L’eterna odissea del viadotto Teiro di Varazze. Il ponte fa l’aerosol e va in frantumi. Una perizia indipendente riporta alla ribalta staticità e degrado del cavalcavia in direzione Genova. Dati tecnici inediti alla mano, un esperto si chiede se sia più conveniente demolire e ricostruire, invece che progettare opere costose in “accanimento terapeutico”. Tra le cause del degrado sarebbe il salino. Ma per capire quanta sia profonda la corrosione, ci vorrebbero esami ai raggi X. Per la prima volta al comitato civico parla l’impresario che ha eseguito accurati accertamenti sul viadotto, prima della ristrutturazione generale che risale agli inizi degli Anni ’80
di Angelo Verrando
Da sconosciuto, ignorato, invisibile (come del resto le invocazioni degli abitanti della zona), ora il viadotto Teiro di Varazze è diventato pure “emblematico”. Sì, ma in negativo. Secondo un esperto indipendente – ossia non delle Autostrade, né del ministero – il conglomerato cementizio del ponte in direzione Genova ha avuto “un degrado molto più veloce e grave del viadotto Polcevera di Genova, peraltro costruito dieci anni dopo”. A parlare per la prima volta, è Alberto Triantafillis della società di costruzioni C.T.C. di Treviso. Un’azienda che vanta un team con un’esperienza ricerca storica nel campo dei materiali di ripristino strutturale e delle tecniche applicative.
Qual è la sua analisi complessiva? “Fino alla fine degli Anni ’60 del ‘900, il calcestruzzo è stato prodotto in maniera a dir poco ‘artigianale’, ossia senza seguire regole fisse. La conseguenza è stata, oltre al mancato raggiungimento delle resistenze veramente necessarie, una porosità e una permeabilità che hanno esposto l’intero manufatto a un rapido degrado. E ciò ha inciso sulla limitata durabilità di tutte le strutture”.
Possibile che il degrado abbia origine solo dalla mancata “certificazione” del cemento? “Certo che no. L’ambiente o la classe di esposizione della struttura fanno il resto. Un viadotto come il Teiro sud, costruito nelle vicinanze del mare, o quello sul Polcevera di Genova, a ridosso di una zona industriale con elevate emissioni di fumi contenenti composti aggressivi, avrebbero dovuto entrambi essere costruiti con un calcestruzzo di particolare capacità di resistenza agli agenti esterni, oltre a una elevata impermeabilità. Diversamente si debbono affrontare fenomeni di grave corrosione”.
Come può parlare di degrado del viadotto Teiro sud, in modo così perentorio? Non lo fanno neppure i tecnici che periodicamente eseguono gli accertamenti… “I miei primi sopralluoghi al ponte Teiro direzione Genova, risalgono alla fine degli Anni ’70 e ho un archivio fotografico dell’epoca. Agli inizi dell’80 la mia impresa iniziò gli interventi di ripristino strutturale del manufatto, rilevando subito un’incredibile, diffusa presenza di enormi vespai e segregazioni o nidi di ghiaia in tutte le strutture. La superficie non perfettamente chiusa, quindi porosa e permeabile, ha senza dubbio facilitato la penetrazione di agenti atmosferici aggressivi che hanno causato una riduzione della durabilità, ossia la vita utile del manufatto. E, purtroppo, i difetti non visibili sono i più pericolosi. Gli agenti aggressivi esterni hanno fatto il resto”.
Quali, secondo lei, le precise cause di degrado del viadotto Teiro sud? “E’ senza dubbio dovuto alla inadeguata qualità del calcestruzzo, all’epoca della costruzione fornito a dosaggio, e alla mancata accuratezza della posa in opera. Mancano inoltre le protezioni contro i principali agenti aggressivi come la carbonatazione, il presumibile attacco solfatico da piogge acide e l’attacco salino. Quest’ultimo in particolare, che chiamiamo ‘aerosol marino’, risulta particolarmente deleterio nei confronti dell’armatura, provocando un’intensa corrosione in tempi molto rapidi, per l’azione combinata del cloruro di sodio contenuto nell’aria di mare, unitamente alla carbonatazione”.
Sta dicendo che all’epoca della costruzione non è stato considerato il degrado provocato dal salino del mare? “Per quanto riguarda la progettazione, penso sia stato assolutamente assente il concetto di esposizione ambientale, ma anche di resistenza in funzione della durabilità del manufatto. Quelli che oggi si chiamano vita utile di progetto e di esercizio, in sostanza non sono stati applicati”.
Quindi come vede la situazione attuale? “Il viadotto Teiro presenta criticità come la caduta di calcinacci sull’asse viario della sottostante statale e aree limitrofe. Sono molto visibili i rappezzi effettuati d’urgenza all’intradosso del ponte. Il che dimostra come gli stessi interventi di ripristino degli Anni ’80 si stiano progressivamente degradando a causa dell’esposizione ambientale. E’ quindi auspicabile indagare sulle cause del progressivo degrado del ripristino degli Anni ’80 il quale, comunque, ha consentito di prolungare l’esercizio del viadotto per circa quattro decenni. Tuttavia ritengo che tutte le strutture realizzate fino agli inizi degli Anni ’70 debbano essere considerate a rischio ed attentamente monitorate, per decidere se sia più conveniente un’immediata demolizione, piuttosto che sottoporre il manufatto a un accanimento terapeutico con costosi ed economicamente ingiustificati interventi di manutenzione straordinaria”.
Cosa fare ora? “Prima di effettuare ogni intervento sarà necessario eseguire un’attenta serie di prelievi per determinare, in profondità, ogni corrosione e degrado. Quindi sottoporre i materiali ad analisi chimiche, e tutte le strutture ai raggi X. Ciò, in quanto le semplici osservazioni visive e fotografiche non sono in grado di farci valutare lo sviluppo delle patologie interne, e la sempre più veloce condizione di aggravamento complessiva della salute del viadotto. Solo verificando che degrado e corrosione non abbiano compromesso la staticità del manufatto, si potrà quindi procedere con riparazione, manutenzione e protezione delle strutture. Le attuali tecnologie lo consentono. Ma, ripeto: prima è necessario verificare se sia più conveniente demolire e ricostruire, che non ristrutturare”.
Angelo Verrando, portavoce del comitato viadotto Teiro di Varazze