Adesso si scopre che lo sapevano tutti. Che i cunicoli e il bunker antiatomico trovati a metà agosto da Savona Sotterranea Segreta di Claudio Arena. Sotto il monte Settepani non erano un segreto per nessuno, che qualche anziano della zona aveva a suo tempo contribuito a costruirli, che i militari italiani di stanza presso la base ne erano perfettamente al corrente. I passaggi segreti, lo diciamo subito, sono sotto la base dell’Aeronautica Militare che fungeva da ponte radio in collegamento con il Centro Operativo di Milano e (almeno alla luce degli scavi finora effettuati) non hanno nulla a che fare con la stazione del 509° Signal Battalion USA sul vicino colle del Melogno, in funzione dal ’62 al ’92 e oggi completamente abbandonata.
Le gallerie rinvenute dagli speleologi facevano parte di un punto di difesa antiatomico e la stanza principale (200 metri quadrati d’estensione per undici d’altezza) doveva rappresentare il centro operativo del sistema sotterraneo: un progetto militare italiano, quindi, probabilmente legato ad un utilizzo diverso rispetto a quello che poi divenne un semplice teleposto (ancora oggi in funzione) dell’Aeronautica Militare.
Tutto vero, ma se la scoperta di Claudio Arena e Gianmario Grasso ha contribuito a risolvere un mistero il lavoro dei due speleologi può aver contribuito, contemporaneamente, a crearne qualcun altro, ed uno di questi riguarda le bombe di Savona.
Sì, perchè una delle tante piste ipotizzate per spiegare il mistero delle dodici esplosioni che tra il 30 aprile del ’74 e il 26 giugno ’75 colpirono Savona e il circondario porta dritto al colle del Melogno e alla base USA che ufficialmente doveva servire a pilotare la traiettoria dei missili NATO fino al bersaglio e a creare barriere elettroniche per “confondere” i vettori avversari.
La storia nasce nel gennaio del ’75 quando Defense Nationale (un periodico che costituisce l’organo semiufficiale del Ministero della Difesa francese) in un articolo sulle installazioni del Patto Atlantico scrive che l’Italia ospita un importante dispositivo alleato, consistente innanzitutto “de la base du missiles américaine du Pian dei Corsi”. Sembra un inciso senza importanza, ma dodici mesi dopo la frase è ripresa da una rivista italiana specializzata in affari militari, Maquis, che subito dopo si pone una domanda: se la presenza di vettori militari sopra Finale Ligure è data per certa da una rivista così autorevole, è possibile che le voci circolanti tra gli abitanti del luogo (elicotteri che di notte facevano la spola tra le navi alla fonda nella rada, camion “inghiottiti” misteriosamente dalla terra nei pressi della base) non siano solo leggende? In altre parole, che sotto la base vi siano davvero dei missili, controllati esclusivamente dagli USA? I redattori di Maquis considerano l’ipotesi verosimile.
Ma, sempre secondo Maquis, se la base missilistica esiste intorno ad essa deve esssere in attività una struttura locale dei servizi d’informazione militari americani, insediata e mascherata con la massima cura, con il compito di fornire tutte le informazioni utili alla difesa del centro da qualsiasi genere di pericolo, infiltrazione, sabotaggio. Quindi, è plausibile pensare che tale struttura sapesse qualcosa delle bombe scoppiate a 20 chilometri dalla base, e questo spiegherebbe anche perché, nonostante lavigilanza dei savonesi, nessuno abbia mai trovato il minimo indizio per spiegare l’origine e magari gli autori degli attentati: “Non soltanto – riporta sempre Maquis – nella serie di attentati non è mai stato operato alcun arresto nè è mai stato identificato alcun sospetto, ma non si è neppure mai ottenuto un indizio sui movimenti degli attentatori”.
Ma, secondo il periodico militare, c’è di più: nel periodo più caldo della strategia della tensione, tra marzo e dicembre ’74, la NATO avrebbe infatti deciso di attuare in Italia il “Piano di sopravvivenza“: in pratica, il programma di un golpe per fronteggiare con ogni mezzo l’avanzata del PCI. A questo punto, sarebbero entrate in gioco le bombe di Savona: un test, effettuato in una città dalla solida tradizione partigiana e distante 20 chilometri in linea d’aria dalla base, per vedere come la popolazione avrebbe reagito di fronte ad un attacco indiscriminato: “Se la base c’è, inevitabilmente l’ipotesi di vedere un numero indefinito di missili atomici finire nelle mani dei partigiani deve essere comparsa sui tavoli degli Stati maggiori americani come una eventualità terrificante” riporta Maquis, e allora: “Se c’erano degli osservatori a Savona nel novembre 1974, essi hanno riempito di annotazioni molti taccuini”.
Non sappiamo se e quanto l’ipotesi sia verosimile, ma il punto di partenza sarebbe in ogni caso costituito dalla presenza di missili americani, atomici o meno, sulle alture del Melogno. A questo proposito, alcune coincidenze fanno pensare. Qualcuno dei frequentatori di Facebook (dove la notizia del ritrovamento dei cunicoli è comparsa) ha ricordato che nel ’92, mentre la base era in via di smantellamento, Finale Ligure fu scossa da alcuni terremoti molto localizzati e con epicentro proprio sul Melogno e si è chiesto, sia pure per negare l’ipotesi, se tra i due fatti vi era qualche connessione.
Ancora: è certamente inusuale che sia stata costruito e mantenuto un bunker antiatomico in zone a bassissima densità abitativa (il Melogno e il monte Settepani) e sotto una base (quella dell’Aeronautica Militare italiana) che doveva servire come semplice ponte radio. E, sebbene gli speleologi savonesi escludano che le gallerie trovate sotto il monte Settepani siano in collegamento con la base del Melogno nessuno, a nostra conoscenza, ha ancora esplorato seriamente e accuratamente i sotterranei del centro NATO, nonostante esso faccia ormai parte del demanio civile.
A precisa domanda, effettuata attraverso il Freedom of Information Act, la U.S. Army ha negato di avere nei propri archivi alcun documento che possa far ipotizzare un collegamento, diretto o indiretto, tra le basi di monte Settepani (dove l’aviazione USA collaborava con quella italiana) o del Melogno e le bombe di Savona ma la CIA, posta di fronte alla stessa richiesta, si è rifiutata di fornire qualsiasi indicazione perchè le relative informazioni sono classificate “di sicurezza nazionale“: il fatto stesso di ammettere l’esistenza di documenti riguardanti le bombe di Savona, insomma, svelerebbe notizie estremamente riservate e che potrebbero coinvolgere l’amministrazione americana. In pratica, l’agenzia statunitense rifiuta di rivelare se nel ’74 a Savona vi erano uomini della CIA che osservavano la situazione, il che è quantomeno singolare.
Insomma: il mistero rimane. Ma, almeno su un punto, anche il ben informato Maquis sbagliava: non è vero che sulle bombe di Savona nessuno abbia mai trovato niente. E, allora, la mancanza di un epilogo conosciuto deve trovare altre spiegazioni: quelle che fanno delle bombe savonesi un segreto “spaventosamente grande” e, proprio per questo, finora mai esplorato da nessuno. Un segreto dove s’incrociano i servizi segreti, i colpi di Stato annunciati o minacciati, gli arresti eccellenti, la CIA, le Gladio… Altro che storia di paese.
Massimo Macciò