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Lo psicologo/ Lo stress di tante coppie. Amore tossico e violenza: comprendere per prevenire


Questo articolo si rivolge a tutti coloro che hanno a che fare con emozioni negative croniche all’interno di relazioni amorose, sia in prima persona che come partner, e ha un duplice scopo.

Diminuire lo stress relazionale di tante coppie e dare inoltre un contributo alla prevenzione di tutti gli atti lesivi e delittuosi perpetrati all’interno di relazioni intime.
Dietro alle violenze di coppia, così come agli amori tossici e alle possessività moleste, sta un retroterra variegato ma dai confini chiaramente delimitati: traumi, abusi, trascuratezza di accudimento nell’età evolutiva, essere stati testimoni di relazioni negative e violente in famiglia, essere stati educati da figure indifferenti, rigide e trascuranti.
Dal trauma alla violenza e ritorno- Se ci si interroga seriamente sul fenomeno della violenza nelle relazioni intime e si consultano i risultati delle tante ricerche in merito si scopre che dietro gli autori di molestie, di stalking, di maltrattamenti e delitti c’è sempre un passato traumatico multiforme, in larga parte collocato nell’infanzia, e in adolescenza, fatto di aggressività, conflitti anche fisici tra i genitori, abusi e maltrattamenti subiti in prima persona o ai quali si è assistito come testimoni; ci sono anche tipi di trauma, nell’ampia categoria dello Stress Relazionale Cronico, dove all’opposto il comportamento dei genitori e delle figure di accudimento in genere è stato freddo, distante, trascurante e indifferente. È stato notato da alcuni autori questo percorso circolare: si comincia come vittime e si finisce col vittimizzare altri. Su questi risultati pare nessun ricercatore abbia dubbi, lamentando semmai che sappiamo ancora troppo poco su queste traiettorie: conoscerle meglio sarebbe di vitale importanza nelle pratiche di prevenzione della violenza nelle relazioni intime. Già oggi, comunque, in molti Paesi sono sempre più accreditati gli interventi “trauma-informed” per la prevenzione ma anche nei confronti di vittime e di perpetratori.

Conoscere questa realtà ha cambiato il mio modo di guardare al fenomeno, e ha gettato nuova luce anche sulla mia esperienza clinica di psicologo. Nello svolgere il mio lavoro ho trovato molte conferme che se è vero che chi perpetra violenza ha quasi sempre un passato traumatico, non è vero l’opposto: chi ha un passato traumatico non è necessariamente un violento e può sviluppare anche altri tratti di personalità, non necessariamente negativi.

Tra questi tratti, uno ha attirato molto la mia attenzione per la grande frequenza con cui si presenta e che sarà il focus di tutto il seguito di questo articolo.

Stress di coppia come superarlo

L’angoscia abbandonica – Ci sono persone che, quando si trovano coinvolte in una relazione amorosa, provano una crescente ansia, una angosciosa tensione rispetto non solo al possibile abbandono, ma anche a qualsiasi distanza possa frapporsi tra sé e la persona amata. A volte può bastare un piccolo evento (ad es. un ritardo nel rispondere a un messaggio, una notifica sul telefono, uno sguardo distratto…) a causare un forte accesso di ansia e di altre emozioni negative inclusa, come vedremo, la rabbia.

È vero che tutti possiamo avere qualche momento di ansia e preoccupazione per i destini di una relazione, ma ci sono persone che vivono questa condizione in modo costante o per la maggior parte del tempo, e che provano molte emozioni negative anche di fronte a perturbazioni minime e a volte anche solo percepite. Anche se non è un termine standardizzato scientificamente, credo che il nome di Angoscia Abbandonica renda sufficientemente bene l’idea; per non appesantire troppo il testo userò anche l’abbreviazione AA.

Da cosa deriva- Non è possibile fare affermazioni definitive e universalmente valide sull’angoscia abbandonica, ma senza dubbio più di cinquant’anni di ricerche concordano almeno su un punto: coloro che vivono questa condizione hanno vissuto nei loro primi anni di vita qualche tipo di esperienza di relazione con i familiari che ha causato in loro stress cronico e in qualche caso traumi. Non si tratta necessariamente di esperienze oggettivamente traumatiche, ma del modo in cui quel bambino o bambina ha vissuto emotivamente quelle esperienze. Si sa anche che non è dannoso solo l’essere stati vittime dirette, ma anche essere stati testimoni di relazioni violente, conflittuali e disfunzionali. Anche l’essere stati cresciuti da figure di accudimento fredde, distanti, trascuranti e indifferenti, rigide e punitive rientra tra le esperienze di natura traumatica.

Le esperienze in sé possono anche non essere ricordate come episodi e fatti accaduti. Quello che resta è una forma di memoria emozionale implicita; essa fa sì che la persona, divenuta adulta, di fronte a eventi anche banali, percepiti come possibili perturbazioni della relazione amorosa,  entri in uno stato emozionale alterato analogo agli stati mentali sperimentati nel passato infantile.

Quali persone ne soffrono- L’AA di per sé può riguardare qualunque essere umano e non solo i maschi; le differenze si trovano soprattutto nel modo in cui la singola persona elabora in seguito questa condizione base ai contesti in cui evolve e vive: contesti culturali, di genere, esperienziali e non solo.

I traumi passati possono aver lasciato in eredità una personalità irruente e impulsiva (ma di solito ipersensibile e ipervigile), e questo rende più facile riconoscerne i rischi. In questo articolo mi concentro maggiormente sugli aspetti meno visibili e quindi potenzialmente più pericolosi, ossia quando l’AA interessa persone miti, remissive, fragili e molto bisognose di attenzioni. I traumi pregressi possono anche piegare la personalità verso debolezza e sottomissione, facendo sì che il/la partner abbassi la guardia, o addirittura diventi iperprotettiva e coinvolta (lo vediamo fra poco).

Irruente o miti che siano, persone con AA portano comunque molta ansia e conflittualità nelle relazioni sentimentali: soffrono e fanno soffrire il/la partner, e ciò rende più probabile che si stanchi e voglia interrompere la relazione. È questa eventualità che di solito scatena una grande angoscia, che a sua volta innesca la maggior parte dei comportamenti più molesti e potenzialmente offensivi e delittuosi come stalking, mania di controllo, gelosia patologica e aggressività, caratteristica, quest’ultima, quasi solo maschile, ma anche depressione, suicidio, talvolta preceduto dall’uccisione della partner e dei figli.

Il ciclo emotivo dell’angoscia abbandonica- Il ciclo emotivo dell’AA coinvolge tre nuclei di emozioni primarie: ansia/paura, tristezza/solitudine/disperazione e anche rabbia. I primi due nuclei sono naturalmente correlati all’abbandono, mentre la rabbia può a prima vista apparire meno ovvia. Essa ha come precursore la cosiddetta “protesta per la separazione”: basta osservare cosa accade quando un neonato (ma anche un cucciolo di altri mammiferi) viene strappato dalla mamma: si verifica una reazione rabbiosa, attiva, che sfocia poi in disperazione e pianto.

Nelle persone adulte, ma portatrici di traumi relazionali passati, l’angoscia per la possibile perdita della persona amata può avere esiti assai più complicati e imprevedibili. Quando si associa a un certo grado di perdita di lucidità o, peggio, di ruminazione e delirio, il rischio di agiti sconsiderati di ogni genere aumenta sensibilmente. Ciò può avvenire episodicamente o tramutarsi in una modalità di relazione ripetitiva, introducendo nel rapporto sentimentale violenza verbale, manipolazione, violenza fisica e altre forme miste di abuso.

Molte ricerche fanno osservare che la rabbia, ingrediente caratteristico di alcune forme di attaccamento, in quanto tale può riguardare uomini e donne di qualsiasi orientamento sessuale, anche se gli atti fisici più feroci sono quasi esclusivamente perpetrati da uomini.

Perché l’angoscia abbandonica può tramutarsi in gesti lesivi- Caratteristica dell’angoscia è la pressione fortissima (in chi la vive) a liberarsene. L’angoscia rende l’essere umano disposto a (quasi) tutto pur di farla cessare: atti autolesionistici, suicidio, abuso di alcolici e/o stupefacenti, rituali ossessivo-compulsivi, sport estremi, fino al delitto. Anche lo stalking, almeno in certe sue forme, può svolgere la stessa funzione di fronteggiare l’angoscia: ad esempio gli appostamenti sotto casa o la sede di lavoro e i tentativi reiterati di contatto sembrano sforzi irragionevoli di risolvere una acuta ansia di abbandono. Appare paradossale, ma pur di trovare sollievo e far cessare l’AA si può decidere perfino di abbandonare per primi il/la partner: non è masochismo, ma la prova che quasi tutto è preferibile al protrarsi dell’angoscia.

È proprio la pressione fortissima a far cessare o almeno diminuire l’angoscia che può spiegare come anche persone peraltro miti e pacate possano poi agire in modi sconsiderati, grazie anche a quell’ingrediente attivante che è la rabbia. I più impulsivi agiranno in modo improvviso come colti da raptus, altri al contrario potranno imbastire pensieri più o meno deliranti e pianificare per lungo tempo azioni offensive e delittuose, o anche solo persecutorie o rancorose. Non è detto che ciò che è stato pianificato venga poi necessariamente messo in atto: talvolta il semplice crogiolarsi in piani di azioni offensive ha un effetto calmante sull’angoscia, senza richiedere poi la loro attuazione. Ciò rende particolarmente subdolo e difficile valutare l’entità del rischio in persone che annunciano propositi delittuosi.

Prevenire i rischi – Credo sappiamo tutti che, prima di attraversare una strada trafficata a doppio senso, dobbiamo guardare da ambo le parti; in certi casi è anche opportuno guardare prima a sinistra, poiché è da quella direzione che provengono i veicoli che per primi potrebbero investirci. Il modo in cui media e opinionisti descrivono la violenza da parte di partner (ed ex) induce invece le potenziali vittime ad attraversare la strada guardando da una sola parte, quella, peraltro, dove il pericolo è fin troppo visibile e dunque più facilmente evitabile. Maschi prevaricatori, impulsivi e aggressivi, desiderosi di possesso e controllo, sono facili da riconoscere e, volendo, da evitare. Dall’altra parte, dove non si è portati a volgere lo sguardo, arrivano invece maschi prevalentemente introversi e sensibili, bisognosi di attenzioni, e soprattutto angosciati dalla lontananza della persona amata, lontananza spesso anche solo percepita. Abbiamo visto come gli studi in merito abbiano collegato questo genere di vissuti con i risultati di traumi e stress relazionali soprattutto nella prima infanzia. A differenza di media e opinionisti, la ricerca avverte da tempo che da questa direzione può provenire il pericolo più subdolo, come riassume concisamente Heidi L. Kar: «Una solida letteratura di ricerca collega inequivocabilmente l’esperienza del trauma interpersonale precoce con la futura perpetrazione di violenza.» (Kar 2019, a fine articolo l’elenco completo degli articoli consultati).

Effetti sul(la) partner- Chi si trova in una relazione intima con partner che sperimentano forte angoscia abbandonica tende a modificare i propri stati d’animo, l’idea che ha di sé e anche certi comportamenti: ci si può sentire stanchi e arrabbiati, controllati e perseguitati, con reazioni di ribellione o rifiuto, ma i cambiamenti più subdoli sono di segno opposto: ci si può sentire inadeguati (a rassicurare il/la partner), in colpa (la/lo si fa soffrire), iper-responsabilizzati verso la sua felicità e/o timorosi di suscitare in lui/lei reazioni emotive di sofferenza o rabbia. Si può dunque diventare battaglieri e rifiutanti ma anche, al contrario, prigionieri di un accudimento compulsivo intriso di sensi di colpa. In questo caso può diventare davvero difficile dar seguito alla decisione di interrompere la relazione con un(a) partner che soffre molto di AA.

Quando si è già pervenuti alla decisione di lasciare, ma ci si sente bloccati dal timore di ciò che l’altra persona potrebbe sentire e fare, occorre parlarne con la propria rete amicale e familiare per non essere isolati e raccogliere vicinanza intorno a sé; assai opportuno anche consultare un professionista psicologo e con il quale confrontarsi e valutare la situazione.

Livelli di consapevolezza- Non tutte le persone sono ugualmente consapevoli della natura della loro angoscia abbandonica, e non tutte sono in grado di prenderne le distanze bloccando le azioni negative che possono derivarne. In genere chi è consapevole e abbastanza distanziato si accorge di entrare in uno stato di coscienza alterato, evita di compiere azioni impulsive e non è raro che arrivi spontaneamente alla decisione di chiedere aiuto. In tutti gli altri casi, dove c’è scarsa consapevolezza, i rischi di stress cronico e anche di azioni lesive si alza.

Alcune persone, a seconda dell’intensità della loro angoscia nel momento, possono oscillare da un livello di consapevolezza all’altro, disorientando non poco il/la partner e talvolta anche i professionisti.

I livelli di istruzione e in generale di cultura possono fare solo in parte la differenza nella consapevolezza e nella capacità di prendere le distanze da vissuti angosciosi e impulsi lesivi: una persona colta e avvezza a riflettere su di sé e sulle proprie emozioni può teoricamente essere meno a rischio di azioni sconsiderate dovute all’angoscia abbandonica, ma in ultima analisi non è saggio ritenersi al sicuro poiché, come già detto, una fortissima pressione angosciosa può spingere virtualmente chiunque a compiere gesti anche gravi.

Che fare- Ogni volta che l’angoscia abbandonica si manifesta in una relazione è importante riconoscerla e chiedere aiuto psicologico specifico. Di grande importanza è anche non isolarsi, comunicando la situazione a persone fidate della propria rete di amici e familiari.

È la persona portatrice di angoscia, principalmente, che dovrebbe ricevere un supporto psicologico mirato alla sua condizione personale e al suo livello di consapevolezza, ma non è sempre facile riuscirci: più il livello di consapevolezza e di distanza è basso, più diventa difficile rendersi conto di aver bisogno di aiuto; hanno scarsi risultati anche i tentativi del(la) partner di convincere l’altra persona a chiedere un aiuto psicologico.

Liberare qualcuno dall’effetto di gravi traumi e stress relazionali passati non è un’operazione breve né semplice, ma il solo fatto di cominciare a lavorarci ha una ricaduta positiva e contribuisce ad abbassare il rischio di azioni lesive. In ogni caso negli ultimi due decenni c’è stato un grosso incremento di approcci terapeutici centrati sul trauma e sullo stress relazionale cronico che hanno dato risultati assai promettenti.

Se anche il/la partner subisce gli effetti della relazione con vissuti di colpa, di inadeguatezza e di timore, la coppia rischia di diventare una prigione per due, da cui è difficile uscire. In questi casi una adeguata terapia di coppia può essere molto utile non solo nella direzione di dare sollievo a entrambi i membri, ma anche, eventualmente, per sciogliere la coppia in modo meno traumatico, aiutando chi lascia ad agire senza essere soverchiato dai sensi di colpa, e chi viene lasciato ad elaborare la perdita, con l’auspicio di ricucire vecchie ferite.

Comunque anche nei casi più complessi la cosa fondamentale è che almeno una delle due persone chieda aiuto, indipendentemente che si tratti del portatore di angoscia o del(la) partner. Sarà poi la figura professionale consultata a orientare verso le successive azioni più praticabili e più efficaci. Spero infine, con questo articolo, di poter dare un contributo a una importante riflessione che può salvare vite e relazioni.

Franco Nanni

Guarda una sintesi di questo articolo in un video: https://youtu.be/i8KQggR244k


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