Per ragioni legate all’Associazione culturale Libero discrivere di cui lui è il Presidente e, più di recente, nell’ambito del genovese Festival Internazionale di Poesia, ho avuto modo – ad un incontro diretto da Laura Monferdini responsabile del visitatissimo museo di Viadelcampo 29 rosso – di fare la conoscenza e parlare con Ugo, il figlio di Riccardo Mannerini (1927-1980).
di Benito Poggio
Amico di Luigi Tenco, Fabrizio De André (che lo definì “poeta con la p maiuscola”) e altri ancora, Riccardo Mannerini (nella foto con Fabrizio De André) – abbandonati gli studi di Medicina e fattosi viaggiatore per approfondire la sua conoscenza diretta degli uomini e del mondo – dimostrò a suo modo d’essere un autentico poeta maudit che se, in un certo senso, richiamava Rimbaud e Bukowski, esprimeva – lo dico io – in se stesso gli spiriti rinnovati di un tormentato François Villon e di un beffardo Cecco Angiolieri del nostro tempo. Lo scoppio in piena faccia di una caldaia su una nave dei Costa ov’era frigorista lo rese quasi cieco (ma, pur avendone diritto, non ottenne mai una lira di risarcimento!), del tutto simile al cieco e ispirato aedo Omero. L’ho sentito Ugo dilungarsi con grande affetto su sua madre, la fisioterapista Rita Serando (scomparsa nel 2008), poetessa e scrittrice in proprio, e con insolita partecipata complicità su suo padre Riccardo; e – credetemi – ho colto nelle parole del figlio una venerazione sincera e tutta speciale sia per lei che per lui.
Mi è parso (ma potrei sbagliarmi), se non pentito, certamente alquanto rammaricato di non aver compreso a fondo suo padre quand’egli era un ragazzo e oggi Ugo fa di tutto perché non venga dimenticato il continuo e clamoroso impegno – di marca libertaria e anarchica – di suo padre in quella che, impegnandosi contro ingiustizie e soprusi d’ogni genere, possiamo considerare la millenaria lotta dell’uomo per conquistare la propria incondizionata libertà.
E, quasi per ricreare la figura paterna dentro di sé e riviverla com’è stata nella cruda verità di musicista-poeta “cieco di rabbia” contro i falsi perbenismi della società, il figlio Ugo rovista l’archivio paterno e scava nel traboccante magazzino di ricordi voci facce per andare appassionatamente alla ricerca di sensazioni fisiche e stati d’animo grazie a coloro che hanno conosciuto suo padre e la sua vicenda o che con lui hanno avuto rapporti. Basta leggere, dense di vive testimonianze, certe sue sintomatiche e altamente significative interviste a chi aveva frequentato il suo mitico papà e coltivato l’amicizia con lui.
Con tale finalità Ugo Mannerini ha intervistato il portuale avventizio Aldo Fossa, che definisce Riccardo “il capobranco”, creativo e carico di carisma e di lui ricorda la sua coraggiosa visita ad Aznavour e le sue gite a Milano in un’improvvisata sala di incisione; ha conversato con il musi-cista e chitarrista Adriano Chierchini, che Riccardo Mannerini lo incontrava Un poeta maudit genovese da non dimenticare”Il sogno e l’avventura” di Riccardo Mannerini nel suo ufficio, cioè “l’ammezzato del Bar Igea” in via Cecchi e con lui, oltre a filosofeggiare di “anabolismo (mangiare), metabolismo (digerire) e catabolismo (defecare)”, ha organizzato due spettacoli sulle poesie di Lorca: uno al Circolo della Stampa in piazza De Ferrari e l’altro presso l’Associazione Culturale La Serenissima in piazza dell’Annunziata (che anch’io frequentai da studente universitario); ha parlato con l’attore comico e il caustico antipolitico Beppe Grillo, il quale rievoca Mannerini come persona generosa e “lontana da ogni fine di lucro” e nei confronti del quale il pentastellato Grillo, contraccambiato, nutriva “amicizia e stima”; ha stuzzicato, su vari fronti biografici e dialettici, Giuliano Crisalli, amico per lunghi anni del padre Riccardo e con lui compagno di scorribande su una “BMW 500” e di imprese memorabili: dal “carbone spalato nei palazzi di corso Torino” per racimolare, come si diceva allora, “due lire” alle frequentazioni dello “Scandinavia, Trocadero, Zanzibar”, storici “localacci perché vicini al porto”; ha sentito il musicista-cantautore Vittorio De Scalzi al quale Riccardo Mannerini telefonava di soprassalto “nel cuore della notte” manifestandogli idee e concetti che De Scalzi era tenuto a tra-sformare in una canzone; ha ascoltato Giorgio Giordano, anche lui, come Crisalli, giornalista del Secolo XIX, che, da studente di Medicina, conobbe e diventò amico di Riccardo Mannerini in “Piazza Martinez”, vera e propria agorà di San Fruttuoso: e mentre Giorgio parlava di “Saba, Ungaretti e Montale”, Riccardo proponeva “Antologia di Spoon River (c’è chi ritiene sia stato lui a farla conoscere in Italia e a proporla a Faber), Langston Hughes e i blues”.
Se, in chiusura, posso azzardare il mio personale giudizio critico, direi che il poeta maudit genovese Riccardo Mannerini costituisce un unicum nel campo letterario, poetico e musicale italiano e non solo.
Non amo né è mio costume fare paragoni, anche perché la sua cruda potenza veristico-espressiva non li ammette ed è quindi inutile girarci attorno: posso dire però che come Omero è (e sarà sempre) solo Omero, così Riccardo Mannerini è (e sarà sempre) solo Riccardo Mannerini, l’uomo forte che, sazio e nel contempo disgustato di quella vita che lui amava, in una fase di drammatica depressione decise di rinunciarvi. Come uomo e poeta, nell’accurata e intrigante edizione di “Il sogno e l’avventura”, a fianco ad uno studio su “La poesia in musica” di Mauro Macario che ne coglie “la natura creativa di poeta”, l’hanno inquadrato i due critici De Nicola e Caprile analizzandone l’intensità del suo vivere a oltranza, le sue felici e produttive frequentazioni, la sua multiforme ed eclettica attività oltre a raccogliere e offrire ai lettori un vero e proprio inconfondibile serbatoio di quasi 200 testi poetici carichi di veemente e aspra autenticità, di vetriolica e travolgente liricità.
Sono testi e, a un tempo, attestazioni che dicono di vita vissuta, di volti a lui noti, di drammi compartecipati, di sofferenze patite da esseri umili e vilipesi, e tanto altro ancora: e proprio per questo a lui (e a De André) intimamente cari e da lui (e da De André) sommamente prediletti.
Benito Poggio (da Gazzettino sampierdanerese)