Finalmente anche Coldiretti si è espressa contro il raddoppio a monte della ferrovia tra Finale Ligure ed Andora, che devasterà la piana di Albenga, senza apportare alcun beneficio in termini di mobilità, ma anzi riducendo l’accessibilità al treno – spariranno, infatti, le stazioni di Loano, Ceriale e Laigueglia – ed allontanando di molto quelle superstiti ai centri abitati, come è previsto ad Albenga, una città di 25 mila abitanti.
di Massimo Ferrari*
Giustamente Coldiretti non entra nel merito di queste elementari considerazioni, che non competono all’associazione, ma avanza serie preoccupazioni in ordine ai molti ettari di colture pregiate che verranno sacrificati. E non contesta la necessità del raddoppio, ma ne auspica la realizzazione lungo l’attuale tracciato costiero.
La storia delle ferrovie in Liguria è costellata da errori e contraddizioni con conseguenze molto pesanti. I binari, a fine Ottocento, vennero posati in prossimità dei centri rivieraschi, talvolta correndo a ridosso delle abitazioni, che, tuttavia, nei decenni successivi, lungi dall’essere abbattute, proliferarono in fregio alle rotaie.
Il vantaggio di abitare a poca distanza dalle stazioni era ritenuto evidentemente superiore rispetto ai disagi che il passaggio dei convogli – a quel tempo trainati da vaporiere decisamente inquinanti – generavano. Più tardi le linee vennero elettrificate ed il problema dei fumi si ridusse drasticamente. Restava, però, il rumore, generato soprattutto dallo sferragliamento in curva, ed una certa pericolosità nell’attraversamento dei passaggi a livello.
Comunque, nel dopoguerra – quando il treno era ancora concepito come indispensabile – il raddoppio dei binari verso La Spezia, ma anche a Ponente, tra Genova e Savona, venne sostanzialmente realizzato in sede, con piccole modifiche di tracciato. Furono sacrificate solo pochissime stazioni secondarie, come la Sant’Ilario cantata da Fabrizio De André, mantenendo, perciò, la capillarità nel servizio, seppur a discapito delle velocità commerciali. Non a caso l’alta velocità arriverà a Genova (quando arriverà) da nord, attraverso il Terzo Valico e non da La Spezia.
La conformazione geografica della costa ligure, la presenza di numerosi centri abitati, gli spazi assai angusti e la massiccia affluenza di villeggianti provenienti da Milano e da Torino hanno contribuito a mantenere al treno una quota di mercato non indifferente, evitando il tracollo a favore della gomma che si verificò durante il boom economico in altre zone della Penisola.
Il completamento delle autostrade non fu sufficiente a convincere tutti i pendolari ed i turisti a spostarsi in auto, visto che l’Aurelia e la viabilità locale divennero presto fortemente congestionate e raggiungere quindi la destinazione agognata somigliava sovente ad un percorso ad ostacoli, sempre meno veloce.
Da qui la determinazione di continuare ad investire nell’ammodernamento della ferrovia anche a Ponente fin dagli anni Settanta del secolo scorso. Ma allora le cose cominciarono a complicarsi sotto la spinta di interessi in conflitto.
A Savona la stazione di Mongrifone venne realizzata in tempi lunghissimi, a poco distanza dalla preesistente Letimbro, sprecando l’occasione per un riassetto urbanistico del quartiere. Tuttora resta irrisolto il problema del collegamento tra i treni ed il Palacrociere, dove si imbarcano migliaia di vacanzieri.
A Genova, seppur con colpevole ritardo, si pensa oggi di facilitare il passaggio da Principe alla Stazione Marittima con un sistema di tapis roulant a Santa Limbania.
A Savona – dove la distanza attraverso il centro storico è maggiore, ma non proibitiva – siamo sempre in alto mare.
Verso occidente, alla volta di Finale Ligure, si è completato il raddoppio, saltando Vado, Bergeggi, Noli e Varigotti, senza cogliere l’occasione per realizzare un tram moderno lungo il sedime abbandonato.
Tra San Lorenzo e Bordighera si è tagliata fuori persino una località rinomata come Ospedaletti.
A Sanremo la stazione è finita in galleria (con notevoli costi energetici per illuminare e rendere percorribile il tunnel di accesso tramite lunghi tapis roulant). Conservare il binario in mezzo all’abitato, dove ora sorge una trafficata ciclopista, era davvero improponibile e, tutto sommato, la stazione resta centrale. Nondimeno si stima che a Sanremo si sia perduto il 37 per cento dei viaggiatori che prima arrivavano in treno. Altrove è andata anche peggio: ad Imperia e a Diano Marina la stazione è troppo decentrata.
Ad Albenga, adesso si rischia il disastro totale.
Un progetto, tanto complicato, quanto realizzato in tempi biblici, mette in risalto i contrasti che dividono profondamente la popolazione. Per coloro che intendono continuare a servirsi del treno, a maggior ragione in una prospettiva di transizione ecologica raccomandata anche dall’Europa, la facile accessibilità e la relativa capillarità del servizio restano essenziali.
Non così per alcuni sindaci ancora legati ad una visione dello sviluppo basata solo sull’automobile e soprattutto per coloro che puntano sulla crescita dei valori fondiari, una volta eliminato il vincolo dei binari. Si potrebbe cercare una sintesi tra le due esigenze contrapposte, per esempio, prevedendo di interrare il tracciato nei punti più critici, ma senza allontanarlo troppo dalle residenze, com’è stato fatto con successo a Montecarlo e in molte località spagnole (Gerona, Elche ed altre). Soluzione ovviamente non priva di costi, che però potrebbe ripagarsi nel lungo periodo.
Ma, sempre in prospettiva, nemmeno è chiaro il ruolo che si vuole davvero assegnare alla ferrovia per Ventimiglia. Il raddoppio del binario a monte consentirebbe velocità fino a 190 km orari, aumentando la capacità. Potrebbero finalmente circolare molti treni merce, come auspica Bruxelles. Ma per conseguire questo risultato ambientalmente virtuoso, intercettando, quindi, almeno una parte dei carichi diretti verso la Francia e la Spagna, occorrerebbe scegliere l’ “autostrada viaggiante” , ossia il trasferimento dei Tir su navette ferroviarie, come avviene in Svizzera, anche attraverso limitazioni e maggiori tassazioni del traffico pesante. Scelte che, invece, le politiche neo liberiste prevalenti nell’Unione Europea ben si guardano dall’adottare.
Per non parlare del traffico viaggiatori internazionale, un tempo fiorente ed oggi praticamente cessato – bisogna sempre cambiare treno a Ventimiglia (e, poi, anche a Nizza) – non perché siano drasticamente calati i passeggeri in una delle aree al Mondo più “gettonate” dai turisti, ma perché a Roma ed a Parigi si pensa soltanto al traffico interno e ci si fa concorrenza – che talora si traduce in dispetti puerili – non per conquistare nuove fette di clientela all’auto o all’aereo, ma per ostacolare la compagnia ferroviaria ” rivale” d’oltre confine.
E, allora, se non si crede nel traffico a lunga distanza e non si possono utilizzare strumenti “coercitivi” per trasferire le merci dalla gomma alla rotaia, non restano che i pendolari ed i turisti locali. Ma, se si diradano le stazioni e le si allontana nell’interno, neppure questo ambito, alla lunga, è sostenibile. Si rischia, allora, di impegnare ingenti finanziamenti senza poi raggiungere nessuno degli scopi che una moderna ferrovia potrebbe conseguire. Nemmeno quello di decongestionare la viabilità stradale e autostradale.
Del resto, neppure si riesce a sfruttare il lascito delle infrastrutture “storiche” che abbiamo ereditato dalle generazioni passate. Sul nodo di Savona, com’è noto, confluiscono dell’entroterra due ferrovie, rispettivamente da Torino e da Alessandria.
La prima dovrebbe essere considerata importante, visto che convoglia in Riviera i viaggiatori provenienti dalla quarta città d’italia. In realtà è stata progressivamente lasciata decadere. È a doppio binario fino a Ceva, ma , da lì a San Giuseppe di Cairo, c’è un collo di bottiglia a binario unico che ne limita notevolmente le prestazioni. Siccome, però, si sta realizzando il Terzo Valico, si pensa che questa “grande opera” possa risolvere ogni problema. Il che sarà pure vero per chi da Torino è diretto a Genova, ma, se si va ad Alassio o a Bordighera, passare per Genova non sembra una brillante idea.
La linea di Alessandria, poi, da molto tempo è relegata al mero traffico locale. Eppure costituisce tuttora il valico meno acclive di tutto l’arco appenninico, per cui, con modesti interventi, potrebbe ospitare parte del traffico merci che scende dai trafori alpini e prosegue verso la Francia meridionale. Anche qui, però, il silenzio è assordante.
*Massimo Ferrari
Presidente Utp/Assoutenti