Trucioli

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18 aprile di 20 anni fa. Sconfitta per democrazia e politica


Il prossimo 18 Aprile inizieranno in Parlamento le votazioni per il nuovo Presidente della Repubblica ma non è la prima volta che questa data si incrocia con i destini della vita politica del nostro Paese: accadde nel 1948 quando, con la vittoria della DC, si scelse la strada atlantica e capitalista per la ricostruzione dalle macerie della guerra; e accadde anche esattamente vent’anni fa, nel 1993, allorquando l’esito di un referendum popolare abrogò una parte della legge elettorale allora vigente per il Senato, aprendo la strada all’introduzione di un sistema misto maggioritario (75%) proporzionale (25%) poi varato dalla Commissione Bicamerale De Mita – Jotti.

In precedenza era stata modificata la legge elettorale per l’elezione dei Consigli Comunali con l’elezione diretta del Sindaco e un premio di maggioranza per la coalizione vincente: metodo poi trasferito anche alle Regioni.

Non riassumo qui i particolari di quella vicenda: ricordo soltanto che si opposero (raccogliendo alla fine il 18%) principalmente gli esponenti di quella che era stata l’area del “No” allo scioglimento del PCI, avessero questi o meno aderito al nascente Partito della Rifondazione Comunista, e di Democrazia Proletaria, anch’essi entrati poco tempo innanzi, nello stesso partito, oltre ad intellettuali e politici di area cattolica e socialista.

Non esito a considerare quel risultato una sconfitta per la democrazia e la politica.

Si fronteggiarono, infatti, in allora due diverse concezioni della politica, che mi permetto di riassumere in questa sede in estrema sintesi (tralasciando l’analisi delle cause contingente che, all’epoca, fecero implodere l’intero sistema politico italiano: la caduta del muro di Berlino, il trattato di Maastricht, “Tangentopoli”).

Ripercorriamo velocemente le caratteristiche dei due principali sistemi elettorali: il maggioritario, al quale ci si rivolse in Italia per costruire un artificioso bipolarismo e il proporzionale.

L’idea del maggioritario fu frutto, al momento della già ricordata implosione del sistema politico nei primi anni’90 del XX secolo, di una vera e propria “ubriacatura ideologica”, strettamente connessa all’ondata liberista avviatasi a livello globale fin dal decennio precedente: maggioritario che, nelle diverse forme adottate (compresa quella di un finto proporzionale “drogato” quale quello sulla base del quale si sono svolte le elezioni politiche nel 2006, 2008, 2013) non ha fornito risultati tangibili, né sul terreno della stabilità di governo, né tantomeno su quella della frammentazione partitica.

Inoltre il maggioritario ha aperto la strada allo svilimento del ruolo delle istituzioni, alla crescita abnorme del fenomeno della personalizzazione della politica (fenomeno che ha colpito duramente a sinistra, al punto da renderla in alcune sue espressioni di soggettività del tutto irriconoscibile), alla costruzione di quella pericolosissima impalcatura definita “Costituzione Materiale” attraverso l’esercizio della quale si tende verso una sorta di presidenzialismo surrettizio, all’allargamento del distacco tra istituzioni e cittadini.

In questo contesto è cresciuta l’idea di una democrazia posta al di fuori dal concetto di “rappresentatività” e di centralità del Parlamento, come previsto dal dettato costituzionale, così da pervenire a un’idea di “democrazia del pubblico” che pare sfociare, nella sua forma più estremizzata nell’usato meccanismo del rapporto diretto tra il Capo e le masse, sia in piazza, sia sul web.

Va fatto notare, tra l’altro che, nell’attuale situazione politica, neppure il ripristino del sistema elettorale usato tra il 1994 e il 2001 garantirebbe l’automatica formazione di una maggioranza (una situazione di stallo si verificherebbe anche nel caso in cui si decidesse di ridurre il numero dei deputati a 475, abolendo del tutto la parte proporzionale).

Il sistema proporzionale, quello “vero” è stato accusato, anche nel passato recente, di costituire il veicolo di quel consociativismo considerato l’origine di tutti i mali del sistema politico, inefficienza e corruzione “in primis”.

Rivolgo allora a tutti una domanda: il sistema misto usato, in due diverse formule tra il 1994 e il 2013 ha forse contribuito a ridurre inefficienza e corruzione? Non credo proprio, considerata l’attenta lettura delle cronache di questi anni.

Colgo quindi l’occasione per esprimere una valutazione di fondo favorevole al sistema proporzionale: faccio riferimento, tanto per intenderci, al sistema elettorale usato in Italia dal 1953 al 1992.

Il proporzionale rappresenta, infatti, un sistema fondato necessariamente sul ruolo dei partiti, quali componenti fondamentali di una democrazia stabile.

Inoltre lo scrutinio di lista con preferenze esige, necessariamente, un diverso equilibrio tra le candidature, limitando il fenomeno della personalizzazione arrivato al punto della teorizzazione della formula dell’“individualismo competitivo” applicato dal PD nell’occasione delle peraltro deprecabili, primarie.

Interessa, però soprattutto il legame tra sistema elettorale e struttura dei partiti.

E’ questo il punto fondamentale del discorso che intendo sostenere in questa sede: il sistema, per recuperare il dato fondamentale della capacità di rappresentanza, ha bisogno di adeguate soggettività politiche che, proprio dalla presenza di un’articolazione così evidente nelle richieste della società, produca reti fiduciarie più ampie e meno segmentate, più aperte verso le istituzioni, in grado di essere produttrici e riproduttrici di capitale sociale, di allentare la morsa del particolarismo dilatando anche le maglie delle appartenenze locali e rilanciando un’idea di “consolidamento democratico”.

Un inasprimento del meccanismo maggioritario provocherebbe un accrescimento dello sterile corporativismo che i partiti stanno esprimendo in questo momento e un ulteriore salto nel buio della crisi di sistema.

Serve, in ogni caso, anche sul terreno delle regole istituzionali una proposta di vera alternativa.

Franco Astengo


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