A Pornassio una tomba risalente all’età del ferro. Recuperati numerosi (inestimabili) reperti, dapprima trasferiti a Torino e da ultimo a Genova. Ma rinchiusi, nascosti da decenni, nel deposito del museo di Pegli che espone la più ampia rassegna di archeologia ligure: preistoria e protostoria nel Parco di Villa Pallavicini. E a Pornassio che si dice ? Un accenno alla scoperta è riportato in un passo del libro ‘Pornassio si racconta…un paese per una strada’. Nessuna menzione nel sito ufficiale del Comune, con la consapevolezza che occorra valorizzare, in loco, la scoperta e riprendere gli scavi nell’area interessata, l’ex vivaio Forestale di Pian d’Isola.
Un tema d’attualità, pur sempre, tra la curiosità e l’incredulità. Visto che tutti, o quasi, a parole ‘predicano’ il rilancio turistico ed economico dell’entroterra, parente povero della Riviera balneare, spesso superaffollata e ‘gratificata’ (?) da molte migliaia di seconde case, munificenza di tasse (Ici-poi Imu e Tasi, Tari), uffici di Province e Comuni con la gara chi aveva più dirigenti superpagati, in maggioranza e impiegati. L’autonimia locale, tanto caro alla Lega, per seguire il brutto esempio dei ministeri della capitale ? Di fatto gran parte dell’Italia è alla stregua di tutto il mondo è paese.
Anche a Pornassio, assai meno fortunato della costa, il ritrovamento di gioielli dell’antichità millenaria sembrava dimenticato, da quasi un secolo. Eppure la tomba non era una favola, un racconto fantasioso da tramandare tra le generazioni. Era venuta alla luce all’inizio della Prima Guerra Mondiale (1914). A divulgare la notizia era stato l’archeologo Piero Barocelli (1887-1981), organizzatore di mostre con il mitico imperiese – albenganese prof. Nino Lamboglia. Ai nostri giorni il merito di ‘non dimenticare’, anzi darsi un sveglia, è del team di autori che hanno dato alle stampe ‘Pornassio racconta…’, portando alla ribalta il ‘tesoro nascosto’. In particolare Pietro Augeri che ha curato la topografia e la storia ecclesiastica del paese. Con lui una squadra di una decina di volontari, storici locali certosini , guidati dal coordinatore Giampiero Lajolo.
Cosa emerge di tanto interessante e certezze nell’attualità ? Si legge che il rinvenimento della tomba è avvenuto nell’ex Vivaio Forestale di Pian d’Isola (Di fronte ad esso, verso Nord/Ovest, una collinetta porta almeno dal 1298, il nome di Castelari; poco al di sopra della scoperta a Nord Est, la località Brignola dove, da tempi immemorabili, la tradizione racconta esservi “nato” il primo nucleo di Pornassio). Le notizie divulgate da Barocelli, nel 1918, sono un “Estratto dalle Notizie degli Scavi, anno 1918, fascicoli 4, 5 e 6 “- Biblioteca IISL Bordighera (IM), I H miscellanea G 5., con alcune altre piccole notizie: Teofilo Ossian De Negri parlando della Civiltà di “Golasecca”: […] segni di questa presenza si trovano a Pornassio, a valle del Colle di Nava, verso la Riviera (T. O. De Negri, Storia di Genova). E ancora: “Una tomba dell’Età del Ferro testimonia la presenza di tribù liguri su questa direttrice (di collegamento tra la costa ligure di ponente e il Piemonte) frequentata anche in età romana in direzione di Pollentia” (Da AA.VV. – Val Tanarello: echi di Provenza per una valle alpina, pubblicazione (dépliant) della Comunità Montana Valle Arroscia).
Cosa si conosce d’altro della preistorica presenza a Piano dell’Isola ? Dalla relazione del Soprintendente risulta documentato: “ Nell’anno 1914 questa Soprintendenza era informata dall’Ufficio forestale di Genova che nel vivaio forestale di Piano d’Isola, nel Comune di Pornassio, presso Pieve di Teco, era stata rinvenuta a profondità di circa un metro dal piano di campagna una tomba. Consisteva in un’urna cineraria in cui erano ossa combuste ed altri oggetti, protetta da lastroni di ardesia, senza alcun segno distintivo esterno. Fu parzialmente manomessa appena scoperta. Solo saggi di scavo permetterebbero di stabilire se trattavasi di una tomba isolata o se ve ne siano altre. Gli oggetti raccolti furono inviati al Museo di Antichità di Torino: oltre a due frammenti di orlo sporgente all’esterno di un vaso di terracotta nericcia fine, verosimilmente unici avanzi dell’urna cineraria (In nota: “La tomba era ad incinerazione. Questo risulta dalla relazione dell’Ufficio Forestale alla Sopraintendenza delle Antichità per la Liguria ed è comprovato da alcuni pezzetti di ossa combuste inviati al Museo di antichità di Torino assieme agli oggetti”.
Le figure riprese nell’immagine sono state ricavate da un dattiloscritto che racconta, in modo semplice, la storia dei quattro paesi dell’alta Valle Arroscia: Cosio d’Arroscia, Mendatica, Montegrosso Pian Latte e, naturalmente Pornassio, redatto dagli alunni e insegnanti della Colonia Alpina “Ferrante Aporti”, nell’anno scolastico 1986, e vengono rappresentati alcuni dei reperti rinvenuti nella tomba. Sembrano tutti oggetti accessori e, secondo le informazioni avute, sarebbero stati ritrovati nell’urna predetta.
Sono i seguenti:
1) – Una ciotola fittile rozza, di impasto granuloso, fatta senza uso del tornio, con ingabbiatura nericcia, lisciata con la stecca, spezzata in due frammenti ricongiungibili. Invece il piede ha una piccola concavità nel mezzo del fondo. Diametro della bocca centimetri 13. Altezza centimetri 7,5. Per la forma e per la grandezza è da escludere che abbia servito per vaso cinerario.
2) – Altra ciotola, pure fittile perfettamente conservata, nericcia di fine impasto, che parrebbe da qualche mal sicuro indizio modellata ad un tornio primitivo e lisciata con la stecca, con piede ad anello circolare rilevato. Notevole a certa distanza dall’orlo una specie di labbro verticale interno. Probabilmente serviva di coperchio. Diametro della bocca centimetri 15; del labbro interno centimetri 8,8 ; del piede centimetri 5,3; altezza centimetri 5,8 .
3) – Alcuni frammenti di braccialetti di bronzo.
4) – Due frammenti di catenella di bronzo. Gli anelli del diametro di centimetri uno circa, salvo uno centrale di diametro 2,3 centimetri sono in parte saldati a due o tre assieme.
5) – Fibula a sanguisuga. La staffa è allungata e terminata in un globetto e in un dischetto. Lunghezza totale centimetri 9; della staffa centimetri 4.
6) – L’ornamentazione a fasci paralleli di linee parallele graffite, disposti in vario senso, è comune a questa classe di fibule. Come generalmente nel periodo avanzato della prima età del ferro, la verghetta dell’ardiglione, formata a parte dal corpo della fibula, penetra per breve tratto ed è fissato all’estremità del medesimo.
La testimonianza dell’ “l’importanza della tomba di Piano d’Isola è sia per essere stata ritrovata nelle vicinanze e sulla strada del passo di Nava, sia per la grandissima scarsità di notizie sulla attuale Liguria occidentale durante l’età del ferro. La tomba di Pornassio serve quindi a fornire nuovi dati circa la estensione della civiltà della prima età del ferro, dalla fine del secondo millennio a. C. a tutto il primo millennio a. C.”
A quanto è dato a sapere il pornassino Pietro Augeri si è messo in contatto con la direzione del museo archeologo di Pegli ed avrebbe chiesto un incontro, con la del sindaco di Pornassio, Emilio Fossati. Superfluo a questo punto chiedersi per quale sottovalutazione nessuno si era mai preoccupato alla sorte dei resti dell’età del ferro e dell’area in questione. E’ molto probabile, statisticamente forse una certezza, che la zona di Piano d’Isola custodisca altri ruderi, spoglie, strumenti, oggetti antichissimi. Sarebbe motivo di richiamo ed interesse storico, archeologico, turistico. Un valore aggiunto alla terra dell’Ormeasco e dei forti dell’800. Nel paese che può fregiarsi di artisti da teatro popolare fai da te e meriterebbero di esibirsi oltre i confini, per spettacoli di risate salutari.
DAL SITO UFFICIALE DEL COMUNE SI LEGGE
Pornassio nell’Antichità – Pornassio ha origini molto antiche che potrebbero addirittura risiedere nella romanità, quando, molto più di quanto un tempo si credesse. Infatti il territorio interno della Liguria occidentale era caratterizzato dall’insediamento non sporadico di ville rustiche cioè di insediamenti ed aziende agricole, retti in gran parte di mano d’opera servile e preposti allo sfruttamento agro-zootecnico del territorio (e significativamente fu questa l’origine di COSIO, centro dell’alta valle Arroscia con cui fu sempre coniugata la storia civile ed economica di Pornassio).
Pornassio nel Medio-Evo – Ai primi del 1200, Pornassio fu tra i paesi della Val d’Arroscia che prestò giuramento di fedeltà a Genova: da quest’epoca data appunto la lunga vicenda del paese come entro importante della “Castellania dell’alta valle Arroscia” con capitale COSIO: la rilevanza di Pornassio era soprattutto legata al fatto di avere notevole importanza per l’alpeggio estivo delle mandrie transumanti dalla valle del Roia e per il suo castello che controllava la strada per il colle di Nava.
Nel 1254 avvenne il passaggio della proprietà di Pornassio, Cosio e Garessio ai Signori Guglielmo e Robaldo e nel 1263 a seguito della suddivisione del possedimento, Garessio venne affidata a Guglielmo, Pornassio e Cesio a Robaldo.
Nel 1270 le truppe di Roberto di Laveno occupano Pornassio ma il pronto intervento di Oberto Doria fa si che il possedimento ritorni a Robaldo che, a sua volta, lo cede a Genova nel 1274.
Nel 1283 i Conti di Ventimiglia vendono i loro diritti su Pornassio e Cosio a Oberto Spinola.
Nel 1310 intercorre accordo tra Francesco di Clavesana e Giacobino e Giovannino, Signori di Pornassio.
Verso il 1329 rientrano in scena i Ventimiglia: Francesco Conte di Ventimiglia venne investito dei fondi di Pornassio, Aurigo, Lavipa e Cosio dall’Imperatore Ludovico.
Verso il 1385 Giovanni Scarella dei Signori di Pornassio avanza le sue pretese e proteste che il Doge Antoniotto Adorno, con suo lodo, pone Pornassio sotto il dominio di Genova affidandone il feudo agli Scarella.
Pornassio nell’Età Moderna – Dal XIV secolo inizia quindi la secolare vicenda del paese come centro importante dell’alta valle dell’Arroscia nel contesto della suddivisione amministrativa del Dominio di Terraferma di Genova.
Nel 1575 il Duca di Savoia acquista il feudo del Maro e pretende un’interessenza su Pornassio.
Nel 1625 la tensione tra Piemonte e Liguria aumenta sempre più e alla fine sfocia in una guerra: del resto mentre i Savoia non possono rinunciare ai diritti su un luogo forte come Pornassio che si trova sulla strada che collega i loro domini piemontesi con quelli della costa ligure (Oneglia e il suo entroterra); Genova non vuole abbandonare un così importante posto di controllo temendo una crescente pressione sabauda sui suoi territori alla ricerca di ulteriori controlli delle assi viarie che permettevano il transito “mare-monti-pianura Padana”. La questione fu dibattuta in ogni sede e nel 1736, per opera dell’illustre cartografo militare Matteo Vinzoni, fu fatta redigere dalla Signoria genovese una CARTA GEO-TOPOGRAFICA in cui si riconosce la ricerca della via migliore tra Oneglia e l’Aroscia (il passo di S.Bartolomeo, da S.Lazzaro a Lavina, a Cénova alle Prealbe, o quello di Valdebella, dal Mauro per Aurigo e Rezzo ancora alle Prealbe: proprio in questo schizzo si nota la particolare posizione strategica di PORNASSIO, che Genova cercava di tenere fuori discussione da ogni controversia o soluzione sull’assetto viario Oneglia-Monti-Pianura Padana. In pratica queste controversie, mai risolte nonostante sforzi diplomatici e militari, si conclusero solo nel 1795 con l’occupazione Napoleonica.Con il Congresso di Vienna (1815) viene inserito come altri comuni liguri nel Regno di Sardegna e dal 1861 diverrà parte integrante del Regno d’Italia.
Pornassio Italiana – La storia di Pornassio nell’unità d’Italia è legata a doppio filo alla storia dei forti che si trovano al Col di Nava. Queste fortificazioni sono state costruite dopo la costruzione del Regno d’ltalia negli anni che vanno dal 1870 al 1880 quando era Ministro della Guerra il Generale De Sonnaz, sui passi che dalla costa portano alla pianura Padana. Nello stesso periodo furono anche costruiti i forti di Tenda (Valle Roja), Zuccarello (Valle Panavia), Melogno (nell’entroterra Finalese) e sul passo del Giovo Ligure a difesa di eventuali sbarchi sulla riviera ligure da parte di truppe anglo-francesi alleate con l’Italia che con Austria e Germania formavano la Triplice Intesa. Questi forti sono stati armati a difesa dei suddetti passi sino al 1914 quando l’Italia abbandonò la Triplice Alleanza schierandosi con la Francia e l’Inghilterra per fondare la Triplice Intesa al fine di ottenere le regioni ancora sotto il dominio austro-ungarico (Trentino e Venezia Tridentina). Prima dell’inizio della prima guerra mondiale (1915) questi forti sono stati disarmati e gli armamenti spostati sul fronte orientale e durante gli anni della guerra del 15/18 essi servirono per ospitare i prigionieri austriaci fino al momento dell’armistizio.
Negli anni 1929 – 1930 furono utilizzati come depositi di armi italiane ed austriache recuperate nella grande guerra. Vennero poi ristrutturati per ospitare nuovi reparti in attesa delle guerre coloniali e della seconda guerra mondiale infatti nel ’35 nel Forte Centrale e Bellarasco si acquartierarono i fanti della divisione “Cosseria” 41° e 42° reg. Fanteria in attesa dell’invio all’imbarco nel porto di Napoli per la guerra dell’Abissinia.
Nel 1938/39 ospitarono i vari reggimenti di fanteria ed alpini in attesa dell’inizio della 2° guerra mondiale (10 giugno 1940) e da qui partirono per il fronte occidentale l’8° reg. Alpini div. Jiulia.
Dopo l’8 settembre 1943 furono abbandonati, in essi si smobilitarono le truppe provenienti dalla Costa Azzurra 5° corpo d’armata, che qui abbandonarono ingenti quantità di armi leggere e munizioni che, raccolte da giovani volenterosi e, nascoste perchè non finissero in mano ai tedeschi, servirono per armare le prime bande dei ribelli che quassù iniziarono il movimento partigiano. Dopo la prima battaglia fra partigiani e nazi-fascisti del 10 – 14 marzo 1944 furono occupati dalle forze nazi-fasciste, che vi si installarono a difesa del paese per i loro movimenti da e per il fronte italo-francese sino ai primi di giugno del 1944, quando i partigiani della brigata VaI Tanaro al comando del Cap. Martinengo (Hanau Eraldo) lo assediarono e lo espugnarono facendosi consegnare tutte le armi e materiali vari dalla compagnia della Guardia Nazionale Repubblicana, intimando agli stessi fascisti di andarsene a casa e accettando fra le file partigiane chi voleva arruolarsi (circa la metà). Durante gli ultimi mesi della guerra (dicembre 1944 – aprile 1945) occupato dalle truppe tedesche della div. Brandeburgo comandata dal generale Von Lieb detto Love dei Kircassi (Leone dei Kircassi, regione russa dove infierì come una belva), diversi partigiani italiani e Maquisard francesi vi furono imprigionati in attesa di essere giustiziati come poi avvenne. Tra questi, due furono dei giovani della Costa Azzurra (Francois Dominaci e Antonie Midou) fucilati a Pieve di Teco intorno al 10 aprile 1945, ed il capo partigiano Brancher Alfredo del Colle di Nava martirizzato al Albenga.