Il papà è stato giovane sottufficiale dell’Arma a Savona e poi apprezzato promotore finanziario. Il figlio, Matteo Manzini, da chef a general manager del gruppo Eneko Atxa: «Lavoro per avvicinare cuochi e camerieri». In un decennio, il 39enne savonese, braccio destro del cuoco di Larrabetzu, ha scalato le gerarchie: «Amo i baschi perché investono sui giovani. A parole e nei fatti»
Da Identità Golose web. Magazine internazionale di cucina. A cura di Gabriele Zanatta-
Sulle colline di Larrabetzu, paese basco a una quindicina di chilometri da Bilbao, c’è un italiano che si da fare in silenzio da un decennio esatto, con risultati notevoli. Si chiama Matteo Manzini, è savonese, ha 39 anni e lo seguiamo da 2015 quando, con la parannanza candida addosso, scortava gli ospiti nell’aperitivo dell’orto di Azurmendi, il ristorante di Eneko Atxa col massimo dei galloni.
Manzini faceva il cuoco e confessava un felice stupore: «La prima cosa che mi ha colpito qui», ci raccontò, «è l’età media delle persone che lavorano all’Azur. Non solo in cucina ma in tutti i reparti: dalla bottega all’azienda vinicola, dall’ufficio marketing alla sala, fino ai ragazzi che si occupano dei giardini, delle vigne e dell’orto». Dopo soli due anni, poco più che trentenne, Matteo era stato promosso a executive chef di una delle cucine più importanti d’Europa. «Vivendo qui, ci si rende conto di quanto i baschi vogliano davvero investire sul futuro, non solo a parole ma nei fatti», osservò.
Otto dopo, torniamo su quella collina e ad accoglierci c’è ancora lui. Sorpresa: non veste più il camice candido ma un elegante completo blu, con cravatta e scarpe lucide. «Sono passato dalla cucina alla sala», ci spiega sorridendo. Che notizia insolita. Cosa c’è dietro? Una crisi di vocazione? Il logorio della vita del cuoco post-covid? Il fascino del cameriere? Niente di tutto questo. «Ora sono il general manager del gruppo Atxa», ci spiega sussurrando con modestia. È il direttore generale di tutto.
Non quindi un “semplice” maitre ma un ragazzo che divide a metà con Eneko Atxa oneri e onori di un marchio che oggi, oltre all’ammiraglia della flotta, conta (o contava) insegne a Bilbao, Bruxelles, Madrid, Lisbona, Londra, Siviglia, Tokyo… C’è il format più easy di Eneko (“più easy” per modo di dire, visto che splendono una quarta e una quinta stella Michelin, sempre a Larrabetzu e nell’Eneko di Lisbona), quello ancora più informale di Basque, il crossover di cucina nippo-basca Nko Enekao, la casa del Nigiri, i bocadillos di Debokata, la divisione degli eventi esterni…
«Dal 2019», ci spiega oggi Manzini, con un accento spagnolo ancora più marcato, «mi è presa una pazza idea: incaricarmi personalmente di tutte le nuove aperture del gruppo. L’avviamento, il reclutamento, la formazione e la gestione del personale. Il coordinamento tra cucina, sala, reception e contabilità. E la responsabilità della parte amministrativa, per non farmi mancare nulla».
Manzini ha dunque una visione completa di tutti gli outlet di cui si occupa. Incarna cioè quella figura sempre più urgente per aziende così complesse e così ambiziose, che rende anacronistica la divisione rigida escoffieriana tra sala e cucina. A Larrabetzu il ristorante è uno intero, non la somma di due metà. «Durante il servizio», precisa Matteo, «oggi sto in sala perché voglio capire se le informazioni che arrivano dalla cucina sono trasferite in modo adeguato al tavolo. Devo accertarmi che i giardini e gli orti attorno siano al livello del ristorante vero e proprio. Che un cuoco sappia cosa fa un cameriere e viceversa… Mi sforzo di tenere uno sguardo globale. Perché le barriere tra i vari reparti devono cadere».
Da Azurmendi, il muro tra cuochi e camerieri è sempre più fragile: «I briefing pre-servizio li facciamo tutti assieme, dal primo all’ultimo. Lo storytelling di un piatto, poi, si costruisce davvero solo se portiamo tutti i ragazzi dai fornitori, non se chiediamo loro di recitare formule vuote, a memoria. Se la cucina va male, la sala non può funzionare, e viceversa. Per questo, dopo 10 anni di lavoro con Eneko Atxa, un fratello per me, ci poniamo insieme una missione quotidiana: azzerare il più possibile le differenze tra i ruoli».