Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

Settimanale d’informazione senza pubblicità, indipendente e non a scopo di lucro Tel. 350.1018572 blog@trucioli.it

Gli invincibili
Superga 4 maggio 1949: ore 17,01


Da vari giornali dell’epoca, e soprattutto dalla <<Gazzetta dello Sport>> (Spartaco Trevisan) ecco la <<ricostruzione tecnica>> della sciagura di Superga.

Il I-ELCE in rotta da Barcellona verso Torino, è entrato in collegamento radio con Bologna, Roma e Milano alle ore 15.45 e alle 16.16 entrava in collegamento anche con Torino, punto terminale del volo. Già precedentemente Torino, in considerazione delle condizioni metereologiche locali, aveva diramato il QBI, che nel sintetico linguaggio degli aviatori significa: “vivono le norme per il volo strumentale”.

Alle 16.18 Torino ripeteva al velivolo in navigazione il QBI già precedentemente diffuso e il bollettino locale. L’aereo non raccoglieva il messaggio e chiedeva che fosse ripetuto. Alle 16.30 Torino trasmetteva per due volte il QBI e il bollettino.

Eccolo: Torino pioggia; visibilità 1200 metri; copertura 8/8; nubi basse n. 480; vento al suolo 360 nodi 2

dunque a Torino pioveva, il cielo era totalmente coperto con nubi a 480 metri, il vento debole e la visibilità (si tratta di visibilità orizzontale) di 1200 metri, si poteva atterrare, dunque. Terminata questa trasmissione Torino chiedeva il <<ricevuto>>. Non ottenendo risposta (le trasmissioni erano alquanto disturbate) Torino sollecitava una risposta dall’I-ELCE; il quale, alle 16.26 invitava Torino a ripetere tutto.

Subito dopo, alle 16.30, tutto il messaggio veniva ripetuto e immediatamente il trimotore accusa il <<ricevuto>>. Alle 16.30 l’I-ELCE doveva essere ancora sul Mediterraneo perché soltanto alle 16.41 veniva segnalato sulla vericale di Savona, quindi sulla costa. Torino richiamava subito il velivolo invitandolo a comunicare l’ora presumibile di arrivo. Tra le 16.30 le 16,40 l’aereo e la stazione a terra si mantenevano in costante collegamento. Alle 16.40 veniva intercettato un messaggio dal quale si deduceva che l’apparecchio volava a 2000-3000 metri.

Alle 16.41 il velivolo dava quota 2000 e pregava di accendere il radiofaro di Novi Ligure. In quel momento l’apparecchio volava sopra Savona, a<l di sotto delle nubi.

La occlusione di nubi basse si parava davanti all’I-ELCE e l’equipaggio si preparava a navigare alla cieca e chiedeva l’ausilio dei radiofari.

Alle 16.44 la stazione di Torino, disturbata da altra trasmissione e preoccupata di mantenere il collegamento con il trimotore, lanciava il QRT (invito al silenzio). Al che l’equipaggio domandava subito se Torino avesse qualcosa da comunicargli. Il colloqui attraverso l’etere continuava, disturbato, ma regolare. L’apparecchio chiedeva alle 16.45 il QFF (pressione media regionale). Il dato veniva da Torino a Milano e ritrasmesso alle 16.51.

volando dentro le nubi, l’equipaggio chiedeva i dati riguardanti la pressione per verificare e possibilmente per correggere gli altimetri. Alle 16.53 ol velivolo accusava ricevuta del QBA (visibilità orizzontale). Ci si voleva dunque accertare che il campo fosse atterrabile. Torino rispondeva dando 1200 metri e poi ripeteva ancora il precedente bollettino ed aggiungeva un dato interessantissimo in quel particolare momento, la pressione barometrica regnante sopra il campo. Il velivolo accusava ricevuta e diceva di aspettare per la comunicazione dell’ora di arrivo.

Alle 16.55 l’aereo dava l’ora di arrivo (tra 15 minuti) ed avvertiva di passare sull’onda del radiogoniometro. E alle 16.58 la stazione gonio a terra e l’I-ELCE scambiavano messaggi per stabilire il collegamento.

Alle 17 Torino comunicava il QDM (rotta magnetica) per raggiungere l’aeroporto: 285′.

Ė questo l’ultimo collegamento fra cielo e terra. Tra le 17.03 e le 17.12 Torino chiamava insistentemente il velivolo e non riceveva risposta,

L’osservatorio meteorologico del colle di Superga dava intatti visibilità di 40 metri, era avvolto dalla nuvolaglia.

Il terribile urto deve essere avvenuto tra le 17.01 e le 17.03. l’apparecchio ha toccato dapprima con l’ala sinistra, circa 2 metri e mezzo sotto la Basilica, in assetto cabrato. Poi ha battuto contro il corpo di fabbricato della Basilica. Evidentemente qualcuno dei piloti, all’ultimo minuto, ha visto profilarsi la gran massa scura ed ha tentato una disperata manovra. Così invece di toccare di prua e in assetto normale il monoplano, che aveva abbozzato una virata, toccò prima con l’ala e poi, in assetto di decisa cabrata, con la fusoliera. L’urto è stato tremendo. Equipaggio e passeggeri sono morti sul colpo. Tutti all’infuori del pilota o dei piloti, hanno ignorato l’istante tremendo che precedette la catastrofe. Sono passati, senza scosse, senza emozioni, dalla vita alla morte.

Il colloqui attraverso l’etere conferma che tutto funzionava bene a bordo e che l’equipaggio era perfettamente tranquillo. Il punto di impatto è esattamente sulla rotta che il velivolo doveva seguire. Bastavano un centinaio di metri di maggior quota o una deviazione laterale di qualche decina di metri per evitare la catastrofe. Una tremenda fatalità. Le responsabilità ?

L’equipaggio era dei migliori. Il fatto di averlo prescelto per questo volo lo dimostra. Il tenente colonnello Meroni era stato istruttore di volo senza visibilità. In fatto di volo alla cieca sapeva il fatto suo. Ed era un pilota freddo, ragionatore. Il maggiore Bianciardi aveva una lunga pratica di linea, con questo ultimo volo stava per raggiungere la meta della sospirata ma meritoria abilitazione internazionale. Elementi provatissimi anche il marconista Pangrazi e il motorista D’Inca.

L’equipaggio non era raccogliticcio, era affiatatissimo, collaudato da centinaia di voli nelle condizioni meteorologiche più avverse. Il velivolo prestava servizio da anni sulla nostra rete aerea, non aveva mai accusato difetti e del resto la storia del volo dimostra che non ne aveva rivelati neanche durante quest’ultimo tragico volo. A bordo tutto funzionava perfettamente.

Ė però certo che la catastrofe deve imputarsi alla nostra estrema povertà di Nazione vinta e dissanguata. La guerra era finita da poco, c’erano profonde ferite di ogni tipo da sanare, c’erano problemi più gravi di quelli delle carenti attrezzature, anche degli aeroporti.

L’apparecchio era dotato di strumentazione non perfettamente aggiornata, mancava ad esempio della sonda radar orizzontale che, segnalando tempestivamente l’ostacolo, avrebbe posto in grado i piloti di evitarlo. Ma il radar costa milioni, il campo dell’Aeritalia è un campo privato, già si pensava a Caselle come stazione aerea di Torino e per questo era stato stanziato un fondo di 100 milioni. Ma tutto era rimasto allo stato di progetto”.

Le vittime furono 31. Nel 2015, in ricordo della tragedia, la FIFA
ha proclamato il
4 maggio
come “giornata mondiale del gioco del calcio”.
[Fifa ricorda anniversario Grande Torino]

Di quel giorno ho solo un labile ricordo che tuttavia mi è rimasto nella mente: stavo andando assieme a mia mamma dalla nonna, in via Ricotti 1, quando fummo sorpresi da un violento temporale. Un anziano portiere di un caseggiato di corso Regina Margherita, vedendo noi ed altre persone in difficoltà, ci fece entrare nell’andito dell’edificio e ci impose di salire sopra il gradino che era a lato del passo carraio.

Ricordo solo il fiume d’acqua che oltrepassò il portone di ingresso ed allagò il passo carraio; il botto provocato dai fulmini ed i relativi lampi. Finito il violento temporale, all’uscita del nostro provvisorio posto, in tutto il corso vidi e sentii un “ululato” delle sirene dei mezzi dei vigli del fuoco [la caserma dei Vigili del Fuoco è stata fino agli anni ’70 in corso Regina, a due passi da Porta Pila] che correvano a grande velocità verso il Po e la Collina. Quelle sirene mi tornano in mente ogni anno alla data del 4 maggio.

Il seguito di tale data, non l’ho letta sui giornali dell’epoca, ma mi è stata trasmessa da mio padre e da mia madre che anche loro hanno assistito alle esequie.

 “Ė questo l’ultimo collegamento fra cielo e terra. Tra le 17.03 e le 17.12 Torino chiamava insistentemente il velivolo e non riceveva risposta” – Silenzio !

 Silenzio fuori ordinanza, come quello che risuonò il 6 maggio.

“Li abbiamo visti venire giù dallo scalone dello Juvarra nell’atrio di Palazzo Madama. E come non mai abbiamo avuto la certezza dell’immensità della catastrofe. Venivano già racchiusi nelle bare e portati dai compagni, dagli amici, dai colleghi.

Scendevano ad uno, ad uno lentamente, tra i cordoni d’onore ufficiali dei carabinieri in alta uniforme, e dietro a ciascuno venivano i parenti in lacrime, coi primi fiori. Un corteo che pareva non finire più.
Quando sono comparse le salme, un lungo brivido ha pervaso gli astanti. Giovani e vecchi singhiozzavano, molti sono caduti in ginocchio, mentre le bare si susseguivano e venivano caricate sugli autocarri verniciati di nuovo. Poi i fiori le hanno ricoperte, le innumerevoli corone sono state caricate sulle vetture a seguito, il corteo si è formato facendo il giro della piazza.

Tutti avevano voluto essere presenti all’ultimo saluto” . [le esequie nel ricordo di Carlin]

Più che le Autorità Comunali e Nazionali, più che dalla presenza dei personaggi di un certo “calibro”, venuti anche dall’estero, attorno ai carri militari che trasportavano ognuno una bara, alle famiglie dei giocatori, dei giornalisti e dei piloti, si strinse tutto il popolo di Torino, del Piemonte e di coloro che erano venuti da fuori, una moltitudine di persone che volevano, con la loro presenza, omaggiare coloro che con le loro azioni hanno cercato di restituire Dignità al Popolo Italiano.

Quel giorno a Torino le presenze alle esequie sono state 500.000, gli altri lungo il percorso del corteo li seguivano dai balconi stipati all’inverosimile, dagli abbaini e dai tetti.

Tutti attorno agli “eroi”, sia di fede torinista sia di fede juventiva, tutti a testimoniare con la loro presenza il ruolo che i 31 hanno svolto per una Italia uscita da una guerra inutile e disastrosa.

Sono gli anni della rinascita, dopo il 1946 l’Italia è ancora un cumulo di macerie, i generi di prima necessità scarseggiano, ma in tutti c’è la speranza di un domani migliore. <<Ricostruire>> è lo slogan imperante, riferito a case, trasporti, industria, unità di coscienza e persino forma istituzionale dello Stato. Le strade sono ancora sconnesse e le vie di comunicazione precarie, ma la voglia di una Italia migliore è tanta.

Ci mettono del loro anche i vari Coppi e Bartali, oltre, naturalmente la squadra di Valentino Mazzola: occorre recuperare credibilità anche verso i paesi alleati che non vedono di buon occhio l’Italia che che ha tradito, tutti gli Stati Liberi, vendendo i propri servigi alla Germania.

Giovanni Arpino, 25 anni dopo Superga, ha testimoniato con : “Ma ‘n fiur l’aviu…. me grand Turin”

Noi oggi, a 68 anni di distanza, ricordiamo i 31 eroi così:

Giocatori


Avatar

Alesben B

Torna in alto