Mendatica non è certo inedita in Tv nazionale e regionale. Da Rai 1, a TGR Liguria, a Striscia la Notizia, di ‘casa’ Imperia TV, i media locali. Questa volta ha fatto il ‘botto’. Due pagine, grande evidenza ed impatto, con un reportage – inchiesta de la Repubblica edizione ligure. Oltre 10 mila copie, migliaia di lettori on line. Due titoli. “Nelle Alpi senza neve molte idee, troppe frane. Mendatica ed il suo territorio hanno saputo rispondere ai cambiamenti climatici reinventandosi e sfruttando qualità della vita e tradizioni locali. Strade interrotte e pochi bimbi sono la criticità”. Il secondo “A Monesi gli irriducibili che resistono. Storie di chi ha scommesso sul turismo verde ma non riceve nessun aiuto dalle istituzioni”. A San Bernardo di Mendatica la resilienza è dell’albergo ‘da Settimia’, a Mendatica agriturismo Il Castagno con camere e laboratorio – negozio di formaggi propri, l’agriturismo ‘rustico’ Baci du Matu, un negozio di alimentari, la pizzeria U Tecciu.
Mendatica, paese oppresso da frane, da strade anguste anteguerra, interrotte a singhiozzo, afflitta da inesorabile spopolamento, più case vuote che occupate, sette ‘frazioni’, già malghe di pastori, tutte seconde case: Monesi, San Bernardo, Cian Prai, Valcona Soprana, Valcona Sottana, Secae, Le Salse. Un patrimonio immobiliare che nei decenni ha creato sviluppo e benessere, volano al tessuto socio economico locale e della vallata, della sua provincia. E la crisi si ripercuote sulle casse comunali. Dal 2019 Imu in crescendo, passata dal 7,60 al 10,60.
Tra i suoi gioielli la chiesetta di Santa Margherita, unica navata, con un bel portale datato 1512, decorato con cristogramma ed i busti dei committenti. Probabilmente eseguito dai lapicidi di Cenova, famosa in tutta la vallata e che con Mendatica sembra dividere la cattiva sorte dello ‘scivolamento’ a valle. Nella chiesa l’episodio dell’Ultima Cena era stato studiato da Paolo Ramagli e Donatella Ventura in un saggio sulla presenza di oggetti ceramici negli affreschi della Liguria di Ponente tra il XIV e XVI°. Sul tavolo si possono vedere infatti bicchieri, bottiglie, un tagliere forse in legno, vaschette ed un recipiente affine alle salsiere spagnole del XV secolo, presenti anche in tanti altri affreschi.
Donatella Alfonso, 63 anni, giornalista professionista dal luglio 1981, scrittrice, genovese, habituè e cuore nell’imperiese, ha raccontato, con efficacia, pathos e una lunga esposizione, le nostre Alpi “sempre più lontane dal mare”. Il loro sventurato declino, inarrestabile fino ad oggi, gli ultimi anziani a presidiare, i giovani emigrati alla ricerca di lavoro. Non ha invocato una ‘Legge speciale‘ da aree sempre più depresse e povere. Non ha ricordato che se tutti decantano le bellezze, se Monesi è unica nel ponente ligure, come sentiamo ripetere da sempre, dai ‘lecchini’, perchè la consapevolezza di avere un ‘tesoro tra le mani’ non si concretizza nell’acquisto, da parte della Liguria (Regione, Provincia, Comuni) e del Piemonte, della montagna di proprietà Toscano (ed eredi), dove sorgono impianti da scii e nuova seggiovia.
Quale diversa alternativa che non sia altro fumo ? Oltre un milione di mq. da tre anni in cerca di acquirente, senza peraltro richiedere beneficenza. Se non si scioglie questo nodo il futuro non sembra promettere nulla di buono. Si continuerà a navigare a vista, a leggere di promesse e piani di rilancio, come ascoltiamo, da decani cronisti, da quando si arrivò a smantellare la vecchia e gloriosa seggiovia: era la più lunga d’Italia (un gemella resiste nel Tirolo italiano), più di un milione di ‘passeggeri’ trasportati, e ultimo atto della tragedia socio economica dell’alta Valle Arroscia e in buon parte dell’Alto Tanaro.
Se Monesi si ‘consuma come neve al sole’, con qualche sussulto di resurrezione (nuova seggiovia, seppure monca per colposa mancanza di soldi, il ritorno alla stagione dello scii con il manto bianco), non brillava, non sprigionava salute il Parco delle Alpi Liguri. Nato per essere una potenziale e concreta risorsa intercomunale. Preservare, conservare e valorizzare. Chi l’ha seguito dal suo nascere, chi ha avuto la pazienza di tenere e sfogliare l’archivio stampa, nomi e cognomi di presidenti, amministratori, programmi, bilanci, può farsi un’idea, documentata, non per sentito dire.
La giornalista di Repubblica ha ascoltato uno dei ‘testimoni’ per eccellenza, il prof. Paolo Ramella, tra i fondatori e direttore dal 2008 al 2012, dopo aver lasciato l’insegnamento. “Il nostro progetto – ricorda Ramella, storico amministratore comunale della sua Mendatica – coinvolgeva i sette paesi del parco, capaci si valorizzare s fruttare un paesaggio protetto, una somma di elementi naturali e attività umane che avevamo riassunto con lo slogan ‘la natura fatta a mano’. Qui l’ambiente è stato costruito dall’uomo, dai muretti a secco ai sentieri e alle malghe, non case isolate ma piccoli
borghi dove c’era tutto, dalle stalle alle case dei pastori alla chiesetta“.
Cosa è accaduto ? Ramella commenta: “In una serie di atti spesso contraddittori, la giunta regionale di centro sinistra (due mandati, 2005- 2015, col presidente Claudio Burlando, con la vice presidente Raffaella Paita, che le cronache ci ricordano spesso presenti in alta Valle e a Monesi ndr) non è stata capace di avere un’idea precisa, quella del centro destra (un mandato con Sandro Biasotti, 2000- 2005, ora con Giovanni Toti) ha invece abolito via via le aree a parco, tanto che ora sono rimaste solo piccole isole di montagna e di tipo esclusivamente naturalistico. E adesso il Parco non ha più un rapporto con territorio, non interessa più a nessuno: sono stati chiusi gli Infoparco, anche se si prova a riaprirlo. Ma diciamolo: a venti metri dalla battigia, sembra che il territorio non interessi più a nessuno. E’ più facile avere rapporti con i piemontesi…”.
Qualche nota di fiducia ed ottimismo si legge nelle dichiarazioni di Maria Ramella, 31 anni, primogenita di Paolo, ingegnera all’Anas di Genova, coniugata con un mendaighino (per wikipedia mendaticesi), che ad ogni week end torna a casa, tra i suoi monti. E’ presidente della Cooperativa Brigì, 14 soci, 21 i giovani che collaborano in servizi per il turismo sostenibile: la gestione del Parco Avventura, di un accogliente rifugio escursionistico. Il progetto – ambizione di costruire una rete di ospitalità diffusa per escursioni a piedi o con gli asini. Poi c’è chi cura il territorio, con giovani impegnati tutto l’anno. “Pensiamo di poter dare lavoro, almeno stagionale, ma regolarmente a 4-5 persone. E’ la nostra sfida”.
Chi di sfide ne ha già superato tante e tra chi più crede e persegue la condivisione, l’unione fa la forza, ma… è Emidia Lantrua che alla cronista di Repubblica dice: “Qui si vive bene, ormai in solitudine”. Lei che è stata docente al liceo classico, sindaca di lungo corso fino al 2009 ed ora vice di Piero Pelassa al suo terzo mandato – , osserva: “Qui le case possono ancora tenere la porta aperta, il tessuto sociale è la nostra videocamera di sorveglianza”. E si
aggiunga che una svolta alla coesione, un colpo d’ala, ha saputo darlo il dinamicissimo parroco, don Enrico Giovannini, umile ed energico apostolo di montagna dal marzo 2014, una vocazione adulta, laurea in farmacia, musicista ed orchestrale di compagnia, gran organizzatore, tra chi non ha dismesso la talare senza peraltro ricorrere alla Santa Messa Tridentina praticata da 10 anni, a Borgo Peri di Imperia, ogni domenica e festa di precetto. Affollata di fedeli, iniziativa ben voluta dall’allora vescovo diocesano, ora emerito, mons. Mario Oliveri in ossequio a Summorum Ponteficum di Papa Benedetto XVI.
Emidia che, come trucioli ha spesso descritto, è orgogliosissima di una decina almeno di ‘ragazzi e ragazze’ del paese che si sono diplomati e laureati, nonostante le scuole siano a Pornassio, Pieve di Teco, Imperia. E una considerazione su un’altra ‘maledizione’ che ha colpito questa terra. L’eliminazione delle Comunità Montane che erano pur sempre appannaggio della politica e del potere di turno. A partire dal 2011 le loro competenze non sono state pienamente assorbite da altri enti, troppo ‘distanti’, fisicamente e soprattutto mentalmente.
Cosa si poteva fare per non finire tra gli italiani che si accontentano della mancetta, non finire nel gregge che segue chi abbaia alla luna, promette e vende come garantito ciò che alla fine svanisce. E’ vero siamo il Paese Italia dove convivono due economie, una ufficiale e l’altra ufficiosa e che non implode grazie al sommerso diffuso, ai 120 miliardi di evasione. Un paese dove non si investe nella cura del territorio e delle aree depresse e poi si rincorrono i disastri, le frane, il dissesto idrogeologico favorito dall’abbandono in massa della coltivazione, della cura del boschi. E chi rimane a presidiare non ha alcun incentivo fiscale, nè benefici pubblici concreti. Anzi, anche nelle condizioni estreme come sta vivendo Mendatica (forse situazione senza pari in Liguria, dalle prime frane), si finisce per ricorrere all’aumento dell’Imu sulle seconde case ( spesso case abbandonate e disabitate da anni, bisognose di interventi) passato da 7.60 a 10,60. Una montagna che non può contare sul ‘fatturato criminale’ del Bel Paese stimato in 150 miliardi. Il paese Italia che non conosce le turbolenze sociali pari alla ‘cugina’ Francia. Che non implode grazie al sommerso. La montagna ligure dove la scarsa cura del territorio non può essere addebitata a chi non ha mercato se mette in
vendita un terreno, piuttosto che una casa, un pascolo. Con roveti ed abbandono di terre incolte, improduttive, il bosco che avanza, qua e là resta ancora il mercato del legname. A Mendatica, fino ad un paio d’anni, fa era attivo come artigiano di raccolta e trasporto di legname dai boschi ad industrie di trasformazione del cuneese Roberto Saldo, papà Egidio era stato sindaco negli anni ’50. Un’attività datata e seconda del settore nella cronologia storica della Camera di Commercio imperiese.
Il sindaco, Piero Pelassa, artigiano pensionato, contitolare di un’azienda agrituristica di famiglia, fa risalire le cause dello spopolamento a 40 anni fa. “Si fosse investito da queste parti, la gente non se ne sarebbe andata a cercare lavoro altrove e avrebbe manutenuto il territorio” – dichiara a Repubblica – E rivela che Mendatica è unica in Liguria ad aver messo già in sicurezza il territorio che la circonda. Un sistema gestito da una centralina elettrica che aspira fino a 12 mila litri d’acqua all’ora quando ci sono piogge importanti, riversandoli nei rii e liberando dal peso eccessivo l’argilla inzuppata del terreno. “Un sistema molto usato in Francia – ricorda il sindaco aggiungendo – che “ Mendatica che poteva disporre di due centraline idroelettriche, utili come il pane per il bilancio comunale. La frana di Monesi ha spazzato via quella inaugurata nel 2014, se ne sono andati 50 mila euro l’anno, che si aggiungono ai 100 mila euro di mancato introito per le case franate o abbandonata dal 2017. ” E’ avviato l’iter burocratico per il recupero di quella di Monesi spazzata via come un fuscello, dalla furia del Tanarello. E un plauso per aver seguito con professionalità e impegno andrebbe riconosciuto anche per il suo alto senso del dovere al segretario comunale (ora in pensione) Antonio La Manna, siciliano ma esemplare figlio di Mendatica a pieno titolo.
MONESI GLI IRRUDUCIBILI
Un titolo su Repubblica ed un opportuno approfondimento anche per Monesi di Triora, la ‘capitale’ che ospita gli impianti sportivi e dove, con gli anni ’60, era ‘sbocciato’ il ‘miracolo di piccola Svizzera’, trainando, da locomotiva, Monesi di Mendatica. E proprio col 2016 si coglievano segnali di ripresa, sepolti alla ‘disgrazia’ di perdere, nella mega frana, l’investimento privato nel “Rifugio del Ramingo”. L’asfissia per tutte le seconde case colpite dall’ordinanza sindacale di divieto di accesso e forse con il 2021 la fine dell’isolamento, anche se non si parla, come si dovrebbe, dei 5 milioni che il Comune ha chiesto alla Regione per mettere in sicurezza la malga, un tempo abitata da pastori transumanti. Ora solo tre immobili sono rimasti di proprietà mendaighina.
Monesi che, come descrive il reportage di Donatella Alfonso, ha un personaggio come Annalisa Lanteri che qui è cresciuta con la sorella primogenita (il papà compianto è stato sindaco di Briga Alta) aiutando i genitori prima nell’albergo Redentore (da tempo semi rudere, proprietà Parodi – Cozzi), poi nel negozio di alimentari ed infine la resistenza con il bar tavola calda Vittoria che nel suo profilo Facebook ha per slogan: ‘Monesi. Il paradiso è qui‘. Se la famiglia Lanteri, tra esemplari sacrifici e dedizione, ha vissuto ‘Monesi alle stelle‘ e poi, loro malgrado, ‘nelle stalle e desolazione‘, un’altra famiglia non merita di essere dimenticata. I Porro di Nava, con il ‘patriarca’ Remo e la moglie Franca passata ad altra vita. Sono stati i primi ad investire e a ‘credere’ dopo il crollo dei fratelli Galleani di Alassio e la tragica morte di Armando Lanteri.
I Porro hanno realizzato la ‘Vecchia Partenza‘ ristrutturando ed ampliando, con la trasformazione in albergo, ristorante, bar e negozio di alimentari, l’area che ospitava l’originaria partenza della seggiovia. La struttura inizialmente gestita dai coniugi Porro. I due figli sono titolari del prestigioso e omonimo pastificio di Nava, animati da grande amore e passione per questa montagna dallo scorso anno hanno inaugurato il rifugio La Terza, in località Valletta, edificio modello ed accogliente che corona un sogno di papa e mamma, datato 1995 quando hanno acquistato la terza stazione della seggiovia. Chiuso per la stagione invernale, riapre in primavera sulle ali del successo fin qui riscosso, una clientela italiana e straniera di segmento medio alto. Una capienza per 30 persone, camere con servizi e comfort, ristorante e cucina locale casalinga. Sorge lungo La Via del Sale, itinerario mozzafiato che si snoda su un’antica strada militare che collega Monesi di Triora a Limone Piemonte. Un tracciato interamente sterrato di una lunghezza complessiva di 39 km. Accesso con pagamento di pedaggio ed introiti reinvestiti nell’ambiente.
Oggi a presidiare la Vecchia Partenza una giovane coppia di Alassio, Simona Pagliasso e Murizio Erca. Sono rimasti nonostante le frane e l’isolamento totale verso Monesi di Mendatica, la riapertura del ponte che unisce Monesi di Triora a Piaggia (enclave cuneese e capoluogo di Briga Alta, con la sede del Municipio rimasta a Ormea, il commissario prefettizio come conseguenza dello scioglimento del consiglio comunale appena eletto) e da qui verso Upega e Viozene. A Piaggia dove d’inverno sono rimasti padre e figlio (i Pastorelli) dopo aver lasciato per sempre Boissano dove vivevano.
La Vecchia Partenza capace di ospitare fino a 150 coperti. Con la stagione della neve e dello scii, prima del 2016, fine settimana da tutto esaurito. “Adesso, se va bene, di domenica, siamo a 5- 6 coperti”. “Ma loro ci credono – scrive la giornalista – e aspettano che qualcuno si accorga di loro”. “Io avevo un locale – ricorda Simona -, lui faceva l’artigiano. Nonostante tutto questo posto non l’abbiamo voluto abbandonare e se apriranno la nuova circonvallazione di Monesi a maggio o giugno sarà finalmente la fine di un lungo isolamento. Anni duri di solitudine, nessun aiuto. Neanche una telefonata dalle istituzioni”.
Un inciso, farina del nostro sacco. Alessandro Lanteri, presidente della Pro Loco di Mendatica, qualche anno fa sosteneva che la “Cucina Bianca di Mendatica ha promosso incredibilmente l’Alta Valle Arroscia e che senza le mille piccole feste disseminate nelle decine di borghi del nostro entroterra (e sarebbe un elenco lunghissimo…) nessuno si sarebbe reso conto delle bellezze nascoste dietro al mare”.
Negli ultimi tempi i media imperiesi hanno suonato la gran cassa di un “grandioso programma di rilancio di Monesi e del suo comprensorio “(dichiarazioni ripetute dall’assessore Marco Scajola alla beniamina Imperia Tv). Si parla di project financing, riattivazione della seggiovia, dell’unico skilift rimasto. C’è chi ha provato sulla propria pelle che non basta essere determinati ed innamorati di questa montagna per resistere fino allo stremo. In Regione c’è chi ripete di “aver lavorato 15 ore al giorno non per i propri interessi, ma per fare della Liguria la protagonista in Italia”. A Monesi si condivide il territorio con quello della Regione Piemonte. Liguria e Piemonte amministrate dal centro destra e dalla ‘Lega di Salvini‘: quella che si proclama “governo del fare“, contro il ‘governo dei no‘ e ‘Prima gli italiani‘. Manca lo slogan ‘Prima i montanari e la montagna area di crisi’. E’ quanto hanno fatto gli amministratori della Provincia autonoma di Bolzano. Dando la priorità degli investimenti e sviluppo (infrastrutture ed incentivi) all’alta montagna, tra malghe e pastorizia, creando benessere per chi è rimasto a presidiare, una virtuosa attrattiva turistica e dove i figli non fuggono verso le città alla ricerca di lavoro, di una vita e di un futuro migliore. Non governi di destra o di sinistra, ma la Südtiroler Volkspartei. La nostra Democrazia Cristiana che nella storia italiana è stata capace del ‘miracolo economico’ post bellico, tra tante contraddizioni. disuguaglianze, ingiustizie. E lasciato irrisolto, in eredità, che in tre regioni dominasse la mafia con un’organizzazione criminale da ‘cappa di piombo’.
A Monesi una certa politica dominante non è mai stata avara di annunci, promesse (e illusionismo), passerelle, convegni, red carpet. Utile riavvolgere il nastro di almeno 40 anni e domandarsi: Monesi risorgerà e quando ? Siamo finalmente sulla buona strada ? Non bisogna essere popolari se vuoi risolvere i problemi, meglio in tempi brevi e dare certezze con lungimiranza. Serve apparire un po’ meno e se prometti realizzare, senza accampare di volta in volta scusanti. Anzi senza ascoltare da 40 anni: bisogna passare dalle parole ai fatti. O bisogna essere creduloni ?
Luciano Corrado
GRAZIE AI TEMPI CERTI DEL MISTER
PURCHE’ SIANO I POVERI BAGNI MARINI DELLA LIGURIA
Comunicato stampa della Regione Liguria
DEMANIO MARITTIMO: ASSESSORE SCAJOLA IN CONFERENZA UNIFICATA, “OTTENUTO IMPEGNO MINISTRO BOCCIA A PORTARE QUESTIONE DOMANI IN CDM. SERVONO RISPOSTE CERTE E TEMPI RAPIDI, ESTENSIONE DI 15 ANNI È INDISPENSABILE”
GENOVA. “Bisogna passare dalle parole ai fatti, servono risposte certe in tempi rapidi, per garantire la proroga delle concessioni demaniali marittime per i prossimi 15 anni”. Questa la richiesta avanzata oggi in Conferenza unificata tra Stato, Regioni e Comuni dall’assessore al Demanio di Regione Liguria Marco Scajola, che, in veste di coordinatore nazionale per il Demanio marittimo, è intervenuto duramente nei confronti del governo alla presenza del ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia per chiedere tempi rapidi e certi sul fronte delle concessioni balneari.
“Ho ottenuto l’impegno del ministro Boccia – ha spiegato Scajola – di portare la questione all’ordine del giorno della riunione del Consiglio dei ministri prevista domani. Vigileremo affinché siano assunti i provvedimenti necessari. Manca, infatti, il decreto attuativo della legge 145/2018 che ha prorogato di 15 anni le concessioni demaniali marittime: nonostante le ripetute richieste di incontro e le sollecitazioni, non sono arrivate risposte. Quel decreto avrebbe dovuto essere approvato entro il 30 aprile scorso: a quasi un anno di distanza e alla vigilia dell’avvio della stagione, la pazienza delle Regioni, dei Comuni e delle imprese è esaurita, non possiamo più aspettare. In gioco c’è il futuro di oltre 30 mila aziende in Italia, una realtà economica e sociale fondamentale per il paese. Siamo pronti da tempo a lavorare insieme per definire eventuali elementi che il governo ritenga utile approfondire ma non possiamo accettare ulteriori rinvii o dilazioni. Pretendiamo che il Governo intervenga subito, per garantire il lavoro di tante imprese presenti e attive sul territorio da anni, che creano ricchezza e occupazione e hanno investito risorse importanti, soprattutto in Liguria dove hanno dovuto far fronte ai danni ingentissimi provocati dalle mareggiate e oggi hanno bisogno di avere certezze sul futuro”, conclude Scajola.