A La 7 abbiamo ascoltato: “Ogni magistrato ha nell’anticamera il giornalista di riferimento” (dice il filosofo ex sindaco di Venezia Cacciari). Il giornalista Marco Travaglio, in Tv, a rispondere: “C’è una casta togata dove tutti parlano male di tutti”. In 25 anni la giustizia italiana è stata riformata invano decine di volte per combattere “il mercateggiamento delle cariche, il carrierismo, la separazione delle carriere, mai avvenuta, i pastrocchi all’italiana e il male atavico del nostro paese tra correntismo e scambio di favori.”
Come vengono scelti i procuratori capo, i presidenti dei tribunali. Cosa ha portato fino ad oggi la riforma del Consiglio Superiore della Magistratura ? E quella delle intercettazioni ? E l’era del berlusconismo, l’inarrestabile degrado di sistema in una macchina (il sistema) che non funziona. Anche la storia giudiziaria di Savona e Imperia, negli ultimi decenni, è stata caratterizzata da burrasche, ‘guerre’, scontri tra magistrati, giudici, interventi del Consiglio Superiore della Magistratura. Una storia che solo in parte è emersa, con molti limiti, sulle cronache locali e nazionali. Sarebbe interessante ripercorrerla, riscriverla, con documenti e articoli a confronto, risultati e nomine. Inchieste e processi a carico di togati. Spesso senza che l’epilogo abbia avuto risonanza sui media.
Abbiamo preso lo spunto per ‘raccogliere’ il pensiero di un ex magistrato e giudice, pubblicando quanto il dr. Filippo Maffeo ha scritto in questi ultimi giorni sulla sua pagina Facebook con le vicende che stanno scuotendo la politica nazionale ed il mando giudiziario.
FILIPPO MAFFEO EX PM A GENOVA, SAVONA E IMPERIA, IN TOSCANA, EX PRETORE AD ALBENGA, GIUDICE AL TRIBUNALE DI SAVONA (FORSE MAI ISCRITTO AL SINDACATO)
COSA HA SCRITTO SULLA SUA PAGINA FACEBOOK
1) Angelico Orlando (ex ministro della giustizia e attuale vice segretario Pd ndr)
Il fatto svelato dal Fatto Quotidiano.
Ora Legnini scarica Palamara, non ricorda bene e descrive Palamara come un uomo distrutto. Dovrebbe anche scaricare Patronaggio o querelare Il Fatto, che oggi scrive: ”
“Carissimo Luigi ti chiamerà anche Legnini siamo tutti con te”. Sono le 16.45 del 24 agosto 2018 quando Luca Palamara invia questo messaggio al procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio, che gli risponde un minuto dopo: “Mi ha già chiamato e mi fa molto piacere”. Giovanni Legnini è in quel momento il vicepresidente del Csm.”
Palamara anticipa Legnini e Patronaggio risponde di aver già ricevuto la telefonata, che gli ha fatto molto piacere.
Legnini, in privato, contatta il magistrato inquirente e plaude alla sua iniziativa. Ovviamente un dettaglio insignificante, basta avere lo stomaco di ferro.
E c’e’ ancora qualcuno che parla di fatti penalmente irrilevanti. E nessuno richiede e sollecita l’acquisizione dei tabulati telefonici degli interlocutori di Palamara (ricerca ed analisi sms) che, all’evidenza, servirebbero a chiarire e delineare il quadro d’insieme con certezza.
E l’intellighentia d’opinione e democratica tace. Cosi come tace sull’ingiustizia (termine utilizzato da Mieli) di un processo che coinvolge un solo ministro (e non altri che con lui hanno operato) e non anche e soprattutto chi aveva il potere-dovere di garantire l’unita’ dell’indirizzo politico e di impedire ai ministri (uno o più’) di commettere reati ed esorbitare dalle linee politiche del Governo. Lo so, la colpa è mia, che guardo il mondo a testa in giù.
MAFFEO 3 / “Al vaglio altre sanzioni disciplinari”.
Questo dovrebbe aver detto il P.G. di Cassazione. Houston, c’e’ un problema. Vostro, non nostro.
Escluse sorprese e leggi dell’ultima ora, che noi comuni mortali non conosciamo, al P.G. compete, esclusivamente, il promovimento dell’azione disciplinare. Non l’applicazione di sanzioni disciplinari, quelle che starebbe vagliando.
Aspettiamo l’esito della vagliatura.
Attendiamo con la serena fiducia di chi sa che il nuovo P.G. gaffeur sui propri poteri (ma nessuno se n’e’ accorto, strano) e’ del tutto estraneo alle conventicole correntizie, che non ha mai frequentato. O forse no. Certamente non sa neppure chi sia la Betta, di cui parlano gli intercettati.
Neppure io lo so, ma a naso, suggerirei un nome: Elisabetta. Quante donne con questo nome conosce il P.G?
Comunque, vagliando vagliando, conosceremo il diametro dei fori e scopriremo chi passa e chi no, chi scende agli inferi e chi rimane sopra (ogni sospetto ed ogni intercettazione).
Chissa’. Magari passa solo Palamara, che ostentava poteri e forza che non aveva. Un povero magliaro. Scopriremo, forse, che solo lui e’ la mala pianta e tutti gli altri sono fiorellini candidi. E vivremo, come nelle favole, felici e contenti.
Di piu’, fessi e contenti.
MAFFEO 4 / Sono solo intercettazioni.
Penalmente irrilevanti, spiega subito qualcuno. Perché irrilevanti penalmente? mi chiedo. Penalmente irrilevanti, ergo, sottinteso, da non pubblicare.
Si fa, ma non si dice. Si fa, poi si rifa’. Ecco, sono solo canzonette. E lor signori sono solo cantanti stonati, che brigano,nell’esercizio di funzioni pubbliche, favorendo alcuni e, di riflesso, danneggiando altri.
Ma i sapienti dicono che sono fatti penalmente irrilevanti. Fidatevi. Dei saggi e dei loro compagni, di merende, cene, banchetti e tavole apparecchiate.
“Ma certo che mandai i carabinieri!”. Mi disse Cossiga quando diventammo amici: “Mandai un generale di brigata con un reparto antisommossa, pronti a irrompere nel palazzo dei Marescialli”. Oggi fa impressione riascoltare nelle registrazioni la voce del “matto” Cossiga quando attaccava lo strapotere di alcuni magistrati e lo faceva spavaldamente come un Cyrano de Bergerac, odiato da tutti nel 1985 – trentaquattro anni fa – quando invece aveva ragione. Il Consiglio superiore della magistratura si è recentemente infangato con l’inchiesta di Perugia che ci ha fatto assistere in diretta al mercato delle procure, alla vendita del diritto.Tutto già parte di un vizio d’origine contro cui oggi pochi hanno il fegato di combattere. Cossiga mi aveva invitato a fare colazione al Quirinale. C’era il meglio del giornalismo di sinistra a inzuppare il cornetto nel cappuccino di quelle stanze mentre Cossiga raccontava. A quei tempi era ministro dell’interno Oscar Luigi Scalfaro, che sarebbe diventato il suo successore e il suo principale nemico. Ricorderemo ancora Scalfaro quando, assestando il colpo dell’asino a Cossiga dimissionario, urlò stentoreamente in aula “Viva il Parlamento!” come se lui fosse stato il Parlamento. Allora era ministro degli interni e quando Cossiga decise di far intendere chi comandasse sugli abitanti del Palazzo dei Marescialli (di stile fascista, curiosamente decorato con teste di Mussolini con l’elmetto), il ministro del Viminale disse di sì. Dissero di sì anche i comunisti che poi si scatenarono contro Cossiga. Erano con lui il giudice costituzionale Malacugini e il senatore Perna, capo del gruppo comunista al Senato.
I membri del Csm allora pretendevano di comandare come terza camera dello Stato, in barba della Costituzione. Volevano colpire il presidente del Consiglio Bettino Craxi che aveva polemizzato sulle inchieste seguite all’assassinio del giornalista socialista del Corriere della Sera Walter Tobagi, ucciso dalla Brigate Rosse, che Craxi considerò sempre interne ai salotti milanesi di sinistra. Il Consiglio superiore della magistratura è l’organo di autogoverno dei magistrati, i quali godono di una autonomia prossima all’extraterritorialità, salvo poi trasformare tanta autonomia in un mercato di interferenze e abusi talmente terrestri da produrre fatti come quelli messi a nudo dall’inchiesta di Perugia che hanno inferto alle istituzioni delle ferite probabilmente non rimarginabili. L’organo di autogoverno fu concepito come massimo baluardo del servizio pubblico della giustizia- e non come privilegio degli operatori togati della giustizia – allo scopo di garantire ai cittadini un servizio di assoluta indipendenza da poteri esterni a cominciare da quelli politici. Il presidente del Csm è il Capo dello Stato, ma è una carica solo formale perché chi comanda è il vicepresidente del CSM. Cossiga ingaggiò nel 1985 un braccio di ferro istituzionale in cui, malgrado i suoi colpi, alla fine fu lui ad essere disarcionato. La sua battaglia contro il vicepresidente Giovanni Galloni (un radicale rappresentante storico della sinistra cattolica che detestava apertamente tutto ciò che Cossiga rappresentava) espose Cossiga ad un vero massacro mediatico.
Le camionette dei carabinieri erano a piazza Indipendenza. I carabinieri in assetto antisommossa, con gli elmetti calati in testa, pronti a sfondare il portone se solo il presidente Cossiga, in quanto Capo dello Stato, lo avesse ordinato. La carica non avvenne, il portone restò integro, ma lo schieramento delle forze che rappresentavano lo Stato – i carabinieri in questo caso – contro un ridotto nelle mani di chi si riteneva di essere separato dallo Stato, in quanto organo separato dello Stato, rappresentò uno schieramento concreto, militare, non diverso – per qualità istituzionale – a quello che lo Stato rinunciò ad opporre nel 1922 alla marcia su Roma di Mussolini. Non che esista una comparazione tra la marcia su Roma e il conflitto affrontato da Cossiga, ma restano i comuni termini di una difesa anche militare contro l’eversione. Cossiga individuò nell’arroganza di un ristretto gruppo di magistrati la formazione di un potere insurrezionale “ultroneo” rispetto a quelli previsti dalla Costituzione e dunque un nucleo eversivo. Il punto allora era politico: il Csm usurpava il diritto – non contemplato tra le sue funzioni – di muovere critica o censura alle parole o alle azioni del presidente del Consiglio dei ministri. Cossiga sospese la delega a Galloni, cioè lo degradò sul campo strappandogli le spalline, sia pure temporaneamente. E dopo aver disarmato quello che riteneva il leader di una corrente eversiva, impose che si prendesse atto di un punto fermo: l’organo di autogoverno dei magistrati è soltanto l’organo di autogoverno dei magistrati e mai, in alcun modo, un potere dello Stato. Come invece pretendevano allora le correnti politiche dell’Anm che Cossiga accusava di usurpazione contro lo Stato.
FRANCO FLORIS EX SINDACO DI ANDORA