Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

Settimanale d’informazione senza pubblicità, indipendente e non a scopo di lucro Tel. 350.1018572 blog@trucioli.it

Valle Tanaro a confronto. Le nostre fasce: paesaggio aspro costruito nei secoli. Il più grande monumento mai alzato dagli ormeesi alla fede nel lavoro e nel futuro


Per gli organi di informazione quello del panorama naturale è un argomento di attualità, molto enfatizzato.

di Gianfranco Benzo

Ormea estate 2024: Antonio Ricci, Gianfranco Benzo e Gino Rapa

Ma se si presta un po’ d’attenzione ci si accorge che di “naturale“, inteso come non artefatto o alterato, come è in natura, senza interventi, modificazioni o sofisticazioni non esiste praticamente più nulla. L’uomo è arrivato dappertutto ed ha modificato tutto. Per gli studiosi del paesaggio, l’unico veramente “naturale” rimasto al mondo è l’Antartide, ma è ancora coperto da alcune migliaia di metri di ghiaccio! Allora è più corretto parlare di paesaggi rurali, o agrari.

Per noi sono importanti quelli terrazzati. Le “fasce”. Se confrontiamo la Valle Tanaro con le altre valli delle Alpi Occidentali, la notiamo abbondantemente terrazzata, specie nel territorio di Ormea, sistemazione del territorio completamente assente nelle altre valli. Nel solo Comune di Ormea sono individuabili 26 aree terrazzate, per una estensione di ben 2.236 ettari. Quali le ragioni? Sicuramente ha giocato l’influenza del clima più mite della Val Tanaro, che rende possibile l’agricoltura, mentre le altre valli hanno come unica possibilità l’allevamento del bestiame. Importante anche l’influenza culturale della vicina Liguria, in particolare della Valle Arroscia in cui l’olivicoltura si spinge a quote superiori agli 800 m. sul mare. E non vi è storico che non abbia attribuito il terrazzamento dei versanti collinari congiunto alla diffusione dell’olivo, divulgato dagli insediamenti monastici che già nell’alto medioevo si distribuirono, a più riprese nel retroterra della Liguria. A Ormea si hanno notizie di un convento di padri Agostiniani attorno al 1200. L’ulivo non era forse la pianta più adatta ai terrazzamenti di Ormea, ma la vite si adattava.

Quando è iniziata la costruzione delle “fasce”?

Fino al tardo medioevo i soli terreni coltivabili erano le esigue piane alluvionali di fondovalle, dette “Isole”: Isola Colombina, Isola del Gorreto, Isola Mezzana, Isorello, Isola lunga, Isola Perosa…. Tutto il resto era ricoperto di boschi e di foreste che spettavano al Signore del luogo. Per i diritti di cui godeva, detti di foretica, non acconsentiva il dissodamento dei terreni. Solo i pascoli offrivano i mezzi di sussistenza. Con l’affievolirsi dei diritti dei feudatari, tra il 1330 ed il 1500 ha avuto inizio l’attività agricola vera e propria, verosimilmente coincisa con le prime costruzioni di fasce. A quell’epoca risalgono i primi documenti nei quali è stata citata la presenza di vigneti e campi coltivati a cereali. Sicuramente del 1500 sono i muri a secco più prossimi al paese, quelli sotto il castello all’interno della vecchia cinta muraria.

È del 1613 un atto in cui un tale chiedeva al confinante “una pezza di vigna per continuare la muraglia già costruita fino al ponte del fossato”. Sempre di quell’epoca – nella consegna dei beni feudali di Ormea al conte Emanuele Filiberto d’Este-Dronero – è confermata la presenza di “vigneti nella Pairetta e all’ Isola Lunga”. La carta topografica tratta dal “Theatrum Sabaudiae“, del 1682 che rappresenta la cinta muraria e l’abitato, mostra ben evidenti i muri sotto il castello, che ancora oggi sostengono fasce di terra a vigneto ormai abbandonato o a orti famigliari. Più tardi, in una relazione del 1742 sui beni e sui raccolti della “provincia di Mondovì” si legge che a Ormea la principale fonte di reddito era la coltura del castagno, che i terreni erano di difficile coltivazione, che i vigneti della Pairea davano problemi di manutenzione per “le muraglie a pietre tutte che facilmente rovinano” e davano vini “crudi et acerbi…che nemmeno li osti se ne valgono”. Da uno studio della Dott.ssa Nicoletta Alliani risulta che i terrazzamenti delle zone San Mauro, Teco, Cassanea, Villaro, Pre e Paireta sarebbero degli anni a cavallo del 1600. Quelli dell’Albareto, Chionea, Chioraira, Quarzina, Ponte di Nava, Nasagò, Case Bassi ed Eca sarebbero poco più recenti, del 1650.

Intorno a Viozene sarebbero stati realizzati tra la fine del 1600 e l’inizio del 1700 mentre gli ultimi, quelli di Campo Comune, hanno preso forma nei decenni intorno al 1750. Non ce ne rendiamo conto, ma l’impatto economico della costruzione dei terrazzamenti è stato enorme: basta pensare ai miliardi di ore di lavoro “capitalizzate”, ossia che sono divenute capitale fondiario, aumentando il valore della terra. D’altra parte, era una questione di sopravvivenza.

Qualche considerazione?

Terminata – e per fortuna – l’epoca dell’agricoltura di sussistenza, le terrazze, perduto ogni senso economico, ogni valore venale, sono state abbandonate. E per quanto l’ingegneria dei muri a secco sia prodigiosamente efficace, esse, in mancanza di qualsiasi intervento di manutenzione, oggi rovinano. Ma non possiamo correre il rischio di perderle. Non solo perché in esse riconosciamo tanta parte della nostra memoria: né solo perché esse costituiscono un paesaggio che per tanti motivi ci è caro e prezioso; ma perché esse svolgono una funzione oggi più che mai essenziale nella regimazione dei suoli e delle acque e senza di esse una parte dei nostri versanti finiranno “a Tanaro” travolti dalle pietre e dal fango, magari interrompendo anche le strade, compresa la statale. La zona di San Rocco è la più a rischio, ma non la sola. Non si dimentichino le responsabilità dei proprietari per eventuali danni.

Le fasce, le terrazze ci sono necessarie. Ci si rende conto, naturalmente, che nessun appello potrà salvarle se su di esse non torna ad agire l’uomo; ci si rende conto che questo potrà avvenire solo restituendo ad esse una funzione economica che evidentemente dovrà essere profondamente diversa da quella di un tempo, adeguata alle esigenze del mercato moderno, ai nuovi gusti ed alle nuove esigenze del consumatore. Occorre ormai pensare alla promozione di attività economiche in grado di scongiurare, con l’abbandono dei versanti sistemati a terrazze, il degrado paesistico ed i disastri ambientali (frane, incendi, erosione del suolo, desertificazione) che con frequenza e gravità crescenti tendono a susseguirsi accumulando drammaticamente i loro effetti.

Gianfranco Benzo 

Sotto il Castello: le fasce più antiche viste dall’ Armetta.

Rio d’ Arozzo: sempre più in verticale – (Foto M. Fossati)

Verso l’Erzo – (Foto M. Fossati)

San Rocco: crollano i muri, iniziano gli smottamenti 

 


Avatar

Gianfranco Benzo

Torna in alto