Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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La natura: prima rivelazione di Dio


L’uomo moderno, a causa dell’ammaliziamento, dell’erotismo, nonché dell’aggressività che porta a distruggere le cose che vede o ad accaparrarsele egoisticamente per ricavarne quasi esclusivamente vantaggio economico, fa difficoltà a incontrare la natura sotto forma di gratuità e di stupore, e di conseguenza, privo o carente dell’aiuto dello stupore, è molto improbabile che riesca ad elevarsi a realtà diverse, superiori, celesti, aperte al divino, tramite la visione di panorami sia pur spettacolari.

di padre Max Anselmi, passionista

Padre Max Anselmi promotore e curatore dell’edizione integrale italiana delle opere della monaca passionista Maria Maddalena Marcucci di Gesù Sacramentato.
E’ nato nel 1943 a San Bortolo, nella contrada Venchi, del Comune di Selva di Progno (VR) nella Lessinia Orientale, dove le stelle alpine crescono a bassa quota e si ha l’impressione che il cielo sia più vicino.
Nell’anno mariano 1954, a 11 anni, è entrato all’alunnato che i Passionisti hanno in Brianza, a Carpesino d’Erba (CO).
Nel 1957 da Carpesino passò a Basella d’Urgnano (BG), per frequentare la terza media. Nel 1958 ritorna a Carpesino d’Erba per il primo anno di ginnasio. Nel 1959 per il secondo ginnasio fu mandato nel nuovo seminario di Calcinate (BG) e da qui a San Zenone degli Ezzelini (TV), dove trascorse l’anno di prova del noviziato. Il 7 settembre 1960 la vestizione e l’8 settembre 1961  la prima professione dei consigli evangelici aggiungendovi quello specifico dei Passionisti di promuovere la memoria della passione del Signore tra i contemporanei.
Per quattro anni fu di comunità nel convento dei Passionisti di Mondovì (Cuneo), dove frequenta i tre anni di liceo classico e in più 1 anno di filosofia. Il 3 settembre 1965, in considerazione che era nato in un paese, la cui popolazione era di orgine cimbrica, fu inviato in Germania, quale membro della comunità passionista di Schwarzenfeld, nell’Alto Palatinato (Oberpfalz). Dal 1965 al 1969 frequenta la facoltà teologica prima all’Hochschule e poi alla nuova Università di Ratisbona. Ordinato sacerdote nel duomo di Ratisbona il 29 giugno 1969, dopo qualche mese, fu inviato di comunità a Monaco di Baviera, nel convento passionista di Pasing, rimandendovi per 3 anni e mezzo.
Qui si specializzò attraverso corsi privati in lingua e letteratura tedesca e con l’intenzione di laurearsi si iscrisse alla facoltà di Filosofia dell’Università di Monaco di Baviera. Purtroppo poté frequentarla solo per 1 semestre perché il 7 febbraio 1973 fu obbligato a ritornare in Italia, precisamente a Carpesino d’Erba, dove era iniziata la sua esperienza passionista.
Dal 1973 al 2008, accanto ai compiti assegnatigli di missionario popolare e di formatore dei giovani passionisti, cerca di svolgere con la massima dedizione, per scelta personale non trascura mai di coltivare lo studio e la ricerca storica e critica della spiritualità passionista.  Basterà richiamare qualche titolo per dimostrare il suo intenso e vasto interessamento per la cultura passiologica.
Ancora studente scrisse un articolo per la rivista della passione, Fonti Vive, sul mistico tedesco Susone (Seuse). Cessata la pubblicazione di Fonti Vive, appoggiò il sorgere della iniziativa delle Schede bibliografiche sulla passione. Partecipò attivamente ai tre Congressi internazionali sulla sapienza della croce (Roma 1975, 1986, 1994) e a quelli su santa Gemma Galgani (Lucca 1978, 2004).
Diversi sono i lavori di cultura e di spiritualità passionista, particolarmente impegnativi, portati a termine da lui. Ne elenchiamo qualcuno.
Il Diario di san Paolo della Croce in una nuova trascrizione con il testo originale.
Tutte le lettere che san Paolo della Croce diresse ai laici.
Nel secolo XX il carisma passionista ha avuto uno sviluppo particolarmente forte negli ambienti femminili, per questo Padre Max ha accettato di impegnarsi a fondo perché alcune splendide figure di religiose fossero maggiormente conosciute e soprattutto perché da esse si attingessero quelle intuizioni che aiutano ad essere creativi nel promuovere oggi il carisma passionista.

Perché l’incontro con la natura si ponga anche per noi, uomini moderni, quale via per l’incontro con Dio, occorre farlo quindi passare attraverso non poche modifiche e purificazioni.

Innanzitutto, per aprirsi all’esperienza del divino, occorrerà vincere prima la menzogna in noi e attorno a noi, nella scienza e nella cultura, attraverso un intenso lavoro critico di pensiero, in modo da essere resi capaci di incontrare la natura nella verità, esattamente nella verità scientifica. Solo se s’incontra la natura nella verità, essa si trasforma in chiave che ci apre e immette nella contemplazione del divino, una contemplazione che sfocia nello stupore per la grandezza, sapienza, bontà e bellezza di Dio, e si esprime nella dossologia, ossia nel canto di lode, che riempie la persona di soavissimo amore.

Ai nostri giorni c’è in atto un cambio vistoso e importante nella contemplazione della natura. Lo scopo della contemplazione della natura resta sempre quello di favorire, di facilitare l’elevarsi alla contemplazione delle realtà celesti, solo che l’ordine di procedere per raggiungerlo è, rispetto al passato, diverso, anzi cambiato e persino rovesciato, in quanto non si parte dall’ammirazione e dallo stupore, ma dalla vittoria sulla menzogna tramite il ricupero della verità che comunica forza elevante, perché ai nostri occhi di moderni ogni cosa, anche la più bella, è debole, fragile ed incapace a toccarci il cuore e promuovere l’estasi. Si fa per dire, perché propriamente il rapimento estatico che crea un’unione psicologica e spirituale piena con Dio, non può mai essere prodotto o procurato dalla creazione e neppure dalla contemplazione amorosa più intensa della natura, ma è frutto dello Spirito Santo ed è legato sempre al mistero del Messia Gesù, della sua Incarnazione, Passione, Morte, Risurrezione e Glorificazione ed ha come meta il mistero trinitario. Come si nota, la spiritualità della natura, per essere vera, va integrata nella spiritualità pasquale e trinitaria.

Inoltre, nell’atto contemplativo non si deve mai dimenticare che se l’oggetto della contemplazione, in questa caso la natura, è molto importante, non lo è da meno il soggetto, che è la persona umana, vertice della creazione, custode della natura, figlio di Dio, re, sacerdote e profeta. Se nell’atto contemplativo manca o non si fa viva e non cresce questa consapevolezza nel contemplante, della sua identità, della sua verità, la relazione con la natura attivata dalla contemplazione va considerata “fallimentare”, perché non migliora né la natura né il contemplante, ossia non fa amare e rispettare maggiormente l’opera di Dio quale è la natura e quindi non fa amare e rispettare maggiormente neppure Dio che ne è l’origine e il creatore. E se l’atto contemplativo non fa crescere, purificare, santificare chi medita, perché egli, non ricevendone l’influsso positivo, non diventa più buono, né si sente in armonia con tutto e con tutti, allora non viene neppure pacificato profondamente e stabilmente. La conseguenza è grave e penosa. Infatti se la contemplazione della natura non cambia e non migliora il meditante, essa non raggiunge il suo stupendo scopo di sanare e fortificare chi la contempla e la ama.

Quella di san Paolo della Croce e di suo fratello Giovanni Battista è stata ed è una contemplazione e una mistica autentica, “riuscita”, della natura perché se da un lato costituisce una parola critica verso le varie spiritualità che tendono ad accontentarsi e ad abbassarsi a forme riduttive e panteistiche, essa dall’altro non manca di far dono ai nostri contemporanei in ricerca di Dio di una seria risposta, proponendo itinerari genuinamente aperti alla trascendenza.

Per una spiritualità della natura che voglia portare a Dio, al primo posto ci sta la verità delle cose, segue quindi lo stupore e infine il tutto viene coronato dalla lode incessante. La spiritualità della natura come è stata intesa e vissuta da san Paolo della Croce e da suo fratello il venerabile Padre Giovanni Battista ha un quarto gradino che merita di essere ricordato: quello del cantare in spirito.

Chi entra nella contemplazione della natura, come fa chi entra in un folto bosco, trascorre il tempo camminando, amando e cantando. Allora il cantare in spirito diventa l’attività fondamentale del contemplativo. Egli eleva un canto che è sempre nuovo, perché è legato all’amore per Dio e per la povera umanità da salvare e santificare. Si tratta pertanto di un canto d’amore che sgorga da un cuore penitente. Il contemplativo prega, ama, gioisce e piange. Sì, piange, perché la contemplazione della natura che raggiunge il livello del cantare nello spirito è caratterizzata dal dono delle lacrime, come è ampiamente documentato nella biografia di san Paolo della Croce e di suo fratello, Padre Giovanni Battista. Di lui si dice: «Si deliziava altresì nelle sue dilette solitudini di cantare altre lodi e canzoncine spirituali, almeno nei primi anni, per così sempre più sollevare il proprio cuore e tenerlo unito con Dio. Dissi “nei primi anni”, perché cresciuta maggiormente l’intima unione con Dio, cantava col silenzio del suo amore, di continuo al Signore un canto nuovo».


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