Poco importa se nelle cronache nessuno ha ricordato l’affetto, l’attaccamento, il legame che univa padre Salvatore Di Pasqua e Mendatica. Poco importa se alle esequie nel convento-chiesa di Porto Maurizio i veri mendaighini presenti erano 4, saliti a 7 alla benedizione del feretro nel camposanto della frazione Trovasta (Pieve di Teco) dove riposa lo zio, don Giovanni Brunengo: è stato l’anziano parroco di Mendatica, tra i più sublimi esempi di pastore di anime della recente storia dell’alta Valle Arroscia. La coerenza del padre Cappuccino si sarà certamente trasformata in perdono, comprensione per le tante assenze nel giorno dei funerali. Il 16 agosto si celebra San Rocco; era già stato organizzato il tradizionale banchetto all’aperto della contrada. Ma un ‘debito morale’ ci impone di non dimenticare.
Padre Salvatore era tornato a Mendatica pochi giorni prima della morte. Era il 28 luglio, domenica, festa patronale di San Nazario e Celso. Aveva anche partecipato, come ricordano tante immagini, alla cerimonia ‘civile’ davanti all’ingresso della chiesa per ‘scoprire’ un quadro-ricordo con impresso il nome dei sindaci del paese succedutisi nel corso degli ultimi due secoli. Era presente, seduto di fronte all’amata zia, al pranzo nel ristorante da Settimia. Presente ai Vespri solenni, cantati con l’accompagnamento dell’organo; a Mendatica resta un’ammirabile usanza. Poi la tradizionale processione, purtroppo, di anno in anno più breve nel percorso, meno ‘affollata’ di parrocchiani. Il camposanto del resto testimonia che tanti ‘anziani’ ci lascianoe la natalità, succede pure in altre realtà montane, resta bassa. Fino a non molti anni fa, di statue se ne portavano in processione tre. Oggi arduo trovare volontari anche per una.
Padre Salvatore era un amico vero e sincero di Mendatica, tenace estimatore di un paese incapace di sfruttare in passato tutte le sue potenzialità, tra molti ‘osanna’ di parole e promesse, inefficaci interventi di incidere alla radice sulla realtà socio-economica-strutturale. Posti di lavoro, viabilità. Pochi possono non recitare il ‘mea culpa’, al di là della buona volontà e dell’entusiasmo.
Ebbene, Padre Salvatore, colto, osservatore attento, di poche parole, un bagaglio di esperienza nella poliedrica Riviera (da Genova a Ventimiglia) non presenziava alle tradizionali celebrazioni religiose per mettersi in mostra, per esibizionismo o per dovere. Amava Mendatica, prima di tutto, per il grande rispetto e stima nei confronti dello zio congiunto, don Giovanni Brunengo, di cui nessuno può disconoscere l’esempio di vita, altruismo, missionario del Vangelo praticato; il sacro fuoco di una grande passione, nonostante gli anni, gli acciacchi, di apostolato tra gli anziani, tra i giovanissimi. Non è un caso se negli anni di don Brunengo non mancavano i chierichetti. Anzi, si è vissuto un grande ritorno rispetto al passato, anche di fedeli.
Padre Salvatore che ammirava il costante impegno dello zio per la ‘casa del padre‘, l’antica chiesa parrocchiale dove nei secoli si sono avvicendati alla fonte battesimale alcune migliaia di mendaighini. Don Brunengo che prima scettico, poi con un entusiasmo giovanile, ha aggregato la piccola comunità locale e quella delle ‘seconde case’ per rimettere a nuovo, con una spesa di oltre 60 mila euro, l’impagabile cimelo storico, l’organo della chiesa. Che ha partecipato e gioito quando una coppia ha donato due nuove campane e lui ha potenziato il ‘coro campanario’. E perchè non ricordare le sue premure e ricerche di finanziamenti per il ‘monumento’ della Madonna dei Colombi. Ecco, padre Salvatore si sentiva orgoglioso di ‘quello zio santuomo’, un dono a Mendatica della ‘Divina provvidenza’. Più terra a terra, si sentiva in simbiosi in un contesto dove ci si viene coinvolti da ‘Madre Natura’. Dall’aria ritemprante, all’acqua di sorgente, alla pace-relax che aiuta la meditazione. Fa ‘gioire’ anima e corpo.
Padre Salvatore cosciente che anche nel periodo di sofferenza, lo zio parroco faceva a meno della perpetua. Non capita spesso. Provvedeva a cucinare, alle pulizie, persino alla coltivazione del piccolo orto davanti alla canonica. Era felice quando poteva invitare qualcuno a pranzo, onorato se faceva omaggio di olio e vino che alcuni congiunti dell’imperise gli donavano. Sempre vicino ai sofferenti, alle persone sole, ai meno fortunati. Non dimenticava i benefattori.
Scriveva di suo pugno o batteva con la vecchia macchia da scrivere lettere di invito e ringraziamento. A quella ‘scuola’ di virtù umana, pastorale, sacramentale, il nipote don Salvatore non vedeva solo un discepolo, diciamo d’altri tempi. Quell’esempio l’ha reso più inossidabile nel ministero sacerdotale, nel vincolo con la terra e la comunità di Mendatica. E fu per lui un giorno triste e di sconsolazione quando, morto lo zio parroco, in una ricorrenza patronale, si trovò rilegato in un ruolo del tutto marginale. Non partecipò alla concelebrazione della Messa, nè ai Vespri. Si sentì ‘ingiustamente ignorato’, quasi fosse messo da parte.
“Non capisco questo compartamento – confidò -, non credo di meritarlo, mancano anche di rispetto alla memoria di mio zio e la mia anziana zia se ne sta rendendo condo con grande amarezza, sofferenza. Penso di non venire più, ho tanti altri impegni. A Mendatica ho sempre dato la precedenza. Non so cosa stia cambiando..e noto una crescente indifferenza anche da chi non me lo sarei aspettato….”. All’amico giornalista fece nomi e cognomi.
Aveva ragione a lamentarsi padre Salvatore, ma non era un problema di improvvisa disistima, o perchè ‘caduto in disgrazia’. Semmai c’entra da una parte la sensibilità di chi si trova ad avere ruoli di responsabilità, dall’altra umane disattenzioni, negligenze. Non è il primo caso e neppure l’ultimo. Per fortuna padre Salvatore ha continuato a ricordarsi di Mendatica, come faceva l’altro suo ‘santo zio‘ dei sofferenti, padre Serafino. E Mendatica è sempre stata felice, orgogliosa della sua presenza, del suo ministero, dei suoi elogi all’ospitalità, al calore dell’accoglienza, della semplicità, della buona cucina.
E’ vero che nel giorno del commiato a don Salvatore spiccava l’assenza dei fedeli mendaighini, non è stato un comportamento edificante, superfluo ricordare che non può fare onore, ma resta incrollabile la diffusa gratitudine per un uomo della nostra valle, delle nostre stesse origini. Con un’ esistenza ricca di valori concreti, tangibili, messi in pratica, ha reso un sublime servizio alla comunità tutta. Non si prodigava, non si sacrificava per un tornaconto personale o famigliare; non correva a destra e a manca per un’ideologia o per il denaro; non si esibiva per la gloria terrena, per raccogliere applausi e consesi.
Apostolo del Vangelo in terra Ligure, entrato in convento a Finale Ligure, quindi in missione pastorale a Genova, Loano, Savona, infine Imperia. Era ‘assediato’ da un cruccio: la carenza di vocazioni aveva rischiato di far chiudere pure il covento di Porto Maurizio. Un tempo dall’entroterra, dalla montagna, fiorivano le vocazioni sacerdotali (preti e frati) e di suore. Tutto cambia in fretta nella ‘civiltà del terzo millennio‘. Padre Salvatore era fiero di servire il prossimo; orgoglioso e fiero dei suoi cari, in particolare la sorella, il fratello; per tutti rappresentava un patrimonio di fede, di speranza.
Padre Salvatore, strappato alla vita una mattina d’agosto mentre, al mare di Borgo Prino, si trovava sugli scogli. Un malore, la caduta in acqua, inutili soccorsi. Frate vero, umile, disponibile, discreto, non condizionabile dal mondo esterno. A poco meno di un mese dal sonno eterno rimane immutato il ringraziamento per la bonta, la generosità, la disponibilità. La capacità di ascoltare.
Petrarca nel “trionfo della morte” scriveva: ” O ciechi, il tanto affaticar che giova? Tutti torniamo alla gran madre antica, e il nome nostro a pena si ritrova”. Non era un credente.
Padre Salvatore, gli zii sacerdoti, Giovanni e Serafino, resteranno scolpiti nella memoria di quanti li hanno conosciuti, apprezzati, stimati per la loro statura spirituale e umana. Rettitudine e modestia al servizio della società, degli ‘ultimi’. Mendatica ha il dovere di non dimenticare i loro insegnamenti, il loro esempio, il loro amore. Non da sola, ognuno faccia la sua parte, a cominciare dalla ‘cara Imperia‘. Dalla promesse, alle parole, ai fatti.
Luciano Corrado