Nella cronologia dei fatti di sangue degli anni ’70 ancora oggi le bombe di Savona non compaiono quasi mai. Le dodici esplosioni savonesi, in fondo continuano a essere catalogate come una storia di paese, un mistero irrisolto (non c’è mai stato nessun processo, solo una sentenza del giudice istruttore Antonio Petrella del 12 gennaio 1981, 38 pagine dattiloscritte, nei confronti di un indagato ed un successivo decreto di archiviazione del giudice Fiorenza Giorgi, 56 pagine dell’11 settembre 1991 a seguito di un procedimento penale con 8 indiziati di reato, risalente al 2 dicembre 1989) ma essenzialmente confinato a una dimensione marginale e periferica.
Questa ricostruzione “localistica”, però, si scontra con una serie di elementi. Ad esempio: degli attentati savonesi sapevano tutto, e praticamente in diretta, i neofascisti che in quel momento erano latitanti a Madrid. Ancora: a quarant’anni di distanza, la CIA – che pure ha aperto o sta aprendo i propri archivi su molte stragi italiane (vedi Ustica) – continua a rifiutarsi di fornire qualsiasi informazione sulle bombe di Savona. Perché? E perché il responsabile del Viminale nel ’74, Paolo Emilio Taviani, nella sua biografia parla di ogni episodio della strategia della tensione ma non dedica neppure una riga alla più grave serie di attentati compiuti in tempo di pace in Europa, avvenuta nel suo collegio elettorale, Savona, e di cui come ministro degli Interni aveva la responsabilità delle indagini? E perché il suo braccio destro, Secondo Olimpio, per anni apprezzato sindaco di Bardineto, non ha a sua volta mai parlato dei ‘timori’ che hanno tormentato il ministro ? Se ne sono andati portandosi nella tomba il segreto ? Nessuno davvero sapeva ?
In realtà Taviani nei suoi colloqui privati è stato molto più loquace e ha dato una traccia da cui partire per capire perché e, quindi, da chi sono state messe le bombe di Savona. Dalle parole di Taviani e dai tanti atti e documenti (molti dei quali nascosti o dimenticati) riguardanti questa storia, ma anche dalle testimonianze dei protagonisti di quei giorni (e parliamo di uomini dei servizi segreti, neofascisti, militari, uomini delle istituzioni, giudici) che mi hanno raccontato la loro verità emerge un’altra storia: le bombe di Savona sono state uno snodo cruciale per passare da una fase all’altra della strategia della tensione e, in sostanza, per far finire una guerra – sotterranea ma non per questo meno violenta – combattuta in Italia negli anni ’70 e le cui conseguenze potrebbero non essere ancora concluse.
Ho già accennato al TGR Liguria ( nell’edizione serale di domenica 7 settembre) della riunione in cui, secondo la polizia svizzera e l’InterPol, furono decise e pianificate le bombe di Savona. Una riunione che si tenne a Losanna, e che sarebbe stata registrata di nascosto da uno dei partecipanti, Torquato Nicoli, un odontotecnico di La Spezia fedelissimo di Junio Valerio Borghese e, evidentemente, anche del SID per il quale faceva il doppio gioco. Ma queste famose bobine, che Nicoli afferma di aver consegnato ai servizi segreti, non sono mai state trovate: se qualcuno le avesse rintracciate, avrebbe con ogni probabilità uno strumento formidabile di ricatto.
Ma nella storia delle bombe di Savona quello delle bobine svizzere non è l’unico e neanche il più grave esempio di documenti spariti. Probabilmente, anche per questo, una verità giudiziaria non l’avremo più. Ma forse, con l’aiuto di Vincenzo Vinciguerra e dei tanti interlocutori che, riservatamente o meno, mi hanno dato la loro versione, oggi non siamo più così distanti dal poter tracciare un profilo storico più nitido di chi le bombe le ha ordinate e, magari, anche di chi le ha portate o, addirittura, le ha collocate o ha collaborato a farlo. E, alla fine, potremmo scoprire che un giovane cronista locale alle prime armi, Ennio Remondino (in seguito grande inviato speciale della RAI) probabilmente aveva già intuito molte cose…
Massimo Macciò