25 Luglio 1943: una tragedia non priva di tratti farseschi. Gerarchi fascisti che cercavano di salvare se stessi e una certa idea di fascismo scaricando su Mussolini tutte le colpe del disastro in cui era stata precipitata l’Italia. Un re che tentava di ricostruirsi una propria statura morale facendo arrestare Mussolini già abbandonato dai suoi gerarchi.
Un’opposizione antifascista che faticava a parlare un linguaggio comune. Gli alti ufficiali che congiuravano per sostituire il duce con uno dei loro. Gli italiani che si illudevano che la caduta di Mussolini significasse finalmente la pace e sarebbero stati risvegliati dalle loro illusioni dalle fucilate sparate sui manifestanti per ordine del nuovo capo del governo.
Tanti fascisti che avevano applaudito Mussolini nei giorni del suo trionfo che gettavano via camicie nere e simboli del fascismo. I fratelli Cervi che organizzavano una pastasciutta popolare per festeggiare la caduta di Mussolini, evento che viene ogni anno ripetuto in tutta Italia per iniziativa dell’Istituto Cervi: a questo proposito ha ragione la mia amica Claudia Carosi (storica dirigente dell’ANPI di Finale Ligure) a rivendicare che l’evento della pastasciutta, per non essere ridotto ad una delle tante sagre estive dei nostri borghi, deve essere sottolineato nella sua carica antifascista, non solo dell’esplosione di gioia per la caduta del duce, ma soprattutto perché quella prima pastasciutta fu resa possibile dalla disobbedienza antifascista che i fratelli Cervi avevano praticato per anni nascondendo il burro che i fascisti pretendevano di requisire e perché, nell’offrire al popolo il loro cibo, i fratelli Cervi non lo negarono ai carabinieri che non sapevano cosa fare davanti a quell’assembramento e neppure all’unico che si era presentato con ancora indosso la camicia nera, perché non aveva altro da mettersi.
Luigi Vassallo