Gli ultimi dati disponibili sulla vendita in edicola dei quotidiani non lascia dubbi. Si legge sempre meno e assistiamo all’offensiva dei social che stanno stravolgendo il mondo della comunicazione senza alcun rispetto per la deontologia professionale ? L’intervento del vice segretario nazionale del sindacato dei giornalisti Alessandra Costante, ex segretario ligure dell’Associazione. E ancora: la qualità dell’informazione non premia più ? La Stampa, ormai primo quotidiano nel ponente ligure (Savona e Imperia) è a 88 mila copie nelle sue varie edizioni; Il Secolo XIX che resta primo su Genova, è a 32 mila copie. Teniamo pure in considerazione che i due gloriosi e storici quotidiani sono presenti in molti esercizi pubblici (bar e ristoranti), dunque i lettori si moltiplicano. E che le redazioni hanno i costi di giornalisti professionisti e del contratto nazionale di lavoro.
Scrive in una nota ai colleghi Alessandra Costante: “Siamo di fronte all’ingresso, nelle aziende editoriali, di semplici smanettoni, dipendenti non giornalisti, tecnici del web, e non certo dei social media manager, che invece può essere una delle nuove specializzazioni di noi giornalisti, se non vogliamo che la nostra professione diventi marginale. Anzi, come vice segretario nazionale della Fnsi e personalmente, auspico che le nuove professioni del web, dal social media manager al web editor e a tutte le altre, siano svolte dai giornalisti o, comunque, da persone che possano diventare giornalisti o contribuire alle casse del nostro Inpgi perché si possa continuare ad essere autorevoli, indipendenti e autonomi.”
Ormai una lotta impari con il crescente successo dei social. Quelli locali al 95 per cento producono e pubblicano ‘copia e incolla‘ notizie e comunicati di cronaca bianca, nera e rosa. Approfondimenti ed inchieste giornalistiche quasi zero. Costi redazionali al massimo risparmio e concorrenza spietata sul mercato pubblicitario, proprio vantando la supremazia di lettori anche in questa o quella provincia, a scapito dei quotidiani con cronaca locale.
Roma, 16.1. 2020 – L’Ads (Accertamenti Diffusione Stampa) certifica che lo scorso novembre, per la prima volta, i quotidiani italiani tutti insieme hanno venduto meno di 2 milioni di copie al giorno. Rispetto al novembre 2018 si tratta di una perdita di 151.456 copie, meno 7,5%, in totale 1.859.910 copie vendute contro 2.011.366 dell’anno prima. In particolare: Corriere della Sera: 175.993 contro 181.588, Repubblica 133.584 contro 143.548, La Stampa 88.853 contro 100.830. Sono tutti in calo, a parte La Verità (passata da 21.763 a 24.201) e Libero (da 23.946 a 24.971): il Sole è ridotto a poco più di 38 mila copie, il Fatto a 23 mila, il Giornale a 40 mila, il Messaggero a 66 mila. Tra i locali, il Quotidiano del Sud, dopo l’apertura dell’edizione nazionale guidata da Roberto Napoletano, ha raddoppiato la diffusione, 9.200 copie al giorno contro le 4.800 del 2018.
CLASSIFICA DELL’INFORMAZIONE ON LINECLASSIFICA DEI GIORNALISTI ITALIANI PIU’ ATTIVI SUI SOCIAL
LETTERA Invitata dall’Ordine Giornalisti di Liguria nel programma degli incontri di aggiornamento con crediti agli iscritti, Marina Macelloni, presidente dell’INPGI, ha delineato il delicatissimo quadro in cui versa l’Istituto.
“L’autonomia dell’INPGI – ha sottolineato – è un pilastro, e dove non ci sono i soldi è più facile perderla. Parte del Governo, quella a noi meno favorevole, ha capito che il punto debole della categoria non è l’esistenza o meno dell’Ordine (tanto che la proposta d abolirlo si è via via diradata), ma il nostro Istituto. Si tenta insomma di colpire al cuore le nostre prerogative: le pensioni, il welfare, così da indebolirci e impedirci di operare in un modo corretto. La nostra non è una lotta per difendere privilegi ormai spariti, ma per tutelare il diritto a svolgere un mestiere determinante per la vita democratica. L’Istituto è in crisi non perché mal gestito. E’ in difficoltà la sua parte legata al lavoro dipendente, che soffre per i problemi dell’editoria dovuta principalmente ma non solo alla diminuzione delle vendite e della pubblicità”.
I DATI – La presidente ha snocciolato dati allarmanti. Dal 2013 si sono persi tremila iscritti che versano i contributi, un 15 per cento del totale: una flessione percentualmente superiore a quella patita dalle altre categorie professionali. L’INPGI ha supportato con ammortizzatori sociali 7 mila colleghi, in pratica combattendo la crisi dell’editoria con soldi dei giornalisti stessi. Dal 2009 al 2019 si è proceduto a ben 1121 prepensionamenti (anche di 5 anni rispetto ai tempi normali), con un costo di 167 milioni alla voce mancati contributi. Sul fronte degli ammortizzatori sociali in 5 anni sono stati 408 i ricorsi alla cassa integrazione con una perdita diretta di 20,5 milioni e altri 46 milioni per i contributi figurativi. Ben 594 le azioni inerenti la solidarietà per i colleghi in difficoltà economiche con 61 milioni di esborso diretto e 51 di contributi figurativi. Dal 2011 il bilancio dell’ente presenta un crescente sbilancio, con un reddito lordo medio degli iscritti sceso da 65 mila a 59 mila euro.
I RIMEDI – “La riforma delle prestazioni ha toccato tutti in rispetto a una doverosa equità: giornalisti in attività, pensionati, donne. Qualche esempio: l’allungamento dell’età pensionistica, l’introduzione del metodo contributivo per il calcolo degli assegni di quiescenza, i contributi di solidarietà applicati alle pensioni (strumento che scade il prossimo febbraio e non potrà essere prolungato). Nel 2017 si sono registrati 541 nuovi pensionamenti, due anni dopo la cifra è scesa a 199. I primi effetti di questi provvedimenti si sono già avvertiti, ma non basta”.
NUOVI PREPENSIONAMENTI – Il recente provvedimento governativo, utile a venire incontro alle aziende editoriali con una nuova ondata di prepensionamenti, non potrà che aggravare il bilancio dell’INPGI. Dopo decine d’incontri tra le parti, si è giunti a un’intesa sulla base di un giornalista assunto ogni due pensionati anticipatamente, ma il Movimento 5 Stelle ha imposto la facoltà per gli editori di assumere un non giornalista al posto di un iscritto all’Ordine. Una forzatura che la Federstampa – rappresentata alla riunione genovese dal presidente regionale, Fabio Azzolini – non intende accettare: “Non firmeremo alcun accordo in tal senso, e senza il nostro sì, gli editori si troveranno con le spalle al muro davanti al Governo”. Va precisato che, per due pensionandi dalla retribuzione media di 95 mila euro, ne verrebbe assunto uno pagato mediamente 25 mila euro annui, con contributi INPGI proporzionati.
IL FUTURO – Per l’autonomia dell’Istituto si è identificata una sola strada: l’allargamento del numero dei contribuenti attraverso l’inglobamento dei cosiddetti comunicatori, professionisti che pur svolgendo attività affini alla nostra, non siano ancora iscritti all’Ordine o, comunque, che non versino i propri contributi nelle casse INPGI. Chiaramente, per intercettare questo tipo di lavoratori e scongiurare così un commissariamento per legge, occorre un intervento governativo ad hoc i cui contorni sono già stati delineati. L’unico punto controverso riguarda i tempi: il 2023 inizialmente fissato è terribilmente lontano per le esigenze dell’INPGI, i cui vertici si stanno battendo per anticipare al 2021 l’inserimento delle nuove figure professionali. Secondo la lunga indagine svolta in sinergia con il Ministero e con l’INPS, i soggetti che rientrano nel novero dei potenziali nuovi iscritti INPGI sono, a una stima probabilmente errata per difetto, 14 mila, di cui 6 mila del settore pubblico e 8 mila del privato. Il riferimento è in primis ai componenti gli uffici stampa, agli addetti all’URP. Ovviamente, dal numero di comunicatori neo aderenti all’INPGI, dipenderà l’entità della loro rappresentanza in seno al direttivo dell’ente. L’affinità tra le loro e le nostre attività dovrebbe scongiurare autentici conflitti di interesse.
APPRODO ALL’INPS – Questa sarebbe l’inevitabile conseguenza in mancanza del progetto di riforma sinora illustrato. Arriverebbe un commissario, con tre anni a disposizione per procedere allo scioglimento dell’istituto e al passaggio all’INPS. Pesantissime le conseguenze a livello di assicurazioni contro gli infortuni (l’INPS non ne prevede per categorie come la nostra), assegni di reversibilità, interventi a favore dei disoccupati. Per non parlare dell’entità stessa degli assegni pensionistici: sarebbe illegale infatti garantire a noi giornalisti un trattamento diverso da quello ricevuto dagli altri pensionati INPS a parità di contributi. Neppure il fatto di garanzie nel tempo ci sarebbe un vantaggio. L’INPS infatti sta perdendo 100 miliardi di euro l’anno e costa alla collettività il 16,6% del PIL. Chi ci assicura che regga?
Al termine della riunione, ha preso la parola Alessandra Costante, ex segretario ligure dell’Associazione Giornalisti e attuale vicesegretario nazionale, per chiedere alla categoria la massima unità nella battaglia per la difesa dell’autonomia dall’offensiva dei social media manager, che stanno stravolgendo il mondo della comunicazione senza alcun rispetto per la deontologia professionale.