Prete da 50 anni e non li dimostra. E non è nemmeno pentito.
di Paolo Farinella, prete
Martedì 1° novembre 2022, io Paolo Farinella prete, compio 50 anni di ministero presbiterale. Da oltre 40 anni non uso più la parola sacerdote, che in sé è equivoca, ma prete (forma sintetica per presbitero) perché la considero una professione… con due caratteristiche: professionalità e competenza…
PREMESSA- Poiché sono consapevole di essere amato e vituperato, stimato e disprezzato, traccio in modo molto sintetico, alcune tappe della mia vita che possono aprire qualche spiraglio per aiutare a capire meglio non solo me, ma anche la società e la chiesa.
Desidero, però, dire una cosa molto importante. Non mi occupo di Dio perché non so se c’è o non c’è: lo lascio agli impiegati del sacro che lo sanno cucinare meglio di me. Dico solo che ho amato la Chiesa e l’amo più di Dio; la perseguito perché si riformi, portando a compimento il concilio Vaticano II, che, per altro, considero superato nei tempi in cui viviamo. Ne occorre un altro più dirompente, più radicale, più decisamente evangelico. Se si va avanti – o indietro? – come si sta facendo con i finti sinodi, sdolcinati e insulsi, ci vorranno almeno altri 20 papi Franceschi e non basteranno.
Tredici anni prima che arrivasse papa Francesco, ne anticipai il suo arrivo mentre vivevo a Gerusalemme con il mio unico romanzo «Habemus papam, Francesco». Egli non deluse le mie attese e quelle della Chiesa che da Gerusalemme erano visibilissime. Non basta, però: un papa, come la rondine sola, non fa mai primavera. Oggi dico che non è sufficiente, per cui lavoro per il concilio Vaticano III… IV… V… di Gerusalemme II.
I preti si perdono a cincischiare su problemucci superati, morti e sepolti, fermi ancora all’idea di chiesa della Restaurazione da Congresso di Vienna. Sì, sono fermi al 1815, a rimpiangere monarchie decotte, Chiesa privilegiata dai potenti e protagonista di affari e affarucci. In questi giorni, la maggior parte del clero e dei laici-chierichetti, cantano il Te Deum per ducessa Giorgia, paladina di «Dio, Patria e Famiglia». Se ne accorgeranno.
Sono anche convinto di avere sbagliato tempo: sarei stato bene nei secoli II e III d.C., i secoli dei «polemisti», non tra il II e III millennio, dove regnano le pappamolle, gli spiritualisti da ricettario, i cultori del ritualismo anacronistico e «I funzionari di Dio» (Eugen Drewerman, 1995). Il mondo è assetato di spiritualità, ma fa fatica a trovarla perché i preti, i pope, gli imam, i pastori/pastore (le religioni, alcune) rispondono con la religiosità, senza rendersi conto che la religione (= le religioni) è la grande nemica di Dio, ammesso che ci sia come lo presentiamo e garantiamo noi. Sono convinto di no.
Capisco che il vescovo d’ordinanza o i preti che, oltre il seminario, non hanno visto e sperimentato altro al difuori di un albero di fico di una chiesa vuota, possano essere disorientati, ma pazienza: basta aspettare qualche anno e i preti scompariranno come specie. Allora, se qualcuno avrà conservato la memoria, Alzheimer permettendo, farà due cose.
a) Andrà a rileggersi la dedica ai «Missionari cinesi in Etruria» di «Esperienze pastorali» di don Lorenzo Milani del 1957
b) e come corollario aggiungerà: «Però quell’imbecille di Paolo prete aveva proprio ragione». Ancora una volta sarà troppo tardi.
Ho vissuto sempre seguendo la mia coscienza, non ho mai barattato la mia dignità e la mia libertà, non ho mai accettato che i miei diritti, fossero «concessioni» di qualche pupazzetto, anche mitrato. Sono nato figlio di Dio, libero e liberante e ho rifiutato di vivere come nipote di un deuccio minore, idolo manovrato da qualche puparo d’occasione. Sono sempre stato leale, firmandomi sempre e pagando di persona prezzi giusti, ma specialmente ingiusti. Non chiedo perdono a nessuno, perché non lascio debiti di alcun genere, ma solo crediti e anche tanti, ma tanti. Non ho mai odiato alcuno né disprezzato, né vilipeso, ma ho difeso sempre la verità che ritenevo tale, cercando di seguire il Vangelo e la Costituzione italiana, i due fari della mia vita.
Sono orgoglioso di essere prete, morirò da prete, nonostante qualcuno (il card. Angelo Bagnasco e il vicario don Marco Doldi, che continua a fare danni nella chiesa di Genova), ce l’han messa tutta per ridurmi allo stato laicale, ma hanno dovuto rimangiarsi il decreto già pronto, compreso l’inchiostro. Non sono mai stato pentito di essere prete e lo dimostra il fatto che mi firmo sempre «Paolo Farinella, prete» e qualche volta aggiungo, parafrasando il grande regista spagnolo, Luis Buñuel, «ateo, per grazia di Dio». In mezzo a un mondo clericale «miscredente», esserci da ateo è un onore e un privilegio.
Il 1° novembre 2022, alle ore 10,00 celebro l’Eucaristia del mio 50° con la «comunità occasionale, ma fedele» di San Torpete che servo da 17 anni e alla quale ho dato la mia vita, il mio sangue, la mia salute, il mio tempo senza risparmio, senza pretendere nulla in cambio. Mi hanno dato in abbondanza amore e stima e sono veramente la parte migliore di me.
Con loro penso e «vedo» tutti luoghi che ho servito e amato: Sacra Famiglia di via Bobbio, Santa Caterina di via Napoli, Calvari, Marsiglia e Capenardo di Davagna, SAN TORPETE, Gerusalemme, il monte da cui ho contemplato l’arrivo di papa Francesco e «la moltitudine innumerevole che nessuno poteva contare» e per la quale ho sempre spezzato il Pane e dispensato la Parola senza alcun interesse, senza vantaggi, ma solo per amore. Non mi sono mai abituato a «dire Messa», ma ancora oggi, dopo 50 anni, ogni volta è come quella prima volta, celebrata nella parrocchia dei Ss. Cosma e Damiano vicino San Torpete.
Sono felice di essere prete e non desidero altro che restarlo, come garantisco che lo resterò, anche se ciò può dare fastidio a qualcuno, ma questo è il gioco della vita e ognuno deve farsene una ragione.
Amen e così è.
Genova 01-11-2022. Solennità di Tutti i Santi. Con amicizia e affetto.
Paolo Farinella, prete – San Torpete GE