Ho letto con piacere l’articolo di trucioli.it sull’ex albergo ristorante “Al Castagneto” di Pornassio. Mi ha fatto ricordare quando, ragazzini, lo raggiungevamo in bici da Ormea per vedere gli allenamenti della squadra azzurra di scherma – ivi in ritiro – con la presenza di Mangiarotti, reduce dalla medaglia alle Olimpiadi. O quando, sempre in bici, cercavamo di tenere la ruota di Nino Defilippis (con la maglia bianco-nera “Carpano”) che andava su e giù da Pieve di Teco a Nava ed alloggiava, in vacanza, proprio Al Castagneto. Bei tempi !
Peraltro credo che l’epoca d’oro del Castagneto abbia suggerito ai Cagna di realizzare l’ Albergo San Carlo di Ponte di Nava, decisamente rivalutato negli ultimi tempi. Quanto al glorioso Ormeasco un po’ di tempo fa ho preparato ed asettica relazione richiestami dal Parroco di Ormea che è astemio!
Le viti e le vigne a Ormea furono oggetto di attenzione già negli Antichi statuti. Confermati nel 1241 e riconfermati nel 1295, vennero posti in osservanza già dall’ anno 1142 quando il feudo toccò ad Arelaco, marchese di Ceva.
Naturale fu lo scambio di materiale enoico (relativo alla vite e al vino) tra i due territori a cavallo del Col di Nava, in particolare negli anni dell’epoca calda medievale quando, più marcatamente nell’ ormeasco che nel resto della valle Tanaro, si svilupparono i terrazzamenti come in alta Valle Arroscia per le piantagioni di ulivi.
Nulla di strano se i successivi statuti di Pornassio (1299) e gli Ordinamenta del marchese Francesco, della Castellania di Pornassio, Cosio, Mendatica e Montegrosso (1303), sancirono l’obbligatorietà di impianto di viti ad alteno (vite consociata con piante da fusto colla funzione di sostenere i tralci sollevati da terra). Era la pratica e la “moda” del tempo. Benvenuta allora quella vite proveniente da Ormea: ulmiōsca nel dialetto di origine, ormeasca in lingua volgare, che ben si adattava al territorio, terroir… potremmo dire oggi col termine francese molto più in voga!
E se la vite è “ormeasca”, il vino che ne deriva non può che essere “ormeasco”; così nei secoli, fino ad oggi.
Era peraltro già noto agli antichi studiosi che si occupavano della descrizione e della classificazione della vite nelle sue specie e varietà coltivate, che il locale vitigno “Ormeasco“, delle valli a nord della città di Imperia, è lo stesso del “Dolcetto” un vitigno diffuso in Piemonte (Gallesio 1817/1839); così come il “Vermentino”, il vitigno più diffuso in Liguria è identico al “Pigato” (tipicamente coltivato in una limitata area della Provincia di Savona), ed è lo stesso della piemontese “Favorita” (Schneider e Mannini 1990).
Nel 1896, nella pubblicazione del Ministero dell’Agricoltura dal titolo “Notizie e studi intorno ai vini e alle uve d’Italia” nelle due province che allora esistevano entro i confini dell’attuale Liguria, ovvero Porto Maurizio e Genova che comprendeva Savona e parte della Spezia, erano segnalate ben 160 varietà a frutto bianco e 120 a frutto colorato, tra queste “l’Ormeasca o Dolcetto”; un universo di vitigni, se rapportato all’esiguità della superficie coltivata a vigneto!
Non si può poi sottacere la descrizione del Dolcetto fatta nel 1962 dal grande ed illustre ampelografo Prof. Dalmasso per il Registro Nazionale delle Varietà di Vite: “Di questo ben noto vitigno piemontese si possono citare alcuni sinonimi, più o meno ancora oggi in uso. A parte quelli che non sono che deformazioni del suo vero nome – esempio: “Dolsin”, “Dolsin raro”, già ricordati fin dal 1825 dal conte Lorenzo De Gardenas nell’ Acerbi “Dosset”,”Dolzino”,”Dolzin”,”Dolceto”, o forse “Dolciut” in friulano – ricordiamo in particolare quello di “Ormeasca”, tuttora usato in quella parte della Liguria che confina con la provincia di Cuneo (cioè col circondario di Ormea, donde il nome) – “Uva d’ Acqui”,…”
La questione del graspo. Alcuni distinguono due sottovarietà del vitigno. L’Ormeasco è un Dolcetto a graspo rosso o a graspo verde? Ma si tratta solo di cambiamenti dovuti all’età della vite e all’ambiente. Sono caratteristiche tipiche che si presentano durante l’anno e nelle fasi della vegetazione. In genere in primavera e in estate gli apici vegetativi e la parte terminale dei tralci erbacei assumono colore verde, quasi ramato. In autunno le foglie prendono un bel colore rosso. Si tratta di semplici modificazioni ambientali.
La qualità? Dipende dai gusti! Strabone, geografo e storico dell’antica Grecia, nel 63 a.C. scriveva che i liguri del ponente producevano un vino scarso, resinoso e aspro! Sante Lancerio, coppiere del Papa Paolo III, conoscitore della Liguria, nel 1530 affermava che i vini erano generosi. Il Prefetto Napoleonico Chabrol, che tra gli altri numerosi vitigni annotava les doucettes nel circondario di Porto Maurizio al quale apparteneva Pornassio, si lamentava che durante la vendemmia si tagliassero i grappoli e, senza distinzione di qualità delle uve, si ammucchiassero nelle gerle poi portate al tino. Ma nelle statistiche produttive, commerciali e sociali del territorio (1812) ha lasciato detto che:” …i cantoni di Garessio, Ormea e Calizzano, che hanno poche vigne… fanno un vino di cattiva qualità, poiché sono i più freddi del dipartimento”, ancora: “…nei comuni situati sulle rive del Tanaro e della Bormida si piantano le viti in terreni pietrosi e sabbiosi, poco adatti a dare buon vino o altri prodotti….l’uva di migliore qualità è quella chiamata dolcetto (l’ormeasco?): è preferita a tutte le altre perché dà una maggiore produzione e matura per prima, circostanza importante in un paese dove il freddo è precoce. Le vigne di dolcetto rappresentano i 5/6 del totale” Quanto a Ormea: “…sui pendii ci sono campicelli e vigne sostenute da muri a terrazze come in Liguria…I principali prodotti agricoli consistono in fieno, segale, avena, castagne e, ahimè…vino di mediocre qualità.”. Al contrario il Casalis nel Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale (1845) rapportava che a Ormea “…i vigneti somministrano vini, che riescono assai buoni”. La qualità è oggi assicurata dai produttori attraverso l’osservanza dei disciplinari relativi alle Denominazioni di Origine Controllata Ormeasco, Ormeasco Superiore e Ormeasco Sciac-Tra riconosciute con i DPR del 1988.
Il “territorio dell’ormeasco” ha rappresentato un collegamento, un ponte tra Piemonte e Liguria, un riscontro tra cultura e popolazioni, dove vini e cibi si sono incontrati, confrontati e completati. Un’area viticola terrazzata con i muretti a secco, con una valenza ambientale insostituibile per la sicurezza idrogeologica. Viticoltura “eroica” di montagna che produce un vino “estremo”, in forte pendenza ed in condizioni difficili.
Gianfranco Benzo