Il 26 maggio, festa di San Filippo Neri il ‘santo della gioia’, Alberto Teardo che fu irriducibile presidente della Regione Liguria, compie 80 anni. Ben portati. Un traguardo di vita importante in famiglia, la moglie, i due figli, i nipoti, da ‘innocente’ ha sempre ripetuto anche nella sua ultima intervista (vedi…..), del giugno 2013, a Bruno Lugaro, giornalista del Secolo XIX. Ottanta primavere, nel suo appartamento di Albisola Capo, con la sola colpa, ammessa, di essere stato “ossessionato dalla conquista del potere e di cui dovrò rispondere davanti alla Madonna”. Non sappiamo se lungo il cammino che accompagna la terza età sia diventato praticante e fedele di Santa Romana Chiesa. Sappiamo che il tempo spesso riesce a cancellare le ferite, ci restano i ricordi, le delusioni, le amarezze, almeno per chi li ha vissuti.
Auguri ‘presidente’ ! (della Regione Liguria dal 28 settembre 1981 al 25 maggio 1983), in precedenza vice presidente. Il perdono che invoca papa Francesco non può fare eccezioni. Forse ci accomuna. E’ il perdono al quale ha ‘diritto’ per oblio Alberto Teardo ? Il perdono ai giornalisti ribelli, che non si piegavano al potere dei forti ? Ci sia perdonato questo infrangere a quello che Teardo invoca: ‘un doveroso silenzio’. Nello scorso 20 aprile è stato Il Secolo XIX a titolare in cronaca nazionale che “Le pensioni d’oro dei politici savonesi…..La Regione Liguria paga 513 mila euro al mese di vitalizi, incluso Teardo….”. In Liguria 154 beneficiari, assegni mensili, che gli ex consiglieri e membri della giunta regionale percepiscono in virtù della legislazione vigente fino al 2011 quando bastava una legislatura per far scattare l’assegno a vita a partire dai 60 anni e dai 65 poi, assegno proporzionale al numero dei mesi trascorsi e al tipo di incarico ricoperto… Per Alberto Teardo 4.591,30 € lordi al mese. Decurtato di un quinto per via dei ‘creditori’.
Alberto Teardo che era considerato fino al giorno dell’arresto (giugno 1983) il “politico più potente della Liguria“, un socialista rampante, ben visto da Bettino Craxi, ma non solo (De Michelis). Teardo che si era appena dimesso da presidente della Regione Liguria per candidarsi al Parlamento, con la quasi certezza di essere eletto. Persino poltroncina ‘prenotata’ al governo. Alla giornalista Wanda Valli de la Repubblica, il 27 febbraio scorso, dichiarava: “ Non sono ricco né di tangenti, né di altro. Vivo con il vitalizio della pensione, non ho ville, auto di lusso”. Vogliamo e dobbiamo crederci. Non è più tempo di processi o di crociate. Siamo da sempre allergici ai polemici e alla retorica. Ci rimangono nella mente e nel cuore i pensieri (buoni e cattivi) di quella lunghissima stagione. Siamo delusi dai tanti smemorati.
Rileggiamo il primo dépliant elettorale di Teardo dell’8 giugno 1981, elezioni regionali. ” Una scelta impegnativa, Teardo, efficienza, capacità, decisione, la conferma di un impegno. Governare con il metodo della programmazione significa scegliere in modo consapevole insieme e con chiarezza senza compromessi in base alle necessità reali e costruire con decisione e coerenza la Liguria degli anni ’80 al posto che le compete nell’Italia di oggi e nell’Europa del domani “. Alberto Teardo, nato a Venezia, 42 anni, coniugato, 2 figli. Sindacalista, segretario della Provincia di Savona della Fiom -Cgil, Segretario Provinciale della Federazione Savonese del Psi, Presidente degli Iacp della Provincia di Savona, Assessore Regionale ai Lavori Pubblici e Trasporti, all’Istrruzione Professionale, Lavoro, Sport. Membro del Comitato centrale del Psi. Assessore al Bilancio, Programmazione, Partecipazioni Regionali e Sistema Infpormativo. Vice presidente della Giunta Regionale Ligure”.
Nel novembre, dicembre, gennaio 1981 -’82 arrivò il processo per diffamazione aggravata ai danni del Presidente della Regione per una notizia pubblica dal Secolo XIX (Si trattava delle prime fasi della maxi inchiesta iniziata dal giudice istruttore Antonio Petrella, proseguita dai giudici Michele Del Gaudio e Francantonio Granero, dal sostituto procuratore della Repubblica Giuseppe Stipo, poi toccherà nella fase processuale al procuratore Michele Russo sostenere l’accusa ed al giudice estensore della sentenza di primo grado Vincenzo Ferro, presidente Gennaro Avolio, a latere Caterina Fiumanò).
Articolo ‘diffamatorio’ da prima pagina a firma del redattore di giudiziaria Luciano Corrado, quando era direttore responsabile Tommaso Giglio e Giulio Anselmi condirettore. Fu di Anselmi la telefonata notturna a casa del redattore: “L’articolo che hai mandato su Teardo inquisito, con complici e perquisizioni ad uffici ed abitazioni, va in prima pagina. Sei sicuro di tutto ? Se sbagliamo sono guai seri, si prende metà giornale….”.
Giglio ( compianto) e Corrado sul banco degli imputati, difesi dagli avvocati Ernesto Monteverde e Romano Raimondo, ripresi dalle telecamere di Rai 3 Regione, dai fotoreporter dei quotidiani regionali e nazionali. Le parti lese – parte civile assistite dall’avvocato Silvio Romanelli. Sbattuti in prima pagina, si suole dire come i clamori delle notizie e del personaggio Teardo meritavano (una seconda parte lesa, con querela per violazione del segreto istruttorio, del ‘cassiere del clan’ Leo Capello, albergatore a Spotorno, già presidente del Savona Calcio).
Il processo, per direttissima, si concluse con una condanna pecuniaria, perchè in realta a Teardo fu risparmiata la contestuale perquisizione in casa e nella sede della Regione. Oggi possiamo rivelare che il giudice Petrella aveva in realtà predisposto il provvedimento ma quando nel primo pomeriggio ne informò l’allora presidente del tribunale Guido Gatti dovette rivedere la sua scelta. La sentenza di Genova (diffamazione e violazione del segreto istruttorio) fu riformata in appello, quindi in Cassazione con prescrizione ed amnistia. Teardo che chiedeva un miliardo e mezzo di danni.
Seguirono gli anni ‘del ciclone Teardo’, arresti, storie di carcerati eccellenti e di umiliazioni, sequestri, sentenze, parcelle milionarie. Scriveva Vittorio Grevi su Il Sole 24 Ore, direttore Gianni Locatelli: “Le notizie che giungono da Savona, fanno giustizia di molti equivoci sul ruolo degli amministratori locali”. Perche ? Il titolo: ” Questa non si può chiamare politica “. Cosa è cambiato da allora ad oggi ? Nulla, anzi peggio di prima ci confidava prima di lasciare questa vita terrena Umberto Ramella, uno dei difensori degli imputati alla sbarra, esponente provinciale del Psdi, tra i “venerabili 33 ” dell’obbedienza di Piazza del Gesù. Ramella è tra quanti non avevano dubbi che si ‘rubava più di prima‘, seppure erano mutati i modi, le forme, i canali, le sacche di impunità; dai partiti tradizionali agli arricchimenti personali, dalla mazzetta entro i confini nazionali, ad oltre frontiera.
Grevi ricordava che “Savona ha segnato una tappa importante nel delineare i confini tra le aree di liceità e della illiceità penale…. ha attestato, se pur ce ne fosse bisogno, che la pratica delle tangenti e gli altri consimili artifici di taglieggiamento per acquisire ricchezze ed indebiti vantaggi costituiscono reato, come l’acquisizione di certe oblazioni e regalie, dietro la cui apparente spontaneità si nascondono subdole forme di costrizione e di induzioni da parte di politici arroganti e protervi”. Concludeva con un invito: “...Ci pensino bene quanti fingevano di credere il contrario, mascherandosi dietro l’alibi della politica, E ci pensino anche i magistrati ai quali compete, non solo a Savona, di impedire il diffondersi di certe forme di delinquenza nobilitate dal colletto bianco”. (l.c.)