Nel 2001, modificato il titolo V della Costituzione, il SSN diviene regionale, la cui gestione sfiora tuttora l’80% dei budget regionali, creando livelli assistenziali difformi, inaccettabili fra Regioni e confermandosi un gigantesco centro d’affari e di potere pubblico e privato che in pochi anni ha incrementato il fatturato del 14.3%, fornendo un’occupazione del 3,3%, che dimostrerebbe come “la salute sia un’opportunità straordinaria di crescita per l’economia” (Fonte: Farmindustria 2018).
di Domenico Capizzi*
Appunto, la Medicina regolata dal mercato costringe Istituzioni e Politica a scegliere tra l’interesse dei cittadini alla salute, intesa come benessere, e gli incrementi di Pil e dell’occupazione.
Nella realtà dei fatti la “riforma aziendale”, definita “controriforma” avendo aperto la strada a tante realtà differenziate senza avere ottenuto risultati apprezzabili sotto il profilo di efficienza e risparmio, mai è stata attuata per quanto concerne la differenziazione in ASL e AO (azienda ospedaliera): gran parte delle ASL restano dotate di Ospedali e solo 102 Ospedali italiani sono AO, in Emilia-Romagna sono 5 gli Ospedali AO su 230 esistenti. Oggi in Italia, pertanto, agiscono ventuno caratterizzazioni regionali e due regimi differenti economico-gestionali nell’ambito dello stesso Sistema aziendale: le ASL con Ospedali e le AO. Queste modalità si realizzano nel quadro di un’organizzazione fortemente piramidale economico-tecnicistica piuttosto autocratica, scarsamente controllabile ed ispirabile, ed in assenza di chiari segnali deontologici e politici che possano valorizzare la prevenzione primaria e secondaria accanto alla Medicina territoriale e clinica su base diagnostico-terapeutica.
Per questo coacervo di ragioni le delusioni lievitano nell’opinione pubblica e in medici e infermieri: le tasse per la sanità vengono vissute come oneri superflui, Ospedali e Poliambulatori rischiano la loro credibilità, la politica e le sue diramazioni burocratiche continuano ad amministrare l’esistente collocandosi nel solo ambito tecno-diagnostico-terapeutico-consumistico mantenendo statico il primo comma dell’articolo 32 della Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Medici ed operatori sanitari avvertono la loro crescente marginalità, i cittadini accolgono dubbiosi quanto è loro offerto ma troppo spesso negato. In sostanza potremmo ripetere: “ Abbiamo concepito, abbiamo sentito i dolori quasi dovessimo partorire: era solo vento; non abbiamo portato salvezza al Paese e non sono nati abitanti nel mondo (II° Libro dei Re 4, 8-11).
Dal 1994 il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) assume il carattere aziendale con l’intento di imprimervi efficienza e risparmio mediante un sistema dualistico:
a- Aziende Sanitarie Locali (ASL) con prestazioni territoriali di igiene-sicurezza e diagnostico-terapeutiche di base e con prestazioni complesse da acquistare dalle Aziende Ospedaliere (AO) avvalendosi di finanziamenti statali-regionali proporzionati al numero di cittadini residenti secondo la quota capitaria di lire 1.550 annue, oggi di euro 2.000;
b- Aziende Ospedaliere (AO) che offrono prestazioni complesse alle ASL secondo la remunerazione dei DRG (Diagnosis Related Groups) utilizzati dalle assicurazioni USA per gli emolumenti di ogni singolo trattamento.
Questo sistema ha mutato il principio della Riforma (L. 833) del 1978 da “ tutti i livelli delle prestazioni sanitarie devono essere, comunque, garantite a tutti i cittadini” in “gli obiettivi della programmazione socio-sanitaria nazionale risiedono nell’entità del finanziamento assicurato al SSN”: ciò ha portato all’introduzione del tetto di spesa e alla gestione fondata sulla contabilità finanziaria per la collocazione sul mercato del SSN dell’intero Paese con il meccanismo della domanda e dell’offerta. Non senza perplessità e contraddizioni il SSN aziendalizzato e di diritto privatistico dovrebbe rispondere alle richieste dei cittadini-contribuenti-utenti-clienti-pazienti-malati con efficienza ed efficacia e contemporaneamente rispettare il tetto di spesa assegnato.
Nei fatti si allungano i tempi d’attesa per prestazioni sanitarie: nel periodo 2014-2017 nel pubblico l’attesa media ammonta ai 65 giorni, nel privato a 7 giorni con costi poco distanti dal pubblico, a 6 giorni nell’intramoenia; da 23 giorni d’attesa per un Rx osteo-articolare nel pubblico si passa a 9 giorni nel privato e a 4 giorni nell’intramoenia; da 96 giorni per una colonscopia nel pubblico si attendono 7 giorni nell’intramoenia e 46 nel privato; nel pubblico una visita oculistica nel 2014 richiedeva tempi di attesa di 61 giorni mentre nel 2017 è giunta a 90, con 7 giorni d’attesa nell’intramoenia e 55 nel privato; su 13 milioni di malati il 10,9% rinuncia a curarsi per motivi economici, 320.000 persone per anno affrontano “viaggi della speranza” con costi aggiuntivi di 1,2 miliardi senza tener conto delle conseguenti difficoltà familiari e assenze lavorative; un ricovero su tre avviene nel privato con attese che possono tramutarsi persino in un solo giorno; 35 milioni di persone nel 2016 hanno sostenuto spese sanitarie in ragione di 1.000 euro a testa, uno su quattro utilizzando tutti i risparmi familiari disponibili, uno su sette fronteggiando l’onere con assicurazioni integrative; gli anziani lambiscono 1.500 euro di spesa propria; un numero imprecisabile di cittadini lamenta difficoltà ad affrontare qualunque spesa sanitaria a pagamento di qualsiasi entità (Fonti: L’Osservatorio sui tempi di attesa e sui costi delle prestazioni nei Sistemi sanitari Regionali 2017; Demoskopika 2017; Medical Focus Padova 2017; ISTAT 2018).
A fronte di una crescita costante del fabbisogno sanitario, per invecchiamento della popolazione e accresciuto tasso di malattie croniche, viene ridotto il numero di medici ed infermieri in servizio, soprattutto fra il 2009 e il 2017 ed in occasione di “quota 100”, di oltre 45mila unità con incrementi del tasso di precarietà lavorativa (Fonti: Ministero dell’economia; Ragioneria generale dello Stato 2018-2019) che ha indotto la Federazione italiana degli Infermieri a dichiarare che i “numeri incidono sulla qualità del servizio: il tasso di mortalità risulta, infatti, del 20% inferiore quando un infermiere ha in carico un numero di malati non superiore a sei mentre il rapporto medio in Italia è di un infermiere per 12 malati”.
Dal canto suo il sindacato medico-ospedaliero Anaao-Assomed ha dichiarato che “i numeri raccontano di un sistema che strangola la sanità pubblica con liste d’attesa che inducono a rivolgersi al privato”. Già in epoca thatcheriana in un editoriale del “New England Journal of Medicine” il suo direttore dichiarava: “ La sanità regolata dal mercato crea conflitti. Da una parte ci si attende che i medici forniscano un ampio ventaglio di migliori trattamenti, dall’altra per contenere le spese devono limitarne l’uso e ridurre il tempo dedicato a ciascun malato. Questa dicotomia diverrà sempre più evidente e aspra e i medici saranno costretti a scegliere tra l’interesse del malato e la propria sopravvivenza”. Le polemiche provocarono il licenziamento in tronco dell’autore.
*Domenico Capizzi
Già docente di Chirurgia generale nell’Università di Bologna e direttore della Chirurgia generale degli Ospedali Bellaria e Maggiore di Bologna