Questa è una storia si ordinaria burocrazia, con qualche sorpresa e una piccola morale finale.
Correva l’anno 2014: in Ucraina Viktor Janukovyč si era appena dimesso dopo la rivoluzione di Maidan, la Russia invadeva la Crimea, Khalifa Haftar compiva un colpo di Stato in Libia; il re di Spagna Juan Carlos abdicava a favore del figlio Felipe IV; in Italia Enrico Letta si dimetteva da capo del governo e veniva sostituito da Matteo Renzi, mentre Silvio Berlusconi da qualche tempo non circolava già più a palazzo Chigi e dal 2013 non poteva più farsi vivo neanche a palazzo Madama, essendo stato dichiarato decaduto da senatore.
A settembre del 2014 U.F. – che nel 1991, a seguito di un incidente stradale, era stato dichiarato dall’A.S.L. invalido civile al 67% per disabilità intellettive, fisiche e neurologiche – presentava all’Azienda Sanitaria Locale di Savona una domanda per l’aggravamento dell’invalidità. Attenzione, in questa storia non girano soldi; U.F. (che era ed è un dipendente pubblico) non chiedeva infatti la percezione di alcun assegno d’invalidità. Una conseguenza della maggiorazione avrebbe potuto essere, al più, “per ogni anno di servizio presso pubbliche amministrazioni o aziende private ovvero cooperative” effettivamente svolto, del “beneficio di due mesi di contribuzione figurativa utile ai soli fini del diritto alla pensione e dell’anzianita’ contributiva… riconosciuto fino al limite massimo di cinque anni di contribuzione figurativa” (cosi’ l’articolo 80 della legge 388/2000): si trattava, in pratica di andare in pensione un anno prima.
Ma le ragioni a U.F. sembravano convincenti “a prescindere”: oltre ai deficit già ricordati e alle non secondarie conseguenze sulla qualità della vita, nel 2012 gli era stata tolta in fretta e furia la tiroide a causa di un tumore maligno della stessa, per cui l’uomo campava grazie all’Eutirox; inoltre soffriva da tempo di cefalea a grappolo (chiamato “il male del suicida”, e una ragione ci sarà) e di altre patologie, e quindi doveva sorbirsi altri farmaci salvavita e altri stenti.
Anche la Commissione Invalidi dell’Asl era stata della stessa opinione e aveva riconosciuto l’aggravamento, ma aveva chiesto a U.F. di presentarsi un anno dopo all’INPS per una visita di controllo, che si era tradotta nell’esame dei documenti e certificati medici presentati dal nostro ed esaminati dalla Commissione dell’Istituto di Piazza Marconi.
La prima sorpresa è del gennaio del 2016: U.F. si vedeva infatti respingere dall’INPS la richiesta di aggravamento. L’uomo, con il patrocinio dell’avvocata Alessandra Magliotto, si rivolgeva allora al tribunale di Savona chiedendo un accertamento tecnico preventivo: in pratica, una consulenza tecnica d’ufficio fatta da un medico designato dal tribunale. Detto fatto: a seguito dell’accertamento il tribunale riportava il grado d’invalidità di U.F. al 75%.
Ma, e siamo al 2017, ecco la seconda sorpresa: l’ente previdenziale ricorreva al giudice del lavoro contro la decisione del tribunale. Secondo l’INPS, infatti, U.F. “aveva proposto ricorso per accertamento tecnico preventivo volto esclusivamente al riconoscimento della sussistenza delle condizioni psicofisiche riguardanti il riconoscimento di una percentuale d’invalidità pari e/o superiore al 74% senza compiere alcuna domanda avente carattere previdenziale/assistenziale”. Per l’ente previdenziale, pare di capire, U.F. non avrebbe avuto un concreto interesse ad agire perché non avrebbe chiesto l’aggravamento allo scopo di avere un assegno d’invalidità o di altre prestazioni dall’INPS stessa.
Il ricorso veniva deciso alla fine del 2017, dopo altre visite sanitarie: il giudice del lavoro Domenico Pedron confermava l’interesse ad agire di U.F. e il fatto che lo stesso “all’esito di una meditata valutazione di elementi anamnestici e clinici” da parte del consulente tecnico d’ufficio era risultato effettivamente invalido al 75%. Il giudice concludeva quindi a favore della tesi di U.F. condannando l’ente di Piazza Marconi a pagare le spese di giudizio e di CTU.
Ma le sorprese non finiscono qui: a maggio del 2018 l’INPS ricorreva infatti in Cassazione contro la sentenza insistendo sul fatto che U.F non avrebbe avuto “un reale interesse ad agire” in quanto si sarebbe limitato “ad esperire un’azione di mero accertamento della condizione d’invalido civile”, ossia un’azione “volta… a precostituirsi l’accertamento di un presupposto (grado d’invalidità) di un beneficio (maggiorazione di anzianità) incidente su un diritto (la pensione) non ancora venuto ad esistenza”. Ossia, se capiamo bene: quello richiesto da U.F. (la maggiorazione dell’invalidità) non sarebbe un diritto autonomo ma un presupposto per avvicinare il tempo della pensione.
Le storie meccaniche come questa, dopo un po’ annoiano. Basterà dire che ci sono voluti quasi cinque anni (e l’eccellente lavoro delle avvocate Alessandra Magliotto e Federica Ferro a Savona e a Roma) per arrivare in fondo alla questione. Nel frattempo, U.F. ha continuato alla meno peggio la sua vita e il suo lavoro di dipendente pubblico, senza grandi scossoni ma pur sempre “in attesa di giudizio”.
L’ultima sorpresa, che sorpresa non è, è arrivata il 7 dicembre del 2022 ma è stata depositata il 10 marzo di quest’anno: per la Cassazione il ricorso dell’INPS è infondato. Secondo la IV sezione civile (presidente Umberto Berrino, relatore Angelo Cerulo) il diritto alla maggiorazione contributiva “spetta… a prescindere dall’accertamento del diritto a pensione” e il conseguente interesse ad agire per il riconoscimento della maggiorazione contributiva sussiste “quale diritto distinto e autonomo rispetto al diritto a pensione”. U.F. si vede quindi riconosciuto il diritto alla maggiorazione dell’invalidità, e tutto ciò a partire dal settembre del 2014, data della prima visita medica eseguita dalla commissione dell’Asl. Le spese di giudizio questa volta sono compensate ma l’INPS viene chiamata a versare “l’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso”
Siamo nel 2023. Berlusconi è in ospedale e non se la passa tanto bene, al governo c’è Giorgia Meloni, Letta ha avuto il tempo di tornare in Italia per poi sparire definitivamente (?) dai radar, Renzi fa il giornalista, Russia e Ucraina sono in guerra da oltre un anno. Ci sono voluti nove anni, due commissioni mediche, un consulente tecnico d’ufficio, giudici del lavoro e magistrati di Cassazione, tre gradi di giudizio, avvocati dell’una e dell’altra parte e spese varie a volontà per arrivare a una sentenza che, nella sostanza, conferma il primo accertamento d’ufficio del 2014. Il tutto, sia chiaro a scanso d’equivoci, nella più perfetta legalità. Questi sono i fatti: la morale traetela voi.