel loro sorriso quando incontravano il prossimo e potevano essere utili a servire il bisogno del prossimo.
Questo è il senso più alto di quello che Paolo VI definiva come “politica, forma più alta ed esigente di carità“. La carità è proprio prendersi cura dell’altro, e quindi l’amare è una dimensione fondamentale, ma – come ho imparato nel mio cammino incontrando un grandissimo sacerdote che mi ha riportato dentro il cammino della fede, che è stato don Luigi Giussani – amare non il destino perché pensiamo noi che sia fatto per l’altro, ma il destino per cui l’altro è fatto, che magari è completamente diverso dall’idea che abbiamo noi. Per cui la politica è ancora qualcosa di più complicato, perché significa costruire gli strumenti affinché la singola persona, la singola comunità possa realizzare il destino che lo attende, che non è il destino che la politica può pensare o immaginare per lei. Significa quindi partire da questo. Faccio un esempio molto pratico: noi non dobbiamo imporre un’idea di scuola, noi non dobbiamo imporre un’idea di impresa, noi non dobbiamo imporre un’idea di sviluppo, che è il grosso limite purtroppo di coloro che sono stati al potere nel nostro Paese negli ultimi decenni. Noi abbiamo un unico compito – e lo abbiamo visto nei governi portati avanti da uomini cristiani illuminati, come i primi governi del dopoguerra – quello cioè di creare le condizioni affinché lo sviluppo si generi.
Questa è la grande idea che muove da uno dei principi fondanti della dottrina sociale della Chiesa, che è la sussidiarietà. Abbiamo il dovere quindi di mobilitarci affinché si creino le condizioni, attraverso le leggi, attraverso un uso intelligente e mirato dei denari pubblici, perché una singola persona, una famiglia, una comunità possano creare lo sviluppo che sentono nel proprio cuore, dentro certamente una cornice nazionale che sia evocativa di un senso di appartenenza a una comunità patriottica, ma secondo quella che è la logica delle piccole patrie; è un po’ la dimensione che caratterizza il nostro Paese, l’Italia intera, ovvero ognuno possa sviluppare dentro la propria creatività un percorso personale di bene che possa essere condiviso nella collettività.
Riccardi parla anche della mancanza di un “federatore” di tutte le anime del cattolicesimo politicamente impegnato, come lo fu ai suoi tempi Alcide De Gasperi. I tempi sono cambiati: siamo, come ricorda ancora Riccardi, nel tempo della globalizzazione, e anche il card. Ruini invitava recentemente Salvini e Meloni a fare i conti con l’Europa. Serve allora un federatore globale? Non basta il Papa (all’ultima lettera enciclica di Francesco, Fratelli tutti, fa riferimento l’editoriale di Riccardi)? Sappiamo che forze transnazionali senza legittimazione democratica travalicano i poteri delle moderne democrazie…
Assolutamente corretta anche questa riflessione. Non a caso nacque la Democrazia Cristiana come una grande occasione di incontro tra diverse esperienze che si erano mobilitate e che avevano trovato, in un’altra fase storica precedente, una comunità comune nel Partito Popolare Italiano. PPI stesso che nacque dopo tante esperienze fallimentari in termini di risultato, che volevano mettere insieme le varie anime del protagonismo cristiano e cattolico presente nel Paese. Dobbiamo avere il coraggio oggi di capire – ed è quello anche il senso della riflessione fatta nella precedente intervista sulla presentazione del nuovo movimento politico figlio dell’elaborazione tra gli altri di Stefano Zamagni – che il problema non è il contenitore, ma il contenuto.
Dobbiamo concentrarci sulla necessità di riprendere in mano quello spirito, che fu veramente esaltato dalla figura di Alcide De Gasperi, di unire l’esistente, di mettere insieme i pezzettini di protagonismo sociale cristiano presente nel nostro Paese, di unirli sotto una visione programmatica chiara e concreta: pochi punti precisi e mirati, per esempio penso a due di questi che noi come Popolo della Famiglia portiamo avanti, che sono il reddito di maternità e la riforma fiscale a misura di famiglia (più figli, meno tasse, il cosiddetto quoziente famigliare), e su quello dare battaglia, dare battaglia positiva, dare battaglia costruttiva, dare battaglia per e non contro. Credo che anche la riflessione che come PdF stiamo portando avanti sul campo vasto per una riorganizzazione che metta al centro i programmi e le persone identificate in termini di qualità e di “dna personale“, capaci di poter incarnare quel programma, nella costruzione dell’alternativa alla nuova alleanza giallo-rossa, sia veramente la strada corretta da fare.
E noi cristiani possiamo avere un protagonismo decisivo dentro questo campo-vasto, proprio grazie al lavoro che stiamo portando avanti come PdF, che credo veramente sia l’elemento fondativo di quella forza gentile che possa andare a riprendere tutti quei mondi civici, politici, associativi, cristianamente ispirati, ma anche laici che però trovano nell’umanesimo cristiano delle ragioni profonde di impegno sociale e civile, per riportare l’alternativa alla sinistra giallorossa a essere maggioritaria con una presenza maggioritaria delle forze cristianamente ispirate che sono sempre state nella storia quell’elemento riequilibratore necessario e fondamentale per la ricostruzione. Non credo che serva un “federatore globale”, credo che bisogna cominciare a fare i conti con tutti gli elementi che sono presenti nel dibattito politico.
Non puoi non avere una visione chiara di Europa; un tentativo lo sta facendo Giorgia Meloni, ma è un tentativo che non ha una prospettiva capace di creare quello che noi chiamiamo il “campo vasto”, perché si è orientata su una destra, una destra europea, su quella che è diciamo alla stregua di Marine Le Pen, che è la stessa modalità con cui si è mosso Matteo Salvini; quindi, il problema di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni è che hanno scelto una strada che va a consolidare la loro immagine, la loro posizione all’interno di quello che è una prospettiva di destra europea, che non potrà e non sarà mai, come non lo è in Francia, come non lo è in Europa, non lo sarà nemmeno in Italia, maggioritaria.
Noi dobbiamo invece costruire una prospettiva di un campo vasto dove ci sia una forza gentile, propriamente riferibile all’esperienza oggi del Popolo della Famiglia, allargata a tutte quelle esperienze che hanno la stessa anima popolare, la stessa ispirazione cristiana laicamente compresa, come dice anche Andrea Riccardi, e che si vadano a federare dentro a una serie di proposte rivoluzionarie in termini di contenuti, ma garbate e gentili nel modo in cui vengono poste. La riorganizzazione di questo campo vasto, che diventi sempre più ampio e che riesca poi a diventare elemento federatore con le destre attraverso un programma chiaro e condiviso di punti precisi su cui fare un’azione di governo potrà essere veramente quell’alternativa al progetto di potere giallorosso che, come abbiamo visto negli ultimi ballottaggi, rischia di essere purtroppo senza fatica alcuna maggioritario nel Paese.
Quindi, per concludere, credo che dobbiamo concentrarci oggi su due elementi. Primo, prendere spunto da quello che è stato il lavoro che alcune forze che afferiscono al Partito Popolare Europeo, penso alla CDU tedesca, hanno fatto durante il processo della pandemia – e io più volte anche in interviste rilasciate con te ho preso spunto dal lavoro intelligente e lodevole svolto da Angela Merkel nella gestione della pandemia sia a livello interno come Germania, che a livello europeo – ; diciamocela come va detta: se arriveranno, e speriamo arrivino, i quattrini del recovery plan, sicuramente la stragrande parte del merito lo dobbiamo attribuire ad Angela Merkel.
Dobbiamo guardare e quindi ispirarci a questi modelli di governo che sono ispirati a una visione programmatica che può essere pienamente e serenamente ripresa dalla nostra azione ricostruttrice di quella che prima ho chiamato “forza gentile” della politica italiana. Dall’altra parte, dobbiamo essere capaci nel Paese di partire dall’esistente – quindi per quanto ci riguarda il Popolo della Famiglia – e renderlo sempre più largo, sempre più vasto, sempre più accogliente per storie, anime, realtà, che possano trovare nelle nostre radici una propria dimensione consolidata e possano essere disposte a far crescere questa casa e renderla accogliente per tante altre storie. Credo che sia questo il percorso che dobbiamo fare.
Noi ne daremo un primo assaggio il 24 di ottobre a Milano, quando partirà la palestra di politica milanese guidata da Aldo Brandirali con ospiti personaggi della politica milanese e non, che saranno presenti…sarà un primo assaggio di questo tentativo di costruzione di una forza gentile che trova nelle sue fondamenta principali e imprescindibili l’esperienza del Popolo della Famiglia e che proprio grazie alla presenza del PdF riesce a cogliere dentro alla nostra comunità politica nuove esperienze e nuovi movimenti che vogliono portare avanti questo tipo di tematiche che oggi sono ancora presenti nella popolazione ma che non trovano purtroppo nel popolo una degna rappresentanza maggioritaria.
Gianluca Valpondi