‘Scene di guerriglia sulla spiaggia di Alassio: tra sbarchi di finti soldati e polemiche’. Erano titoli di giornali e web a fine ottobre 2013. Motivo una manifestazione (a sfondo benefico pro Gaslini) denominata ‘Operazione Overland’ messa in scena da Ram A.l.s., associazione di soft air di Villanova d’Albenga. “Pesce avariato e pangasio del Vienam spacciato per sogliole…”. Denunciati ristoratori di Alassio e Loano. Altri titoli, nei giorni delle feste di Natale e Fine Anno. Che differenza passa tra i due, chiamiamoli, ‘avvenimenti di cronaca’? Quali riflessioni, considerazioni, interrogativi, lasciando da parte polemiche di cui non sentiamo il bisogno, può trarre il ‘cittadino comune’? Cosa bolle in pentola?
E’ difficile non immaginare che scene ‘di sbarchi’ e ‘guerra surreale’ possano aver disturbato qualche cittadino. Ci mancherebbe altro. Sicuramente è stata una minoranza anche se si è trattato di ‘spettacolo davvero insolito’, ma tutto sommato non ha fatto ‘male ad una mosca’, si suole dire. Più di un alassino ed un turista, munito di macchina fotografica e telefonino, non avrà voluto perdersi quelle scene ‘incruente’, da film, per mostrarle agli amici.
E’ difficile non immaginare, invece, quale sia l’impatto dei lettori e delle locandine esposte all’esterno delle edicole delle città rivierasche, in un periodo turistico di fine anno. I titoli di ‘ristoratori denunciati per la truffa del pesce’ fa assai più presa, ha grande impatto. Gli editori, i giornalisti fanno il loro lavoro. Notizie che fanno vendere più copie. Tra l’altro, non capita di frequente. Da una parte è un bene, dall’altra un male. Il motivo è presto spiegato.
Sarebbe un’ottima conferma sapere che le cucine di ristoranti e pizzerie della nostra provincia, ma il discorso può essere esteso, nella loro stragrande maggioranza rispettano le normative in tema di igiene e correttezza tra quanto offrono e si legge nel menù e quanto viene servito.
Un tasto delicato tra gli operatori che in periodi di diffusa crisi e recessione non contribuisce a rasserenare gli animi. Eppure a questo blog sono arrivate alcune circostanziate riflessioni su quella sarebbe la realtà alassina, tanto per rimanere in tema. E’ da questa cittadina – non sarà certo un’eccezione- che emergono gravi testimonianze di chi chiede però l’anonimato.
Sono di questo tenore: ” Si è polemizzato a sproposito, anche a livello di consiglieri comunali, sulla manifestazione ‘guerra finta’ di Alassio. Sarebbe utile, interessante, ascoltare chi per motivi di lavoro, ha conoscenza diretta delle cucine della località. Sono oltre un centinaio i locali dove si fa ristorazione che aumentano nella stagione estiva. Hanno fatto bene a scrivere gli articoli, ma col rischio di fare di ogni erba un fascio. Non hanno citato i nomi dei due (non uno come è stato scritto da giornali locali, tv e web) ristoratori della città pizzicati in fallo. Uno sul lungomare, l’altro in pieno centro, tra l’Aurelia e corso Dante. Purtroppo se controlli e prevenzione fossero capillari e frequenti si scoprirebbe uno spaccato diffuso proprio in materia di igiene e rispetto delle norme. Quanti hanno dimestichezza possono riferire che i locali dove il menù è cosa seria e corretta, dove l’igiene è di casa 360 giorni all’anno, sono sei, sette in tutta Alassio e alcuni sono locali rinomati, meritano la buona nomea che hanno. Mentre tutto ciò che luccica non sempre è uno specchio. Un grosso handicap che si è aggravato per una serie di concause. Solo controlli più serrati, meglio interforze, possono tutelare i clienti, creare solide basi di disincentivo a rischiare denunce, verbali, cattiva pubblicità, se la notizia trapela e non viene invece, come altre volte accade, tenuta riservata.”
Questa la sintesi, tradotta, di racconti. C’è un altro interrogativo. Lo stato dei servizi igienici. Le eccezioni del pessimo e scadente purtroppo sono una regola e non sola ad Alassio. Condizioni e strutture che lasciano spesso e volentieri a desiderare. In questo caso il cliente può decidere, scegliere: premiare, punire l’esercente. C’è però di peggio. E’ quanto avviene ai fornelli, nei frigoriferi, refrigeratori, dispense; oppure l’uso appropriato o meno di insaporitori. Non sono vista d’occhio e molte volte neppure del palato. Ce ne va di mezzo, in percentuali differenti, la salute dei consumatori, la digeribilità, il rapporto qualità prezzo, o addirittura in casi estremi l’inganno, la truffa. Ma anche la cattiva pubblicità che, in parte, si ricava scorrendo l’elenco dei locali dalle guide specializzate a livello nazionale o internazionale (Michelin).
La sorpresa, nel caso delle feste di fine Anno, era l’utilizzo di pesce di acqua dolce, spacciato per la più pregiata e costosa sogliola. Al centro di diverse provenienze: allevata in Italia o all’estero, oppure la ‘nostrana’ rara e cara. Come avviene per altri pesci più commercializzati: orate, branzini, salmone, polpi, aragoste e così via. Poi il tema del pescato ligure, più pregiato si dice e non certo abbondante soprattutto in certi periodi dell’anno.
Altre cattive abitudini ai danni del cliente. Offrire al tavolo ‘pesci vivi’, ma in cucina e sul piatto viene servito il congelato o surgelato, o quello che magari ha raggiunto il quarto giorno e non è il massimo a cui si possa aspirare.
In Italia non abbiamo solitamente una gran cultura per distinguere i prodotti che consumiamo.A partire dalle primizie taroccate. Ai prezzi della filiera che dovrebbero essere costantemente conosciuti dalle casalinghe e dal ‘grande pubblico’. Si scoprirebbero tante informazioni utilissime e si smaschererebbero molte speculazioni.
Alassio, regina del turismo savonese, non da oggi si interroga sui suoi bar, ristoranti, pizzeria, tavole calde, lasciamo da parte gli alberghi. Cera un ‘professionista’, Pasquale Balzola, che una decina di anni fa mise il dito, via mass media, sulla piaga dei locali dove non è più di moda indossare la divisa dietro il banco e chi serve ai tavoli. Citava lo spettacolo di chi da una parte preparava panini e toast a mani nude e dall’altra maneggiava denaro e faceva pulizie Una decadenza che nuoce al decoro e prestigio della categoria, della città, della locomotiva turistica. Non servì a nulla, anzi si fece dei nemici. E oggi i locali pubblici dove il personale in servizio ha la divisa si contano ormai sulle dita di un mano, in particolare bar e dehor. Sul lungomare di ponente il titolare, ex cameriere in divisa all’allora dancing le Palme di Laigueglia, lavora indossando scarponi d’inverno o da ginnastica in estate, cappello con visiera, maglioni o scamiciato. I più stupiti, è capitato di vedere, sono gli stranieri, increduli di trovarsi di fronte proprio al proprietario del locale; peraltro accorto, gentile, premuroso. Ovvio, non sia il solo, sul lungomare e tra bar anche blasonati’.
Insomma una riflessione-confronto tra le ‘scene di guerriglia’ in spiaggia e l’igiene-decoro degli esercizi pubblici nella Baia del Sole sarebbe producente. Possibilmente tirando anche le somme del danno. I consiglieri comunali ne prendano atto.