Il prossimo 14 novembre la Confederazione Europea dei Sindacati ha invitato milioni di lavoratrici e lavoratori del vecchio continente a scendere in piazza per dire “No all’austerità”, combattere per il lavoro e la solidarietà, con la richiesta di un “cambio di rotta” affermando la necessità di un “patto sociale europeo” tale da stimolare una diversa politica economica per una occupazione di qualità, la solidarietà tra i Paesi e la giustizia sociale.
Questa importante iniziativa si svolgerà in un momento drammatico della crisi mondiale: i rapporti di ottobre delle istituzioni internazionali confermano le difficoltà dell’economia a tutti i livelli.
Secondo i dati del Fondo Monetario nel 2011 la crescita globale è scesa al 3,8% e nel 2012 al 3,3%.
Nei paesi avanzati la serie del triennio e 3, 1,6 e 1,3%. Nei paesi “emergenti” 7, 4, 6,2, 5,3%.
La riduzione di passo, seppure ineguale, è generalizzata, con poche eccezioni.
Il FMI colloca la fonte principale del rallentamento nel bacino atlantico, con epicentro l’Europa.
Gli USA tengono nel triennio il ritmo del 2% mentre scivolano nella recessione la Gran Bretagna (-0,4%) e l’area dell’euro (pure -0,4%) soprattutto per la caduta di Italia (-2,3%), Spagna (-1,5%) e Olanda (-0,5%) che insieme rappresentano più di un terzo del PIL dell’eurozona.
L’Asia pur mantenendo ritmi di tutto rispetto e superiori a tutte le altre regioni, presenta una sensibile decelerazione. Nel suo insieme l’Asia, nel triennio, scende dal 9,1% al 6,1% e l’India dall’8,4% al 5,6%.
La decelerazione asiatica in parte riflette la minore domanda europea e americana.
Secondo i dati del WTO, nel triennio che stiamo considerando il volume del commercio mondiale ha rallentato ben più bruscamente del PIL mondiale, dal 13,9% al 5, al 2,3%.
La frenata delle esportazioni dei paesi emergenti è in parte correlata a quella delle importazioni delle economie sviluppate.
Ma ci sono anche fattori interni, dato che la compenetrazione delle economie è tale che la flessione di un Paese importante, ad esempio, la Cina si ripercuote su tutti i mercati, a partire da quello delle materie prime.
Quali le cause di questo stato di cose, perché non decolla un’ipotesi di ripresa?
Il FMI indica tre cause incentrate sull’Europa e gli USA.
La battaglia per portare sotto controllo il debito europeo si è tradotta, da circa tre anni, in politiche restrittive che hanno aggravato gli effetti recessivi del debito e della crisi settoriale di sovrapproduzione.
Il sistema finanziario, malgrado gli ingenti aiuti pubblici e liquidità delle Banche centrali, è ancora debole e congela in molte aree i mercati interbancari e il credito all’economia.
Infine, sostiene sempre il FMI, il fattore essenziale è rappresentato dall’incertezza politica, ossia dal timore che i decisori politici non riescano a imbrigliare l’instabilità fiscale, finanziaria e monetaria.
Questa incertezza inibisce quote importanti di investimenti, di commerci e di consumi.
Il FMI indica, allora, per l’Europa la necessità di far avanzare l’Unione Monetaria, avviando la supervisione unica delle banche e attivare l’azione del fondo salva stati e il piano della BCE, per il controllo degli spread che dovrebbe alleviare i programmi di aggiustamento delle periferie.
Il Fondo prospetta per l’Europa uno scenario di “politiche complete” che prevede, sulla base del documento dei presidenti delle comuni istituzioni europee (Commissione, Consiglio, Parlamento, Corte) un ancor più deciso avanzamento verso l’unione bancaria e l’unione fiscale, con stanziamenti di fondi e meccanismi concordati di garanzia dei depositi bancari e di risoluzione delle crisi bancarie.
La spinta per l’integrazione europea del FMI, più che un eurocentrismo esprime l’indirizzo diffuso, a Est e a Ovest, riguarda l’idea che la stabilizzazione istituzionale dell’Europa è componente necessaria della ripresa globale e richiede, naturalmente, un’ulteriore “cessione di sovranità” da parte degli Stati, con gli esiti che ben conosciamo, dalla Grecia alla Spagna, dal Portogallo all’Irlanda, fino al governo dei tecnici in Italia, che hanno spinto in maniera ben determinata su “soluzioni di classe” di stampo ideologico alle diverse emergenze prodotte dalla crisi.
Occorre, prima di tutto, opporsi con forza a questo disegno.
Proprio su questo punto le valutazioni del FMI si intrecciano con le possibili parole d’ordine della manifestazione sindacale del prossimo 14 Novembre che deve necessariamente porsi il tema del collegamento tra l’autonomia della propria piattaforma (racchiusa sotto il titolo: per il lavoro e la solidarietà; no alle diseguaglianze sociali) e la prospettiva politica dell’integrazione europea, che si colloca al centro di una fase di gravissimo deficit democratico.
Toccherà alle avanguardie più combattive e socialmente capaci di rappresentare le esigenze immediate delle fasce colpite direttamente dalla crisi, reclamare un salto di qualità: nel collegamento tra le lotte (pensiamo alla pesantezza dello sciopero di 48 ore svoltosi nei giorni scorsi in Grecia, conclusosi con una pesantissima repressione e l’ulteriore inasprimento di tagli alle condizioni materiali di vita dei cittadini greci) e la prospettiva politica.
Come è stato del resto nell’occasione del “No Monti day” svoltosi in Italia qualche settimana fa: una manifestazione “forte” sul piano della capacità di rivendicare la centralità della condizione materiale del lavoro, ma anche una occasione per porre il tema della rappresentatività politica di una sinistra alternativa che, in Italia, soffre di una particolare debolezza e fragilità anche rispetto allo stesso quadro europeo considerato nel suo complesso.
Una prospettiva che rimane tutta da scrivere, per una sinistra d’alternativa ancora troppo incerta nella sua capacità di espressione a livello continentale: battaglie sindacali e confronto politico, un terreno sul quale misurarsi per connettere bisogni, programmi, progetti alternativi all’altezza delle contraddizioni dell’oggi e del futuro.
Franco Astengo
http://sinistrainparlamento.blogspot.it