Le misure contumaciali introdotte con la pandemia di Coronavirus costringono la stragrande maggioranza della popolazione a restare confinata ed a limitare gli spostamenti allo stretto indispensabile, così come le attività economiche non necessarie sono, parimenti, fermate.
di Roberto Borri
Nondimeno, questa situazione, di particolare gravità, induce le persone ad uno sforzo intellettivo d’introspezione e di meditazione su come dovrà essere il mondo al termine della necessaria prigionia. Molti articoli, scritti da pregevoli Autori, su testate cartacee ed informatiche, da qualche tempo, battono il tasto sul ritorno ad essere società, bandendo l’individualismo che ha dominato in questi ultimi quarant’anni; desta non poco scalpore che anche persone come imprenditori del campo della moda, persone queste che hanno costruito la loro fortuna su individualismo, consumismo e frivolo, siano concordi.
La pandemia ha risvegliato la cosiddetta dello sciame, ovvero la consapevolezza che, se, da soli, si arriva prima, quando sia necessario arrivare lontano o trarsi d’impaccio sarebbe meglio agire in collaborazione: un concetto questo che in Occidente è stato misconosciuto, poiché, a torto, etichettato come comunista, mentre, invero, è insito ab immemorabili in qualunque animale socievole e, segnatamente, nell’Uomo.
È stato da più parti stigmatizzato il taglio dei servizi pubblici essenziali ad alta rilevanza sociale, nel nome di una razionalizzazione che, se nell’immediato ha portato vantaggi economici, per quanto scarsi ed effimeri, si è rivelata deleteria, allorquando si è dovuta affrontare un’emergenza senza precedenti e, lo stesso stigma ricade sulla privatizzazione, che ha solo trasformato in imprese comuni attività dalle quali il concetto d’impresa dovrebbe essere tenuto lontano.
Nel campo sanitario, abbiamo assistito all’istituzione di un numero di allievi, giustamente, programmato, ma insufficiente rispetto alle effettive necessità presenti e future, mandando il sistema in affanno anche per lievissimi sovraccarichi rispetto alle condizioni normali ed impedendo un adeguato ricambio del personale che, raggiunti i limiti d’età, si colloca in quiescenza, per tacere di Reparti ed interi Ospedali chiusi o ridotti al lumicino, tanto che Autori Italiani, sul Lancet, prestigioso periodico di Scienze Mediche e di Ricerca Clinica, hanno scritto a chiare lettere che tutto quanto inopinatamente ridotto o cancellato deve ritornare ad operare a pieno regime.
Già prima dell’emergenza, i disagi erano sotto gli occhi di tutti: lunghe liste d’attesa, Pazienti – non clienti! – costretti a sobbarcarsi lunghi viaggi, peraltro senza mezzi pubblici, anch’essi caduti sotto la scure del riassetto economico, parametro questo ritenuto, senza ragione alcuna, così importante da introdurre la parola azienda nella denominazione di quegli Enti preposti ad erogare servizi con logiche che dovrebbero essere ben lungi da quelle aziendali.
Il personale sanitario è ormai allo stremo e procede indefessamente nel servizio solo perché crede in valori, fortunatamente, non misurabili in denaro, ancorché la retribuzione non sia, come da dettato costituzionale, proporzionale né alla quantità, né alla qualità del lavoro; inoltre, su alcune forniture di farmaci, presidi medico – chirurgici o materiale necessario per la filiera, si sta mettendo in opera un vero e proprio sciacallaggio, con prezzi elevati all’inverosimile, pur accanto a lodevoli eccezioni costituite da Aziende che si accontentano di un lecito minimo guadagno a titolo di giusta mercede e non di speculazione industriale.
Esaminando quanto già successo e di quanto sta succedendo, sarebbe, pertanto, più che raccomandabile un nuovo risveglio delle coscienze, in maniera tale da ritornare ad avere una Pubblica Amministrazione che faccia il suo dovere, senza essere prona ed imbelle di fronte agli strapoteri di quel mondo finanziario, il cui controllo rientrerebbe nei normali atti d’ufficio, mentre la quasi totalità dei politici si sente in dovere di rispondere a dei mercati anziché a delle persone. Pur adoperandosi per evitare sprechi, i servizi pubblici debbono essere erogati non già con criteri di mercato e di redditività, ma solo perché questi costituiscono un normale dovere delle Pubbliche Amministrazioni nei confronti dei Cittadini, anziché prodotti da collocare con criteri di mercato da parte di aziende costruite come macchine per accaparrare e moltiplicare denaro, magari sotto forma di dividendo da distribuire ad azionisti, nella maggior parte dei casi facenti capo a banche o società finanziarie od assicurative quotate in borsa, dove, a loro volta, sono quotate quelle stesse aziende che non dovrebbero essere tali, tanto meno società per azioni; per tacere sulla moralità delle borse, su cui ci sarebbe da discutere non poco. Giammai si dovrebbe pagare una bolletta od un biglietto od un tagliando d’accesso sanitario per ingrassare i già ricolmi portafogli dei soliti privati: con le nazionalizzazioni portate a termine poco dopo la metà del secolo scorso, questo veniva evitato, ciò che non era gratuito si pagava a tariffe eque e la fruizione dei servizi era assicurata anche nelle zone più remote o, quantomeno, ci si adoperava per farlo. Eventuali disavanzi erano coperti da avanzi generati altrove e, comunque, interveniva la fiscalità generale a fare sì che la cultura del noi, prevalesse sulla cultura dell’io: auspichiamo allora un ritorno dello statu quo ante, ritorno graduale e lento, non pronto, a causa del lungo tempo passato a legittimare comportamenti ben poco etici e volti ad eliminare anche formalmente quelle regole che non potevano essere aggirate, eluse o francamente violate alla luce del Sole.
Un altro aspetto derivante dal blocco forzato delle produzioni industriali e del traffico, che, almeno in Italia, è svolto in modalità stradale, è rappresentato da una drastica riduzione dell’inquinamento: è evidente a tutti come l’aria abbia cambiato trasparenza ed odore, i colori siano più saturi, gli animali selvatici si facciano vedere più frequentemente di quanto succedesse in passato, il livello di rumorosità è calato ad un piacevole silenzio, rotto solo da qualche canto d’uccello e – ahimè – talora dalle sirene delle ambulanze che portano Pazienti alle Strutture sanitarie, con la speranza di una guarigione che, troppo spesso, sfuma nella sofferenza della fine. Si deve altresì osservare come l’inquinamento sia stato ritenuto, da fonti autorevoli, un fattore favorente il contagio, nonché un fattore aggravante per la malattia. Tenendo in debita considerazione questi aspetti, è quanto mai necessario ripensare una riduzione dell’inquinamento atmosferico, riduzione che, sugli impianti fissi, risulta di facile, ancorché, talora, onerosa attuazione, mentre, sui mezzi mobili deve necessariamente passare per un drastico cambio di mentalità, volto a privilegiare una mobilità sostenibile, basata sul mezzo pubblico, adoperando quello privato in maniera intelligente e che assegni nuovamente alla ferrovia il ruolo cardine del trasporto terrestre, tanto per i viaggiatori, quanto per le merci.
Su quest’ultimo fronte, sembrerebbe esservi un minimo incremento, seppur solo per trasporti a treno completo e su lunga distanza, grazie all’esecrabile decisione di aver trasformato il trasporto in un’ordinaria attività d’impresa: resta moltissimo da fare per ravvivare quel pullulare di carri destinati alle piccole partite ed al collettame, interrotto sotto lo scacco di quelle manovre elettorali che hanno, in Regioni come il Piemonte, portato ad arrugginire un terzo dei binari che lo attraversano. I dati epidemiologici con cui ci confrontiamo ogni giorno dovrebbero spingere più di un Amministratore ad impegnarsi non solo per un radicale ammodernamento della rete, in ispecie le linee complementari od, erroneamente, ridotte a tale rango, ma anche per portare la ferrovia dove non è mai arrivata, oltre, naturalmente, a programmare un servizio a misura dell’utenza.
Roberto Borri
P.S. Mi sia consentito di esprimere parole di sdegno e di condanna nei confronti di quei malfattori che hanno imbrattato la stazione di Canelli.