“Sono, purtroppo, costretto a leggere di un altro caso riconducibile al malcostume, da una trentina d’anni imperante, di considerare i servizi pubblici essenziali ad alta rilevanza sociale come ordinarie attività d’impresa, il cui scopo è la realizzazione di un profitto a remunerazione di un capitale: nulla di più sbagliato!
Abbiamo assistito allo stupro di storiche stazioni come Milano Centrale o Torino Porta Nuova, edifici monumentali e, verosimilmente, tutelati dalla Sovrintendenza alle Belle Arti, per creare dei centri commerciali, relegando, contemporaneamente, le biglietterie, già mutilate nel numero degli sportelli, in luoghi poco o punto accessibili e, comunque, da ricercarsi con il proverbiale lanternino.
Ripristinare, come doveroso, lo stato d’origine sarà molto oneroso e tali oneri andrebbero addebitati a chi ha richiesto, deliberato ed eseguito l’insulsa trasformazione. In una stazione ferroviaria, servirebbe un caffè ristoratore, meglio se con vendita di prodotti locali, naturalmente, a prezzi equi e non a prezzi di mercato speculativo, una distribuzione di sali, tabacchi, valori bollati e generi di monopolio, un’edicola, meglio se con libreria abbondantemente fornita di volumi ad argomento ferroviario e descrittivi del patrimonio naturalistico e culturale della zona; nei presidi più grandi, una farmacia, con distribuzione di articoli sanitari.
Nessuno va a comperarsi le mutande od un profumo in stazione: caso mai, potrebbe avere bisogno di un ombrello, in caso di pioggia, ma quest’invasione è eccessiva e, verosimilmente, pilotata da grosse catene d’affiliazione commerciale, sovente, multinazionali, che possono permettersi anche di corrispondere gli esosi canoni che le Ferrovie dello Stato, vigliaccamente trasformate in Società per Azioni, esigono.
Parallelamente, ad Alassio, meta turistica, tanto che, un tempo, a fronte di circa diecimila residenti, si registrava una capacità ricettiva di circa sessantamila ospiti, il gestore del caffè ristoratore di stazione è costretto a chiudere, seguito a ruota dall’edicolante: due servizi quanto mai necessari, che, anzi, in altre epoche, le stesse Ferrovie dello Stato davano in gestione a quei terzi dai quali, oggi, pretende la corresponsione di un canone quanto mai estorsivo, poiché considera queste attività come imprese in affitto di beni di proprietà e non già servizi complementari al trasporto.
Roberto Borri