Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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La storia: così nacque il Mar Ligure – Piemontese (con Monferrato e Langhe)
e il Mediterraneo ora è come un oceano


Il mar Ligure è definito ‘un oceano in miniatura’ perchè in esso sono presenti pressochè tutti i fenomeni  idrodinamici, che caratterizzano le masse d’acqua oceaniche. E’ un mare vivo, dove si concentrano le forme di vita più diverse.  Su di esso ha profondamente inciso la presenza dell’uomo, che lo ha pesantemente condizionato anche se, possiamo dirlo, fortunatamente, non lo ha rovinato. Liguria un territorio enormemente antropizzato, le sue coste sono densamente popolate e urbanizzate a suon di ‘seconde case’. Molte attività  si svolgono in mare, lungo le sue rive e grazie alla sua attrazione. Quanto accaduto, tra il 29 e 30 ottobre 2018, sulla costa, con danni ingenti e senza precedenti almeno a memoria d’uomo, ha acceso la fantasia popolare e dei mass media: carta stampa e social. Nella discarica di Facebook commenti da tutto e di più, allarmi, preoccupazioni, segnalazioni, passaparola. Barriere anti-onde e lotta agli abusi ? Si possono salvare le coste liguri da un nuovo disastro ?

È importante costruire nuove difese a mare per porti, porticcioli, strade e ferrovie?E realizzare scogliere subacquee per proteggere le spiagge? È giusto
demolire gli abusi edilizi sulla costa, sugli alvei e moltissime costruzioni non rispetto i 100 metri di distanza dagli argini. I sindaci stanno a guardare  ? anche dopo la lezione sciagura in Sicilia con due famiglie distrutte, nove le vittime sopraffatte in una villetta costruita nell’alveo di un torrente in piena.

In questi giorni abbiamo letto titoli eloquenti: “Liguria devastata dal maltempo“, “Cedono le dighe foranee di alcuni porti”. “Distrutti centinaia di stabilimenti balneari e dehors”. “Raffiche di vento a 180 all’ora”.  “Onde fino a 8 metri”. O ancora “ Effetto tsunami sulla Liguria, con evento meteo più complesso degli ultimi 50-60 anni”. “Si stimano danni per centinaia di milioni”.

Si è scritto di onda anomala. Quali le maggiori causa o concause scatenanti ? Cosa sappiamo con certezza e cosa invece resta un interrogativo ? E soprattutto potrebbe ripetersi e con che frequenza ? Cosa sappiamo della storia del ‘nostro mare’ ? Cosa accadeva milioni e milioni di anni fa ? Come si è formato il Mar Ligure Piemontese ?  Cosa ci tramando i giacimenti di Sassello ? In località Maddalena-Ponteprina era presente un’antica e piccola scogliera corallina, ove sono stati ritrovati, oltre a molti resti di alghe calcaree rosse (Corallinales), anche un esemplare completo di un mammifero marino, appartenente al gruppo dei Sirenidi, parente degli attuali dugonghi. A Stella Santa Giustina. Questo sito paleontologico, circa 30 milioni di anni fa, era una piana alluvionale con corsi d’acqua e piccoli laghi ed era ricoperta da una florida vegetazione molto simile a quella delle attuali foreste tropicali.

Oggi subito escluso lo Tsunami giacché in mare aperto non si era registrata nessuna scossa tellurica così forte dai sismografi costieri, da poter generare un maremoto. L’evento, quello con la E maiuscola, è la sommatoria di venti e le onde, con il contributo del territorio, che si sono dati “appuntamento” sulla costa ligure. È stato “spazzato via” i 2/3 circa degli stabilimenti balneari; in tanti tratti della costa non esiste più l’arenile; i porti e le dighe foranee di difesa sono crollate sotto l’impeto delle onde.

Potrebbero ripetersi ? È la domanda più frequente. Certo, e le cause che hanno contribuito a questo evento sono da ricercarsi nelle variazioni climatiche, nei venti, nelle onde e nell’orogenesi del territorio.

VARIAZIONE CLIMATICA – In “Trucioli” – Numero 89 del 4 Agosto 2016 scrivevo che: “…..l’inclinazione dell’asse terrestre che porta la variazione climatica da temperata a sub tropicale umida, con aumento temperatura del mare, piogge e temporali violenti, nubifragi sempre più frequenti , scomparsa progressiva della macchia mediterranea e desertificazione umida.” Tale affermazione avrà di certo fatto “sorridere” tutti quanti operano e “ruotano” attorno all’Amministrazione locale, facendo dire: “Costui è matto ! – Panzane del genere non ne abbiamo mai sentite..”. Non occorre essere dei meteorologi, basta dare ascolto alle “panzane” e chiedersi il perché è successo, del resto anche i vari addetti ai lavori degli uffici tecnici, comunali in “primis”, non affrontano mai queste tematiche per non suscitare allarmismo, definito “inutile” e “deleterio”, alla popolazione.

Cerchiamo di spiegare, ove possibile – L’asse terrestre è inclinato rispetto alla perpendicolare al piano dell’eclittica: questa inclinazione, combinata con la rivoluzione della Terra intorno al Sole, è causa delle stagioni. L’entità dell’inclinazione varia ciclicamente tra circa 22,5° e circa 24,5°, con un periodo di 41000 anni; attualmente è di 23° 27e in diminuzione. Inoltre l’asse terrestre ruota lentamente intorno alla perpendicolare all’eclittica, descrivendo un doppio cono e compiendo un giro ogni 25800 anni (52″ all’anno). Questo moto è chiamato precessione degli equinozi ed è dovuto alla forza di marea, esercitata dalla Luna , dal Sole e dai terremoti. Vi sono, infine, delle oscillazioni dell’asse di minore entità (circa 20) e con un periodo più breve (circa 18,6 anni): quest’ultimo moto è detto nutazione. Il clima Subtropicale è presente in quelle aree geografiche al di sotto del Tropico del Capricorno e al di sopra del Tropico del Cancro e i 40° di Latitudine, in entrambi gli emisferi Australe e Boreale.

Il clima subtropicale è caratterizzato da inverni secchi e umidi (con temperature medie intorno ai 19°) che presentano raramente temperature fredde o che scendono sotto lo zero. Le estati sono calde con temperature tra i 24° e i 30° ed umide mitigate dai venti Alisei. Gli Alisei si formano dall’alta pressione presente nelle zone subtropicali che spingono l’aria verso la zona intorno all’Equatore caratterizzata, invece, da bassa pressione. Questi venti soffiano da nord-est verso sud-ovest nell’emisfero settentrionale, e da sud-est verso nord-ovest in quello meridionale. Per sei mesi l’anno, da maggio all’inizio di novembre si sviluppa il periodo delle piogge. Mentre i mesi autunnali, settembre ed ottobre, sono i mesi in cui è frequente la presenza di uragani; condizioni particolari del mare si registrano nel periodo che va da settembre e novembre a causa della presenza dei cicloni. Il clima subtropicale caratterizza le seguenti zone in tutti i continenti con delle regioni specifiche, ed in particolare in Europa: i Paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo, quali Spagna, Italia, Francia;

Sebbene la luminosità solare si mantenga praticamente costante nei millenni, varia invece l’orbita terrestre. Ci sono tre fattori che contribuiscono a modificare le caratteristiche orbitali facendo in modo che l’insolazione media degli emisferi vari, sebbene il flusso globale di radiazione rimanga lo stesso. Si tratta della precessione degli equinozi, dell’eccentricità orbitale e dell’obliquità dell’orbita o inclinazione dell’asse terrestre. Tali studi vennero per la prima volta affrontati e parzialmente risolti dal geofisico serbo Milutin Milanković e tali cicli orbitali vanno sotto il nome appunto di cicli di Milanković. Tali cicli sarebbero in grado di spiegare i cambiamenti climatici globali su scala temporale di 100.000 anni ovvero pari al periodo delle glaciazioni/deglaciazioni in linea con quanto osservato negli studi proxy dei carotaggi antartici.

In alcune occasioni avvengono eventi di tipo catastrofico che cambiano l’aspetto della Terra per sempre. Il primo di questi avvenimenti catastrofici avvenne 65 milioni di anni fa. Si tratta degli impatti meteoritici di grande dimensione. È indubbio che tali fenomeni possano provocare un effetto devastante sul clima, liberando grandi quantità di CO2, polvere e ceneri nell’atmosfera a causa di incendi in grandi regioni boschive.

Recentemente hanno contribuito, anche, terremoti di grande intensità: Il terremoto di Sendai e del Tōhoku del 2011
(
“terremoto in alto mare della regione di Tōhoku e dell’oceano Pacifico“), si verificò l’11 marzo 2011 al largo della costa della regione di Tōhoku, nel Giappone settentrionale, alle ore 14:46 locali alla profondità di 30 chilometri. Il sisma, di magnitudo 9,0 (secondo l’USGS), con epicentro in mare si è generato nella prefettura di Miyagi. La zona presso l’epicentro ha tremato per circa 6 minuti, raggiungendo una magnitudo momento di 9,0. Sulla terraferma, circa 100 km dall’epicentro, si è rilevato un valore di scuotimento sismico massimo (Intensità Mercalli Modificata), corrispondente al nono grado. L’accelerazione del suolo ha raggiunto picchi di 2.99 g. Ulteriori scosse si sono succedute dopo quella iniziale delle 14:46. In una nota il Governo Centrale Nipponico ha così definito gli effetti del sisma: “La grande energia del sisma potrebbe aver causato, secondo alcuni calcoli, lo spostamento dell’asse  di circa 17 centimetri (inizialmente stimati 10 cm) e spostato le coste del paese di 4 metri verso Est causando anche mutazioni del fondale marino”.

I VENTI –venti occidentali (westerlies) fluiscono in media attraverso l’Atlantico portando aria umida sul continente europeo. Negli anni caratterizzati da forti venti occidentali , le estati risultano spesso fresche e gli inverni miti e piovosi; se invece i venti occidentali si indeboliscono, le temperature risultano più estreme sia in estate che in inverno apportando ondate di calore e ondate di freddo più intense e minori precipitazioni. Un sistema semipermanente di bassa pressione sopra l’Islanda (Depressione d’Islanda) e un centro di alta pressione semipermanente sulle Azzorre (anticiclone delle Azzorre) controllano direzione e forza dei venti occidentali sull’Europa. Forza relativa e posizione di questi due sistemi variano di anno in anno e questa variazione è nota appunto come NAO. Riferendosi ad una situazione di circolazione atmosferica media un’ampia differenza di pressione tra i punti descritti (High NAO, fase NAO+) conduce all’incremento dei venti occidentali e conseguentemente ad estati fresche e inverni miti e piovosi nel Centro Europa e lungo la costa atlantica, contrapposte a scarsa piovosità sulle regioni del Mediterraneo. Al contrario se l’indice è basso (Low NAO, fase NAO-) i venti occidentali sono ridotti, la circolazione è prevalentemente antizonale e queste aree soffrono inverni freddi con la traiettoria delle perturbazioni che si sposta verso sud ovvero verso il Mediterraneo. Ciò porta all’incremento di attività perturbata, e con essa precipitazioni, nell’Europa meridionale e in Nord Africa.

Soprattutto nel semestre freddo, ovvero da novembre a aprile, la NAO è dunque responsabile di gran parte della variabilità meteorologica nella regione nord atlantica modificando l’intensità delle aree di bassa pressione sull’Islanda e di alta pressione sulle Azzorre con conseguenze sull’intensità e direzione dei venti occidentali, apportando variazioni nella distribuzione del vapore acqueo e delle precipitazioni, determinando intensità, numero e traiettoria delle perturbazioni e modificando il campo termico sull’Europa. Quest’ultimo effetto sembra essere particolarmente importante ai fini climatici ovvero sul lungo periodo: flussi di aria calda o fredda legati alle oscillazioni NAO influenzano il clima di una buona parte dell’emisfero settentrionale: in condizione di NAO+ le correnti occidentali vengono deviate verso nord-est portando aria calda da zone di latitudine di circa 30°-40° fino ad aree sub-polari (~60°) con un aumento di temperatura che può arrivare fino anche a 1,5 °C in tutta l’Europa settentrionale e gran parte dell’Asia.

DAL 1995 INIZIA L’AUMENTO DEL CLIMA TRAPICALE – Il 2005 è stato solo il seguito di una tendenza in salita che è iniziata nel 1995. A causa di un mutamento del clima tropicale che ha portato acque più calde e ha diminuito le variazioni del vento, l’Atlantico ha generato un numero insolito di uragani. “Siamo da 11 anni nel ciclo di alta attività e avvistamenti” dice il meteorologo del NOAA Gerry Bell, “ma non posso dirvi se durerà altri dieci anni o trenta”. I satelliti meteorologici rendono più semplice per i meteorologi sorvegliare gli uragani. Ma le immagini dei satelliti ordinari mostrano solo le nuvole superiori. I sensori infrarossi spaziali possono rivelare maggiori dettagli, delineando la grandezza e la forma dell’occhio a interno caldo, e i radar saltellitari e i sensori a microonde possono diegnare la mappa della pioggia. Gli aerei cacciatori di uragani in realtà volano dentro gli uragani atlantici. Ma possono solo sondare le condizioni a un’altitudine di molte migliaia di metri, sopra la turbolenza peggiore, dice Jack Beven del NCH – “non sulla superficie, che è quella che davvero interessa”. Lo scorso anno, tuttavia, gli scienziati hanno fatto volare un aereo robotizzato dritto nel vortice, mentre la tempesta tropicale Ophelia stazionava nella costa del centro-Atlantico. Il velivolo, chiamato “Aerosonde”, si abbassò e girò per dieci ore, alla bassa quota di 365,8 metri, monitorando i venti e il flusso del calore e dell’umidità dall’oceano alla tempesta. L’incursione era un test, ma le previsioni ordinarie esaminano il cuore delle tempeste con dispositivi dalla vita più breve chiamati “dropsonde”.

LE ONDE – Da circa 70 anni a questa parte l’altezza media delle onde che vanno a infrangersi lungo le coste dell’Oceano Atlantico è in aumento. Il maggiore incremento si è registrato lungo le coste della Scozia e dell’Irlanda, con aumenti di poco superiori ai 10 millimetri l’anno dal 1948 a oggi, il che vuol dire, complessivamente, circa 70 centimetri. È aumentata anche l’altezza media delle onde dei fenomeni estremi, con valori che al largo delle coste irlandesi è stato di ben 25 millimetri l’anno, per un incremento complessivo di circa 1,7 metri.Questi dati sono di notevole interesse e dovranno essere tenuti in seria considerazione da coloro che devono gestire la sicurezza delle comunità che vivono lungo le aree costiere dell’Europa nord-occidentale.

Spiega Bruno Castelle, del Centro nazionale per la ricerca scientifica francese (CNRS), che ha pubblicato la ricerca su Geophysical Research Letters: «L’altezza delle onde durante le tempeste invernali è il fattore più importante dell’erosione di dune e rocce costiere, ed è la causa principale dei mutamenti delle coste sabbiose: questo fenomeno avrà una importante ricaduta su migliaia di comunità che vivono lungo le coste atlantiche. Per capire che cosa ha influenzato finora la variabilità dell’altezza delle onde, Castelle ha fatto riferimento soprattutto a due fenomeni: l’Oscillazione del Nord Atlantico (NAO), un fenomeno climatico che determina la variabilità climatica dell’emisfero settentrionale, e la WEPA – una anomalia di pressione sull’Europa occidentale scoperta di recente e che pare avere una importante influenza sulla pressione atmosferica lungo le coste atlantiche dell’Europa.L’incremento di altezza media delle onde interessa anche altre aree costiere europee, anche se con minor intensità rispetto a quanto misurato in Scozia. In Francia, ad esempio, l’aumento rilevato è stato di 5 millimetri l’anno, mentre in Portogallo di solo un millimetro l’anno. La ricerca ha messo in luce che le tempeste invernali del 2013-2014 sono state le peggiori dal 1948 a oggi: secondo Gerhard Masselink (università di Plymouth), uno degli autori dello studio, è assolutamente necessario capire se quella stagione è stata un’eccezione o se rientra in una nuova evoluzione del clima invernale.

Da Achille Pennellatore del Centro meteo di Sanremo una delucidazione sulle onde marine: “Innanzitutto bisogna sapere che c’è una differenza fra le onde del Mediterraneo e le onde degli Oceani. Le onde del mare, è risaputo, sono originate del vento. In particolare, le onde che sono generate in un certo luogo dal vento, sono chiamate onde vive, oppure onde di mare vivo.Le onde che invece sono originate da un vento lontano e arrivano in un luogo dove non c’è neppure una bava di vento, sono chiamate onde morte oppure onde di mare morto. Se qualcuno, però, non vuole pensare ai funerali, le può tranquillamente chiamarle,, onde lunghe o di mare lungo (swell in inglese, houle in francese). Le onde di mare vivo, hanno un aspetto inquietante, sono nervose, caotiche nell’insieme del periodo, altezza e direzione. Le onde di mare lungo, al contrario, sono più regolari man mano che si allontanano dalla zona dove sono state originate. Spesso non frangono, e da lontano, uno che osserva il mare, può essere ingannato e sottovalutare lo stato del mare stesso. Una volta che, però, si mette in navigazione con la presenza dell’onda lunga, se ne pentirà poco dopo se soffre di mal di mare. Ovviamente ci sono delle vie intermedie, dello stato del mare: poco dopo aver abbandonato il posto di origine, le onde possono essere ancora caotiche ma presentare già le caratteristiche di saliscendi tipico delle onde lunghe. Questo avviene, più o meno, fra 50 e 150 miglia nautiche dall’area di origine. Una burrasca di Libeccio sul Mare dell’Algeria creerà un’onda particolarmente insidiosa sulle nostre coste. Invece, se nasce da una burrasca sull’Ovest della Corsica, molto più vicina, sarà meno insidiosa al suo arrivo sulle nostre spiagge o scogliere.

Analizziamo i due tipi di onda e di offrire una correlazione fra l’altezza delle onde con l’intensità del vento.

Nel nostro Mare Mediterraneo, a causa dei fetch limitati, riguardo ai contenuti spazi aperti in mare, hanno una netta prevalenza le onde di mare vivo, oppure la situazione intermedia (onde vive/onde lunghe) fra i due tipi di onda. Abbiamo parlato di fetch, e sarà bene dare una definizione a questo fenomeno. Il fetch è lo spazio di mare dove spira un vento di direzione e intensità costante. Questa costanza della direzione dell’intensità del vento, deve essere correlata alla durata e inteso come il tempo durante il quale il vento ha soffiato. Pertanto, le caratteristiche di periodo, altezza e lunghezza delle onde, dipendono dal fetch, dalla durata e intensità di questo vento. In effetti, esiste, laddove inizia a soffiare il vento sul mare, una generazione di piccole onde fino al suo cessare. Pertanto ci sarà un trasferimento continuo d’energia dal vento al mare. Le nuove onde appena create, inizieranno a correre con la guida delle vecchie fino alla costa d’arrivo, perpendicolare al loro movimento. Più la costa è lontana, maggiore sarà il fetch e maggiori gli effetti della mareggiata. Cosicché è distribuita una notevole quantità di energia in ampi spazi, molto ampi negli Oceani, un po’ meno nel nostro Mediterraneo.

In un mare aperto come l’Oceano, l’altezza delle onde formate dal vento, è più alta che in un mare chiuso come il Mediterraneo. Da alcune testimonianze raccolte da Comandanti di grosse barche che da Portosole vanno ai Carabi o sulla costa Est degli USA, oppure da alcuni libri di navigazione, si evince di onde stimate fino a 15 metri. Nell’Oceano Pacifico, sempre da alcuni libri, si legge di avvistamenti di onde alte fra 18 e 27 metri. La più alta in assoluto, raccontata dall’equipaggio della nave della Marina Americana Rampao, mentre nel 1933 era in navigazione nel Pacifico, essi avvistarono un’onda di ben 34 metri. Vi sono molte probabilità che si sia trattato dell’incontro casuale fra 2 treni di onde lunghe: il secondo, più veloce potrebbe aver raggiunto il precedente e aver creato un’onda più alta delle altre, in pratica si sono sommate due altezze d’onda. Potrebbe anche essere che vi fosse un incontro fra due fetch di diversa provenienza, due onde lunghe incrociate: il fetch principale fra S e SW e uno secondario fra S e SE. Il gradiente era perfettamente meridionale, da S 180° e proveniva da molto lontano, prendeva origine dal Sud della Sicilia a levante, dal Nord dell’Algeria a ponente. Mettiamo il caso che le Isole di Sardegna e Corsica abbiano diviso da Capo Teulada questo fetch: a Ovest delle Isole fra S e SW, a Est fra S e SE. Dopo aver oltrepassato Capo Corso, questo fetch si sia riunito e abbia proprio avuto il punto d’incontro davanti alla costa, con un’onda senz’altro superiore in altezza e confusa nella forma”.

Tutte le onde marine avvicinandosi alla linea di costa arrivano a  frangimento. Se al largo l’altezza d’onda è troppo grande per la sua lunghezza arriva a frangersi ugualmente. Il frangimento è il fenomeno che più di tutti dissipa energia. Il frangimento è assistito dal fenomeno dello shoaling: incontrando un fondale via via più basso parte dell’energia associata all’onda si dissipa per attrito col fondale, la restante tende a conservarsi per il principio di conservazione dell’energia col risultato che l’onda diminuisce la sua velocità, ma cresce in ampiezza: generalmente ciò avviene nelle ultime decine di metri prima della linea costiera non si fa se l’onda è molto superficiale, ma può accadere a distanze anche maggiori se l’onda è un’onda a profondità marine elevate. Il fenomeno viene sfruttato nell’attività del surf.

EFFETTI DELLE ONDE SULLA COSTA – Le onde hanno due effetti sulle coste a causa dell’interazione con il fondale, il moto passa da oscillatorio a traslatorio, dando luogo allo spostamento di masse d’acqua verso costa, che a loro volta possono causare fenomeni di erosione e sedimentazione. specie in occasione di mareggiate.

Tempeste e maree – Quando si incontrano due correnti di aria fredda e calda possono formarsi dei vortici d’aria ed acqua che a seconda della grandezza e velocità vengono chiamati con nomi differenti: uragano, tifoneciclonetromba marina.

Energia del moto ondoso – L’energia che ha il moto ondoso, viene descritta come densità di energia E composta sia da un contributo di energia cinetica ed uno di energia potenziale, che dipendono principalmente dalla variabile altezza d’onda: E = Ec + Ep = 1/8 pgH2

Dove: Ec è il contributo dell’energia cinetica.

Ep è il contributo dell’energia potenziale.
P è la densità dell’acqua marina.
G è la forza di gravità.

H è l’altezza d’onda.

Ipotizzando l’assenza di dissipazione possiamo scrivere il flusso di energia in direzione x per unità di lunghezza di cresta in direzione z, compresa tra -h e η: Ef = E  cg. Con cg la velocità del gruppo.
FENOMENI ESTREMI – Nel secolo XIX, ricordiamo Il mega-tsunami del 1958 a Lituya Bay: una colossale onda di 525 metri che travolse un’intera baia. A Lituya-bay furono registrati spostamenti al suolo di 3,5 metri verso l’alto e 6,3 metri sul piano orizzontale, misure prese in corrispondenza della faglia di Fairweather. In Italia – 11 novembre 2013, nel giorno della tempesta di San Martino molti litorali italiani sono stati letteralmente mangiati dalle incredibili mareggiate. Poco al largo della Sardegna occidentale il tempestoso maestrale è stato capace di generare, nella notte fra domenica e lunedì, onde di una violenza inaudita, tanto che la boa del dipartimento idrometeoclimatico dell’Arpas, posta nella costa algherese al largo di Capo Caccia, ha registrato un’altezza d’onda di ben 10 metri e mezzo: si tratterebbe di un record assoluto dalla fine degli anni Ottanta e cioè da quando è stata attivata la rete ondametrica nazionale, che conta un’altra quindicina di boe di rilevazione sparse lungo le coste italiane. Il maestrale imperversava con forza anche sulla terraferma della Sardegna, tanto da misurare raffiche di oltre 125 km/h.

Il valore di dieci metri e mezzo, registrato alle ore 4 mattutine di lunedì 11 novembre, colloca così Alghero in vetta assoluta alla classifica nazionale stilata in base ai rilievi effettuati dalla rete ondametrica dalla fine degli anni Ottanta, momento d’inizio delle rilevazioni. L’unico precedente storico, infatti, risale al gennaio del ’99, quando, sempre durante una violenta tempesta di maestrale, l’altezza delle onde aveva sfiorato i dieci metri, un limite estremo che fino a ieri mattina non era mai stato superato. Un’onda di altezza così notevole potrebbe rappresentare un vero record per tutto il bacino del Mediterraneo. L’immagine in basso mostra il grafico dell’altezza onde dell’ultimo mese: spicca il valore sopra i 10 metri dell’11 novembre.

Quali rischi corrono il “mare Nostrum” ? – Alle volte, come capita spesso in un bacino chiuso come il nostro Mediterraneo, questi mostri d’acqua possono essere una causa “indiretta” di un violento movimento tellurico che comunque non ha un potenziale energetico capace di innescare la grande onda. Un esempio su tutti è lo Tsunami che colpi la costa ionica messinese e l’area dello stretto di Messina subito dopo il catastrofico terremoto che la mattina del 28 Dicembre 1908 rase al suolo le città di Messina e Reggio. È confermato che il maremoto non fu originato dal forte terremoto in se, ma bensi da una colossale frana sottomarina, avvenuta lungo il bordo della scarpata continentale siciliana davanti Capo Taormina, attivata dal potentissimo scuotimento che segui il sisma, stimato tra i 7.1 – 7.2 Richter.

Le onde di Tsunami però non devono essere confuse con il tipico moto ondoso o la risacca causata dal vento. Infatti a differenza delle tipiche onde prodotte dal vento lo Tsunami si estende lungo la superficie marina per oltre 200 alle volte anche 300 km arrivando a raggiungere velocità di propagazione superiori ai 500-600 km/h, con picchi anche sugli 800-1000 km/h quando viaggia in mezzo all’oceano, senza incontrare l’attrito dei bassi fondali. Ciò spiega perchè le ondate di una grossa tempesta (uragano, tifone), alte anche più di 10 metri, risultano molto meno devastanti rispetto a un onda di maremoto alta più di 6 metri [abbiamo visto il caso nelle isole Samoa e in Indonesia].

Circa 8000 anni fa un gigantesco tsunami devastò il Mediterraneo interessando le coste della Sicilia orientale, l’Albania, la Grecia, il nord Africa, dalla Tunisia all’Egitto, spingendosi sino alle coste del vicino oriente dalla Palestina, alla Siria ed al Libano. La causa fu lo sprofondamento in mare di una massa di 35 chilometri cubi di materiale, staccatosi dall’Etna, in seguito ad un sisma di eccezionale magnitudo che si registrò lungo il fianco orientale del vulcano. L’onda iniziale che si generò era alta più di 50 metri e raggiunse le propaggini estreme del Mediterraneo orientale in 3 o 4 ore, viaggiando alla velocità di diverse centinaia di chilometri orari. Più recentemente tra gli Tsunami più devastanti registrati sul Mediterraneo possiamo citare quelli del 1169 e del 1693 che seguirono potenti scosse telluriche avvenute nel tetto dei principali segmenti di faglia ibleo-maltese. Le ondate si abbatterono con grande impeto sui litorali della Sicilia orientale, fra Catania e Capo Passero, determinando la morte di almeno diverse migliaia di persone. Ancora più potenti furono gli episodi che investirono le coste tirreniche di Sicilia e bassa Calabria durante la nota crisi sismica del 1783.

In Italia le zone più a rio rimangono quelle della Sicilia orientale e della bassa Calabria, più esposte ad onde di Tsunami innescate da grandi frane sottomarine che avvengono lungo il bordo della ripida scarpata continentale siciliana, a seguito di forti terremoti. Pure le coste del medio-basso Tirreno potrebbero subire gli effetti di una eventuale eruzione vulcanica sottomarina di giganti come il Marsili o il Valinov, che distano a soli 150 km dalle coste campane e calabresi. In caso di eruzioni potrebbero produrre maremoti molto pericolosi per gli abitanti delle coste vicine, come quelle della Campania, Calabria e Sicilia.

L’ OROGENESI DEL TERRITORIO – Occorre partire da quando la Terra era ancora una Pangea; ma dal Cretaceo medio (130 m.a.) qualcosa cambiò: i continenti iniziarono a separarsi e a cambiare posizione solo successivamente, formando nel tempo nuovi mari e oceani. Il continente Africano , ad esempio, era separata dall’Eurasia da un mare chiamato Tetide. i continenti iniziarono a separarsi e a cambiare posizione solo successivamente, formando nel tempo nuovi mari e oceani. Il continente Africano, ad esempio, era separato dall’Eurasia da un mare chiamato Tetide. Questo bacino era molto esteso verso est (attuale oceano Indiano). Il primitivo oceano tetideo è suddiviso in Neotetide (con crosta oceanica in espansione) e Paleotetide (originatasi nel Palozoico e ora in fase di chiusura).

Grazie a questi “spostamenti” iniziò a formarsi l’oceano Ligure-Piemontese, che a est lambiva i confini di quelle due placche, mentre a ovest era in contatto con l’oceano Atlantico, anch’esso in fase di formazione. Come tutti gli oceani, anche quello Ligure-Piemontese aveva una dorsale medio-oceanica, attraversata da parecchie faglie. Durante la formazione di questo bacino, la crosta terrestre, che rappresentava il fondo di quell’oceano, si assottigliò molto e in alcuni punti si lacerò, permettendo alle lave vulcaniche, provenienti dal mantello terrestre, di fuoriuscire. È noto che quando si formano vulcani sottomarini, le lave che ne fuoriescono sono tendenzialmente basiche e, solidificando rapidamente, assumono aspetti particolari . È in questo momento, quindi, che si formarono le rocce ofiolitiche e basaltiche. Tra la fine del Giurassico e l’inizio del Cretacico (circa 140 milioni di anni fa) l’oceano Ligure-Piemontese divenne sempre più grande, grazie proprio all’allontanamento della placca africana da quella europea. Nel fondo di quell’oceano, sopra ai depositi lavici, iniziarono a depositarsi altri sedimenti, depositi di mare estremamente profondo, “calcari a calpionelle” (cretacico basale) e “argille a palombini” (cretacico superiore). Ad un certo punto, circa 75 milioni di anni fa, termina il processo di distensione e la zolla africana prese a muoversi con una lentissima rotazione antioraria, tanto da avvicinarla sempre di più, fino alla definitiva collisione con la zolla euroasiatica.

Africa ed America cominciarono a separarsi (nasceva l’Atlantico meridionale). Ad un certo punto, circa 75 milioni di anni fa, termina il processo di distensione e la zolla africana prese a muoversi con una lentissima rotazione antioraria, tanto da avvicinarla sempre di più, fino alla definitiva collisione con la zolla euroasiatica. Da questo continuo movimento, iniziò l’orogenesi di una nuova catena montuosa dal nome a noi famigliare: le Alpi; come conseguenza l’Oceano Ligure Piemontese si trovò compresso e schiacciato tra Africa ed Europa che si avvicinavano, e venne a poco a poco eliminato sparendo sotto il margine africano. Tra l’Oligocene superiore e il Miocene inferiore, circa 24 m.a., la Corsica e la Provenza, facendo perno sul golfo di Genova, ruotano in senso antiorario e si distaccano dall’ Europa per portarsi verso la posizione attuale. Questo fenomeno provoca uno sprofondamento dei territori a ovest del blocco Sardo-Corso, e la conseguente formazione del Bacino Balearico e del Mar Ligure.

Nell’incavo dell’arco alpino in formazione, si delineò un braccio di mare in cui si depositarono molti sedimenti provenienti dalla giovane catena montuosa, che furono successivamente deposti in una zona corrispondente all’attuale Monferrato. Questa zona rimase per lungo tempo sommersa, mentre quella corrispondente alle Langhe era in parte emersa. Successivamente, nell’oligocene medio, nella stessa zona, avvenne un’altra importante trasgressione marina, la quale determinò la progressiva riconquista delle terre emerse in precedenza. Si formò un ampio golfo, denominato appunto Bacino terziario ligure piemontese. In questo mare oligocenico, si potevano distinguere un’area costiera a sud ovest, con profili molto frastagliati e bordata da gruppi di piccole isole e zone di mare aperte e profonde, tanto più ci si spostava verso nord.

Il Piemonte e parte della Liguria attuale, corrispondevano ad un bacino di sedimentazione marina, mentre nelle zone costituite da terre emerse, che attorniavano questo tratto di mare, si formarono dei depositi continentali. Nell’ambito della sedimentazione del bacino Ligure – Piemontese, dobbiamo ricordare anche il giacimento di Sassello. L’Oligocene (32-23 m.a.) rappresenta un’epoca molto importante per i mutamenti climatici ma non solo, infatti questo periodo è caratterizzato anche dall’affermazione delle angiosperme (piante provviste di “fiori evidenti”), sulle gimnosperme (piante con “fiori nascosti”) e dal grande sviluppo evolutivo dei mammiferi che, differenziandosi e specializzandosi sempre di più, occuparono molte nicchie ecologiche, a volte anche con forme gigantesche. A questo proposito famoso è il giacimento di Stella Santa Giustina.

Alla fine dell’Oligocene, il mare continuò la sua avanzata ricoprendo completamente tutta questa zona e divenne sempre più profondo; si depositarono per milioni di anni strati di fanghiglie calcaree, destinate a trasformarsi in marne, che ricoprirono quello che un tempo era un paesaggio diversificato, ricco di isole e penisole, ma questa è tutta un’altra storia che ci porta direttamente al successivo periodo Miocenico, periodo nel quale si realizzò una nuova configurazione paleogeografica del Mediterraneo occidentale, dovuta alla rotazione del blocco continentale sardo-corso, con l’apertura di un nuovo bacino marino, chiamato Bacino Algero-Provenzale, ma con caratteristiche totalmente diverse. Nella parte ubicata più ad est, che corrispondeva all’attuale Monferrato, il clima tropicale favorì la formazione e l’estensione di scogliere coralline brulicanti di vita e di organismi bentonici come molluschi, foraminiferi, briozoi, echinoidi e nummuliti. Questi fossili caratterizzano i famosi giacimenti di Ovada, Molare e Ciglione.

Questo evento ha una conseguenza importantissima sulla geografia italiana: la rotazione comprime e accumula i materiali verso est, si ha cioè un’altra orogenesi, quella appenninica, ovvero la nascita degli Appennini. Ci vorrà ancora del tempo, ma non molto, prima dell’ apertura del Mar Tirreno che porterà al compimento del definitivo assetto geologico del nostro paese. In realtà per i geologi non si tratta di mare ma bensì di oceano perchè le cause della sua nascita sono le stesse che portarono alla formazione dell’Oceano Ligure Piemontese: l’espansione del fondo oceanico dovuto a movimenti che assottigliano ed espandono la litosfera. Il Tirreno ha raggiunto (circa un milione di anni fa) il record tra le velocità di espansione dei fondi oceanici: circa 20cm l’anno nella direzione orizzontale; ne è la prova il Marsili, il più grande vulcano europe, al centro del Tirreno, alla profondità di 3500 metri.

LE SPIAGGE – I balneari piangono e chiedono lo stato di calamità naturale, aiuti economici e fiscali per i danni subiti. I litorali italiani sono di proprietà dello Stato Italiano e come tali sono sotto la tutela del Demanio marittimo; non solo i costoni più o meno alti ma anche gli arenili. Il mare territoriale, così come il suo fondo e sottofondo, é soggetto alla sovranità dello Stato che, sebbene sottoposta ad alcune limitazioni, è analoga a quella esercitata nello spazio aereo, sul territorio e sulle acque interne. In particolare, sul mare territoriale lo Stato esercita la polizia della navigazione latu sensu, la vigilanza doganale, il diritto d’esclusione delle navi da guerra straniere dalla navigazione nazionale e la giurisdizione civile e penale. Nel mare territoriale è inoltre consentito il transito inoffensivo alle navi mercantili straniere, tuttavia, in casi particolari, le acque interne possono anche essere dichiarate chiuse al traffico, mentre per le navi da guerra straniere il transito inoffensivo presuppone una richiesta d’autorizzazione alle autorità centrali. Con L. n. 359/1974 l’estensione del limite delle acque territoriali italiane è stato ampliato a 12 miglia.

I beni facenti parte del demanio marittimo sono elencati nell’art. 28 c.n. (generalmente considerato come una specificazione integrativa dell’art. 822 del Codice Civile) che cita testualmente: “Fanno parte del demanio marittimo: a) il lido, la spiaggia, i porti, le rade; b) le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno una parte dell’anno comunicano col mare; c) i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo”. Il lido del mare che, per definizione, è quella porzione di litorale che si trova ad immediato contatto con il mare e che si estende fin dove arrivano le massime mareggiate invernali, con esclusione dei momenti di tempesta. Nella nozione di lido rientrano anche le scogliere, gli scogli, i massi scogliosi, le dighe naturali, i promontori e le punte, in quanto si presentano in aderenza con il mare. Per giurisprudenza ormai consolidata (Cass. n. 2417, Sez. II 23 aprile 1981), ai fini dell’appartenenza di un’area rivierasca al demanio marittimo, si ritengono essenziali i seguenti requisiti: a) che l’area sia normalmente coperta dalle mareggiate ordinarie; b) che almeno in passato sia stata sommersa e che tuttora sia utilizzabile per uso marittimo; c) che, comunque, il bene sia necessariamente adibito ad usi attinenti alla navigazione, anche solo potenzialmente.

La spiaggia è costituita dalla zona che dal margine interno del lido si estende verso terra. Essendo una zona soggetta a modificazione, in quanto si può restringere a causa dell’azione delle forze erosive del mare oppure può ampliarsi qualora le acque si ritirino, in essa vige il principio secondo il quale il mutamento dello stato dei luoghi è idoneo a mutarne il regime giuridico, senza che occorra un apposito provvedimento amministrativo.

In tema di concessioni del demanio marittimo, per troppo tempo il sistema italiano è stato contrario alle previsioni europee, ma dal 2020 pare si debba cambiare rotta. Attualmente, il nostro ordinamento prevede il rinnovo automatico delle concessioni. Rinnovo predisposto generalmente in favore del concessionario uscente e, dunque, sempre nei confronti della medesima impresa. Circa l’origine storica della vicenda, deve precisarsi che l’utilizzabilità del demanio marittimo per finalità turistiche e commerciali ha avuto il suo primo riconoscimento ufficiale nel 1977. Poi, in considerazione dell’enorme potenziale economico e lavorativo che dava lo sfruttamento del litorale, si scelse un sistema di rinnovo automatico senza limiti temporali. Così i gestori degli stabilimenti balneari considerano il litorale come una sorta di proprietà privata ed allo stesso tempo iniziano a fare investimenti e opere per il suo massimo sfruttamento economico. Si stima, infatti, che le imprese turistiche del settore siano oltre 30mila.

Il sistema di rinnovo automatico delle concessioni può creare ingiustificate situazioni di privilegio nei confronti di chi sia già in possesso di una concessione ed, allo stesso tempo, impedisca di effettuare una selezione imparziale e trasparente dei potenziali candidati all’ottenimento di analoga concessione, violando i principi della libera concorrenza e della libertà di stabilimento. L’adeguamento alla direttiva europea è un procedimento legislativo abbastanza complesso perché richiede la modifica e/o abrogazione delle norme con essa incompatibili, l’adozione di quelle mancanti, la tutela di diritti nel frattempo sorti ecc. Allo stesso tempo trova anche l’ostilità di quelle categorie professionali – i gestori degli stabilimenti balneari nel caso di specie – contrarie alla perdita di un diritto oramai acquisito e consolidato. Si tratta, dunque, di un percorso graduale che è iniziato nel 2010 e che dal 2020 cambierà in modo definitivo il modello delle concessioni del demanio marittimo.

L’adeguamento alla normativa europea ha condotto ad un sistema di liberalizzazioni prorogando le concessioni in essere fino al 31 dicembre 2020. Da quella data la concessione delle spiagge e del demanio marittimo saranno messe all’asta. Dunque, la selezione – imparziale e trasparente  – avverrà tra tutti i candidati e non solo tra coloro che, ormai da tempo, gestiscono lo stesso lido in forza di rinnovi automatici e tali da creare ingiustificati privilegi. Si aprirà, quindi, una gara nella quale potranno “risultare vincitori”, in base a determinati requisiti e criteri, tanto i “concessionari abituali” che le nuove imprese specializzate nel settore.

Ordunque, tutti gli stabilimenti balneari dovrebbero essere smontati a fine stagione o a fine cure elioterapiche, per dare corso all’ordinanza. Purtroppo sono in un numero esiguo o per lo meno non vengono completamente smontati; i gestori di tali stabilimenti dovrebbero smontare non solo le cabine ma anche il chiosco che insiste sull’arenile. Non viene fatto in quanto considerano il litorale come una sorta di proprietà privata e in forza di rinnovi automatici pensano che sia un loro sacrosanto diritto quello di giustificare i privilegi acquisiti.

Alesben B.



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