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Albenga successo per Mancuso (teologo), ma ‘ignora’ il vescovo ‘lefebvriano’ occulto?


Auditorium San Carlo di Albenga gremito, gente in piedi, l’autore e il libro attraggono. Un successo, forse inatteso, per la presenza del teologo di fama nazionale, Vito Mancuso, scrittore, dal 2009 editorialista del quotidiano la Repubblica. Titolo del volume “Il principio passione“. Intervistatore, l’eccellenza della cultura locale, il prof. Franco Gallea. Vietate, per ragioni di tempo, domande del pubblico. Due le abbiamo ‘strappate’ di corsa. La prima. Ha avuto modo di conoscere o leggere i ‘lavori’ di monsignor Nicolò Palmarini che per la Cei ha tradotto L’Apocalisse ? Oltre che studioso di sacre scritture e dell’antico aramaico. Risposta: “No, mai sentito, mai letto, non so chi sia“. La seconda. Lei appartiene ai riformatori della chiesa, ha avuto la possibilità di conoscere la realtà della Diocesi di Albenga- Imperia retta da un vescovo descritto su  la Repubblica, dal prof. Vittorio Coletti,  ‘lefebvriano’ occulto? Risposta: “Non so nulla“. 

 

La terza domanda poteva interessare qualche cittadino benpensante, opinionista di dibattiti e conferenze, presente in sala.  Sapere se Vito Mancuso condivideva la deliberazione di un Comune della Riviera – il nome l’abbiamo già scritto e non è il caso di ‘infierire’ per rispetto a innocenti in vita – che, con parere della commissione cultura e toponomastica, ha intitolato due strade, con tanto di cerimonia ufficiale (e imperturbabili articolisti) ad un sacerdote padre di due figlie (di una  sua amante per un periodo convivente) mai riconosciute. Ignorate nel testamento, private persino di un ricordo paterno invano richiesto alla Curia. La stessa Curia che si è ritrovata ad ereditare il patrimonio immobiliare e terriero che il fisco aveva valutato in oltre tre miliardi di lire primi anni ’90.’  La stessa amministrazione comunale di centro destra ha ‘onorato’, con una  seconda strada, un secondo sacerdote che durante il periodo di insegnamento alle elementari ( anni ’50) abusò di un’alunna di famiglia abruzzese. Lei vorrebbe parlare, ma ha figli e nipoti all’oscuro di tutto. In paese molti sanno.

Acqua passata, non giova rinvangare, mettere il dito sulla piaga della dissennatezza di quanti, senza pudore, impongono alla comunità  cristiana e laica toponomastiche  da rimuovere. Al posto della coscienza che cosa hanno i lor  ‘signori’ ?

Qualche stupore in più la risposta che ha dato un apprezzato studioso, quale è Vito Mancuso, a proposito di don Nicolò Palmarini, origini a Pietra Ligure, per anni vicario generale; tra i sacerdoti più colti e dotti del secolo scorso della diocesi ingauna. Troppo colto e soprattutto perbene per meritare ciò che molti, all’epoca, auspicavano: la nomina a vescovo. I detrattori sostenevano che si trattava di un ‘pastore’ rude, rigoroso col clero e questo avrebbe deposto a suo sfavore. Se non era ‘idoneo’ ad amministrare (con diplomazia) una diocesi, quanti altri incarichi c’erano in Vaticano ?

Chi mastica la storia del secolo scorso della diocesi di Albenga-Imperia, chi ha almeno un’infarinatura delle sacre scritture,  saprà che don Palmarini insegnava Teologia in Seminario negli anni in cui si contavano una sessantina di vocazioni al sacerdozio. Era studioso dell’antica arte della geomanzia. Capace di dialogare con illustri teologi, quali Adriana Zarri.  Oppure uno studioso russo. Con il vescovo diocesano monsignor Alessandro Piazza, studi in Sacra Scrittura e teologia, fece parte dell’equipe redazionale che curò il testo ufficiale della ‘Bibbia Cei‘ per l’uso liturgico in lingua italiana, pubblicata nel 1971.

Don Palmarini, passione per una coppia di canarini in gabbia che esponeva sul davanzale della sua stanza in Seminario, era un tradizionalista, ad iniziare dall’uso della talare,  sarebbe piaciuto a papa Francesco ? Un rigorista che arrivava a confessarsi  due volte al giorno dai frati della chiesa di Pontelungo. L’associazione ‘Monsignor Nicolò Palmarini’ – le ultime notizie internet risalgono al 2008, con il presidente Giorgio Barbaria – pare sia sia inceppata al punto che si parla di decine di volumi accatastati in magazzino, mentre nulla si è più saputo dei manoscritti e dei suoi studi geroglifici egizi.  Materiale rimasto a disposizione del vescovo e della Curia.

Il suo unico ‘erede’  rimane  don Gabriele Corini, classe 1975, nato a Loano, sacerdote della diocesi che dopo gli studi teologici nel Seminario  di Albenga si era trasferito a Gerusalemme dedicandosi alla Sacra Scrittura e alle lingue bibliche presso lo Studium Biblicum Franciscanum; tornato nella ‘sua diocesi’ resta il maggiore esperto italiano dell’aramaico sulle orme dell’ex vicario generale morto in povertà e santità.

L.C.

  


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