La crisi greco-turca e dintorni. Putin e Erdogan, Assad, Trump, l’appello del Papa.
di Gianluca Valpondi
Bene Mirko, parliamo di questa spinosa e penosa situazione. 130mila al confine greco-turco: chi sono? Sfollati? Profughi? Disperati?
Questa spinosa situazione che riguarda appunto decine di migliaia di profughi che sono ai confini tra la Turchia e la Grecia è una situazione che viene da lontano. Riguarda la guerra in Siria e il conflitto siriano che ha trovato da pochi giorni un punto di tregua e di “cessate il fuoco”, attraverso l’accordo raggiunto a Mosca tra Putin e Erdogan. Purtroppo le persone che sono prevalentemente ammassate ai confini greco-turchi sono persone che scappano dal regime siriano e hanno cercato rifugio sicuro in Turchia e vorrebbero entrare in Europa. In questi 5 anni, che sono gli anni della commissione Junker, sono stati anni in cui in particolare Francia e Germania hanno trovato un accordo con la Turchia di Erdogan a suon di miliardi erogati per bloccare i flussi migratori e gestire all’interno della Turchia, nelle aree turche occupate anche della Siria o altre, la maggior parte di questi profughi. Ci sono poi anche profughi di altre realtà: iraniani, iracheni…ma la maggior parte sono di origine siriana. La situazione è venuta al punto nel momento in cui appunto Erdogan non ha più ricevuto l’ok indiscriminato da parte di Germania e Francia e quindi indirettamente dell’Unione europea di finanziare per altri 5 anni la gestione dei migranti; quindi sta usando queste migliaia di persone come arma provocatoria per condizionare la politica europea. Erdogan è a Bruxelles, durante le giornate dell’assemblea plenaria del parlamento europeo proprio per incontrare i capi di Stato e di governo per trovare un punto d’incontro.
È chiaro che in questo momento la priorità dev’essere quella di creare, come io ho proposto, come noi del Popolo della Famiglia abbiamo proposto, dentro la grande famiglia del Partito popolare europeo, una zona cuscinetto nei pressi della vecchia città di Adrianopoli, dove poter far vivere in condizioni umane e dignitose queste migliaia di persone, in attesa appunto che si stabilizzi la situazione in Siria dopo il “cessate il fuoco” ottenuto e la politica internazionale possa trovare una soluzione duratura di pace in territorio siriano e queste persone possano rientrare nelle loro città e nei loro paesi, e possano essere fatte rimpatriare in tempi ragionevolmente certi e veloci le persone che sono fuggite da altri Stati che non sono soggetti alla disciplina del diritto d’asilo.
Cosa succede in Siria, e in particolare a Iblid? Perché l’appello del Papa a difesa dei civili?
Iblid è in questo momento il terreno di scontro maggiore che c’è tra turchi e siriani. Sappiamo tutti molto bene che il regime siriano è protetto a livello internazionale dalla Russia, e la Turchia ha chiesto e ottenuto, e sono in corso, i rifornimenti di armi da parte degli Stati Uniti d’America. È chiaro che c’è un conflitto che vuole arrivare ad una spartizione del territorio siriano con l’intenzione da parte della Russia di mantenerne la maggior parte sotto il protettorato di Assad, e da parte della Turchia di poter allargare i propri confini affinché possa essere gestita anche la partita, “eterna” partita turca contro i curdi, che si son trovati sempre come avversari, come nemici in battaglia; e i curdi, ricordiamo, sono rifugiati in questo momento in territorio siriano, e quindi alla caccia dei curdi ci sono i turchi in primis. Il Papa giustamente ha lanciato un appello per la dignità dell’uomo e per la salvaguardia degli esseri umani, sopratutto dei più piccoli e degli indifesi. È chiaro, come abbiamo detto, che la priorità adesso per l’Europa dev’essere quella di garantire prima di tutto la salvaguardia di queste persone, garantendo a livello internazionale o con l’Onu o con un accordo Ue-Turchia, attraverso una intesa di carattere internazionale, la tutela di queste persone, la loro salvaguardia e la creazione appunto di una zona dove possano rimanere serenamente accolti all’interno del territorio turco in attesa di poter rientrare nei loro Paesi. Affianco a questo si creerebbero anche le condizioni di mantenere l’impegno prioritario della tutela dei confini europei: non si può pensare che l’Europa diventi il continente che accolga tutte le persone che fuggono dai loro Paesi per motivi di guerra, di conflitto ed economici; occorre rimpatriare chi non ha nessun tipo di possibilità di accedere al diritto di asilo – penso a coloro che scappano per motivi economici o per motivi di altro genere non rientranti nella disciplina internazionale del diritto d’asilo. E quindi far conciliare una politica di difesa, una politica estera comune dell’Unione europea che difenda i confini, che salvaguardi gli esseri umani, che trovi un accordo con la Turchia per gestire insieme questa emergenza di profughi sul territorio turco, essendo la Turchia parte in causa nel conflitto siriano, che è la causa di questa emergenza-migranti e profughi, e lo si faccia attraverso misure di tutela internazionale e non attraverso i quattrini dell’Europa dati ai turchi per gestire in maniera indegna e indecorosa la vita di queste persone, che merita rispetto.
Erdogan: qual è il suo gioco?
Erdogan è in mezzo a due fuochi, il fuoco russo e il fuoco occidentale; Erdogan sta giocando una partita complicata, che è quella di estendere, incrementare il proprio potere in una zona strategica a livello internazionale, com’è la penisola dell’Anatolia e l’area diciamo del Medioriente. Naturalmente Erdogan cerca da un lato di trovare un accordo con Putin per una spartizione che veda la Turchia mettere le mani su parte del territorio siriano, quindi per quello la partita è aperta anche a livello di conflitto con Assad, che è protettorato siriano sotto la protezione e l’egida della Russia; e dall’altra parte naturalmente ha bisogno di trovare un’alleanza, essendo dentro la Nato, avendo necessità di soldi perché col passare degli anni il suo regime ha creato sempre più povertà e sempre più disuguaglianza economica all’interno del paese e c’è molto malumore e disagio quindi servono soldi per cercare di ristabilire un clima di maggiore serenità all’interno del territorio turco, e quindi vuole trattare da una parte con l’Europa per quanto riguarda l’ottenimento di possibili finanziamenti per la gestione dei migranti utilizzandoli appunto come leva per ottenere soldi dall’Europa, e dall’altra parte con gli americani della “dottrina Trump”, essendo una dottrina interventista a livello di politica internazionale per un ruolo maggiormente da protagonista degli Stati Uniti d’America soprattutto nella zona mediorientale, diventare l’alleato principe contro l’espansione russa in quell’area.
Cosa fa e cosa dovrebbe fare l’Europa, nel contesto di Nato e Onu?
L’Europa ha un solo compito, come abbiamo detto in queste ore in particolare, complicate e delicate, dove Erdogan è presente anche in Europa, convocato per trovare un’intesa e un punto d’incontro coi capi di Stato e di governo europei: il compito di promuovere quella che ho chiamato la zona cuscinetto ai confini greco-turchi per un’immediata accoglienza e gestione umanitaria dei profughi in quell’area, rimpatrio nel breve periodo di coloro che sono fuggiti non per motivi di conflitto, e vedere di gestire nei tempi necessari alla risoluzione del conflitto siriano le persone scappate per la guerra in Siria. Dall’altra parte cercare di creare, attraverso questa occasione di emergenza, un percorso e un processo di politica di difesa ed estera comune degli Stati europei, quindi cercare di creare le condizioni affinché si possa sempre più garantire al parlamento e alla commissione un ruolo autonomo rispetto a quello dei capi di Stato e di governo per definire una politica di difesa ed estera comune che non siano più un’iniziativa volontaria, spontanea dei singoli capi di Stato e di governo. Questo può essere fatto all’intero delle Nazioni unite; sarebbe importante che magari la zona cuscinetto venisse gestita dai caschi blu delle Nazioni unite attraverso una risoluzione appunto dell’Onu, e attraverso anche una armonizzazione dei rapporti interni della Nato con una Turchia che magari tornasse ad essere maggiormente all’intero della Nato in un rapporto stabile con l’Occidente come punto di salvaguardia e tutela dell’Occidente ai confini con l’espansionismo russo.
Trump che snobba la Nato: occasione, rischio o cosa?
Trump snobba, durante tutto il suo percorso-mandato da presidente della “repubblica statunitense”, ogni strumento di politica plurilaterale, ovvero di collaborazione con altri Stati a livello internazionale. Vedi un’America protagonista a testa alta in autonomia a livello internazionale e preoccupata principalmente a rilanciare la propria economia interna, visto anche i risultati oggettivi che ha ottenuto. Quindi, sul tema della Nato, oggettivamente la preoccupazione è minima da parte di Trump. Trump ha un interesse, quello di ridurre ai minimi termini l’espansionismo russo in quelle zone, anche perché sa benissimo che comunque avere una Russia che sta troppo a testa alta a livello internazionale poi potrebbe avere delle ricadute a livello di politica interna soprattutto per eventuali polemiche a livello di campagna elettorale per le presidenziali americani con i democratici, quindi ha bisogno di utilizzare la leva turca in contrapposizione al protagonismo forte e continuo da parte della Russia di Putin. Questo è quello che serve a Trump. Quindi Trump in questo caso non è che ha un interesse ad usare la Nato, di cui non gliene importa nulla, visto che uno dei suoi obiettivi conclamati e anche praticati è il disfacimento del progetto europeo creando alleati vassalli degli Usa, come ha fatto con l’Inghilterra con la Brexit. A Trump fa comodo avere una Turchia che lo spalleggia, primo perché compra armi – essendo gli Usa tra le prime 4 nazioni, anche con l’Italia e la Germania, che sono i principali venditori di armi alla Turchia – e quindi ha un interesse ad avere una collaborazione stretta con la Turchia di Erdogan, e anche perché in questo senso gli permette di avere un alleato in una zona internazionale strategica per gli Usa che hanno forti interessi in quell’area per motivi economici e di geopolitica.
Europa vecchia in crisi demografica: pigliarsi giovani extracomunitari è un fare di necessità virtù?
Su questo tema più volte ho dibattuto, si è dibattuto anche in alcune sedi all’interno del Ppe e del contesto europeo nel suo complesso. Io sono convinto che le politiche demografiche si affrontano prima di tutto, come abbiamo detto come PdF, sostenendo e incentivando la famiglia che fa figli, non per una questione di razzismo, ma una questione legata al bisogno di creare un’educazione di comunità e di popolo che rimetta al centro la bellezza e l’importanza del fare famiglia e del fare famiglia che fa figli. È chiaro poi che ci può essere temporaneamente un processo legato all’applicazione del diritto internazionale d’asilo, che è il punto primario d’importanza che spesso anche papa Francesco ci sottolinea, che è quello di regolare, controllare delle quote annuali di flussi concordati attraverso un’intesa tra Stati a livello europeo per necessità di carattere economico e di carattere sociale. Questo sicuramente sì, attraverso l’applicazione di un principio sano e intelligente d’integrazione con comunità e popoli che possono essere integrabili in maniera efficace nel nostro territorio, come più volte la grande lezione del cardinal Biffi ci ha spiegato quando diceva appunto di favorire e promuovere l’integrazione, l’accoglienza di quei migranti che abbiano una cultura, una tradizione compatibile con la nostra, e di prendersi più tempo e di creare invece percorsi più articolati e più meditati con quelle realtà che hanno una cultura, una tradizione più distante, più “complicata” nella possibilità d’integrazione con la nostra.
Ecco, credo che questo sia un ragionamento possibile, ma non dobbiamo cadere nell’errore purtroppo che fa la sinistra europea e la sinistra mondialista, che è quello di pensare che si possa risolvere il problema demografico occidentale, che è appunto la nostra “peste bianca”, con la gestione dei flussi migratori, come spesso anche una nostra avanguardista di questo fronte che è Emma Bonino ha ripetuto. Assolutamente no, questo sarebbe un errore storico e un errore politico, perché non si può pensare che una civiltà possa abdicare al proprio futuro che dipende da famiglie che fanno figli, attraverso la cessione di questo “scettro” in mano ad altre civiltà che vengono a sostituirsi: si perderebbe una storia, un’identità, una tradizione, che non si devono assolutamente perdere.
Gianluca Valpondi