L’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero di Albenga ha definitivamente vinto la causa che lo vedeva opposto al Comune di Borghetto Santo Spirito in relazione ad una vicenda molto datata risalente ad oltre venti anni fa. La Corte di Cassazione con la sentenza n° 7192/ 2013 ha infatti accertato, annullando le sentenze della Corte d’Appello di Genova, che il Comune di Borghetto Santo Spirito deve risarcire i danni per l’occupazione senza titolo di fondi appartenenti all’ Istituto Diocesano dove sono stati realizzati piscina comunale e palestra.
Il danno che il Comune sarà chiamato a risarcire è di tutta evidenzia rilevante e grava sulle tasche dei cittadini.
Il fatto è che la vicenda in questione ci consente di affermare, ancora una volta, che, purtroppo, le scelte del passato, caratterizzate dall’assenza di qualunque minima visione urbanistica illuminata, ricadono sulle attuali e future generazioni.
Non è francamente pensabile che un Comune possa occupare, senza porre in essere le procedure espropriative previste dalla Legge, un bene immobile di proprietà di terzi (in questo caso dell’Istituto Diocesano).
Ma questo fatto risalirebbe all’epoca delle giunte “rosse” (forse oggi quei pochi che ancora appartengono al Partito Democratico possono fare un po’ di dietrologia e provare a ricordare i “bei tempi” andati) eppure anche quelle successive non hanno saputo fare di meglio (ricordo recente sentenza del Tribunale di Albenga che ancora una volta ha condannato il Comune di Borghetto Santo Spirito al risarcimento dei danni per un altro caso di occupazione senza titolo).
Oggi, come ieri, la mancanza di uno strumento urbanistico, che abbia lo scopo primario di guardare alla tutela del territorio in relazione ai bisogni delle future generazioni, pesa come un macigno sul futuro (posto che ne abbia uno) di Borghetto Santo Spirito.
Ma il meglio, a proposito del futuro, dovrà ancora avvenire: infatti il Comune di Borghetto Santo Spirito si è spesso intestardito nel voler affermare che le aree circostanti i fabbricati condominiali, nei fatti in molti casi usucapite dai condomini a danno dell’originario proprietario–costruttore, che spesso se ne riservava la proprietà, sono da considerarsi pubbliche.
Errore madornale perché dalla natura pubblica di tali aree ne deriva l’onere del Comune di dover far fronte ai lavori di manutenzione con i relativi immaginabili costi, mentre alcun vantaggio potrà mai rivendicare l’ente.
Invece, se il Comune riconoscesse la natura privata di tali aree, si libererebbe dagli obblighi di manutenzione e otterrebbe l’effetto di regolarne meglio l’uso, lasciando ai condomini la libertà di autodeterminarsi, ad esempio consentendo agli stessi l’installazione di sbarre per l’accesso a dette aree modificando finalmente l’art. 71 del Regolamento Edilizio sulla cui legittimità, al riguardo, ho qualche perplessità: la norma non consente, come dovrebbe, la chiusura di aree private ponendo limiti eccessivi.
Naturalmente questo problema, irrisolto da tutte le amministrazioni passate, resterà tale non essendo immaginabile che questa Amministrazione possa occuparsene.
Infatti, è bene chiarirlo, che da questo momento ogni intervento del sottoscritto su questo blog, non ha più lo scopo di sollecitare l’amministrazione a fare alcunché.
Ormai si è capito che essa è in grado a mala pena di occuparsi delle cose ordinarie.
Non è pensabile, infatti, che su, questioni come l’ex Oleificio o il PUC o il Castello Borelli o il Depuratore, per non parlare del porto, possa l’attuale amministrazione determinarsi quantomeno nel tentativo non dico di risolvere, ma almeno di affrontare questi problemi.
Non si scrive dunque se non ad un solo scopo: che si sappia (visto che sulla Rete ne resta traccia indelebile) ciò che si dovrebbe ragionevolmente fare e chi aveva le idee ben chiare al riguardo.
Fra molti anni chi leggerà (fosse anche una sola persona) potrà conoscere come sono andate le cose.
Un ultima annotazione: visto il danno al portafoglio dei borghettini per la sentenza di cui sopra, sono certo che l’area affari legali del Comune si attiverà per intentare l’azione prevista dalla c.d. Legge Pinto per ottenere dallo Stato il risarcimento dei danni derivanti dalla lunghezza dei processi (quello relativo all’Istituto Diocesano ha avuto inizio nel 1992 ed è verosimilmente durato oltre il termine ragionevole contemplato dalla Costituzione).
Verrebbe, almeno un po’, alleviato il danno.
Non sono certo che ciò avverrà (la richiesta di ristoro allo Stato), ne sono certissimo.
Buona Borghetto a tutti…. a quasi tutti.
Giovanni Sanna