Ada Negri è stata una delle poetesse italiane più importanti del Novecento. Durante gli anni in cui si dedicava con passione all’insegnamento elementare prima a Codogno, poi a Motta Visconti e infine a Milano, iniziò a pubblicare le prime poesie, che ebbero subito un riscontro positivo da parte della critica letteraria.
di Tiziano Franzi
Nei decenni successivi proseguì la sua ricerca letteraria, incontrando un crescente successo di pubblico e di critica, testimoniati dal Premio Mussolini per la carriera nel 1931 e nel 1940 (prima e unica donna) dal titolo di Accademica d’Italia, dopo che già negli anni venti aveva sfiorato il Nobel.
Negli anni della giovinezza frequentò Varazze, accompagnata dalla madre, durante le vacanze estive. Quella città, il suo paesaggio e l’ambiente complessivo le piacquero da subito, tanto che vi ritornò regolarmente, soprattutto con la figlia Bianca, piuttosto cagionevole di salute.
In quei soggiorni a Varazze abitò a villa “La torretta”, nella zona della Caminata. Quell’edificio oggi non esiste più e ne resta soltanto una parte della balaustra.
Gentile Signora, Lei è stata una degli illustri ospiti di Varazze , che ha frequentato prima come turista e poi con maggiore frequenza . Quali ricordi ha di quel periodo?
A Varazze sono sempre stata bene e, negli anni, quando potevo mi ci rifugiavo, soprattutto d’estate, ma anche nelle altre stagioni, perché per me la casa di Varazze era un “rifugio” che mi ha sempre permesso di ritemprarmi fisicamente e di potermi concentrare sul mio lavoro di scrittrice.
Dove ha abitato, a Varazze?
Nei primi anni raggiungevo Varazze insieme a mia madre, in estate, per brevi soggiorni che abbiamo trascorso in qualche “Pensione” di cui non ricordo il nome. In seguito, con mio marito, l’industriale tessile biellese Giovanni Garlanda, scegliemmo una bella villetta in centro paese, ma un poco lontana dalla concitazione delle strade più frequentate dai numerosi turisti. Si chiamava “Villa Torretta”, nel quartiere della Caminata, che ho continuato a scegliere come residenza estiva anche dopo il fallimento del mio matrimonio, nel 1913.
Giovanni Garlanda si innamorò di lei dopo avere letto alcune sue poesie, senza neppure esservi conosciuti di persona, vero?
E’ così. In precedenza io mi ero fidanzata nel 1893 con il giornalista Ettore Pelizzi, che
il 23 marzo salpò da Genova per New York sul piroscafo Kaiser Wilhelm, senza tornare mai più in Italia. Abbiamo continuato a scriverci fino al 1896; costruendo una specie di “amore epistolare”. Dopo una lunga interruzione negli anni del mio matrimonio, riprendemmo a scriverci tra il 1914 e il 1941, come due amici di vecchia data che sapevano di potere trovare l’uno nell’altra comprensione e sostegno morale.
Nel febbraio 1896 Giovanni chiese di sposarmi e il matrimonio fu celebrato il 10 marzo a Milano, in Palazzo Marino, avendo come padrini il cav. Alberto Vonwiller per Giovanni e l’avvocato Luigi Majno per me. Poco dopo ci trasferimmo a Valle Mosso, vicino a Biella, dove il 20 settembre 1898 nacque Bianca.
Ma poi tornaste a Milano?
Sì, tornammo a Milano nel 1900, dopo la nascita di Vittoria che, purtroppo, visse soltanto pochi mesi. Anche a causa di quell’immenso dolore decidemmo di lasciare il Biellese e di prendere casa a Milano, prima in via Olmetto, poi in via Lanzone e in seguito in Piazza Cavour 7. Questo ” ritorno in città” ha facilitato la ripresa dei mei contatti sociali e delle collaborazioni con giornali e riviste letterarie quali «La lettura», il «Corriere della Sera», «Poesia», «La Donna», il «Marzocco», «L’Eroica», «Il Secolo» e «Il Secolo XIX». Intanto i rapporti con Giovanni si andavano progressivamente deteriorando, tanto che nel 1907 traslocai con mia madre in via Gioberti 9. Giungemmo così alla rottura definitiva e alla fine di marzo 1913, decisi di trasferirmi a Zurigo per seguire Bianca, iscritta dal padre in un collegio di quella città svizzera, risiedendo presso la pensione Florhof. Io tornai a Milano nel 1915 e Bianca, dopo avere terminato gli studi, nel 1916.
So che seguirono anni di lutti, ma anche della gioia di diventare nonna e di altri successi come scrittrice.
Nel 1918 muore di influenza spagnola l’uomo con cui avevo sperato di ricostruire una storia d’amore; quello stesso anno muore sul fronte, giovanissimo, Roberto Sarfatti, figlio della carissima amica Margherita, che avevo sempre considerato come mio figlio d’anima; Il 2 agosto 1919 morì mia madre Vittoria. Come “compensazione” di questi eventi luttuosi, a metà luglio 1921 Bianca sposa Antonio (Tonino) Scalfi; e il 17 dicembre dell’anno seguente nasce a Milano la mia prima nipote, Donata, cui seguì , pochi anni dopo , Il 3 aprile 1924, la nascita del piccolo Gianguido.
Ma torniamo a Varazze. Che cosa ricorda dei momenti che vi ha trascorso?
Come ho già detto, “Villa Torretta” a Varazze è sempre stata per me un rifugio. Qui Bianca, che era piuttosto cagionevole di salute, con il cambiamento di clima e i bagni in mare, tornava ogni volta a rifiorire e questo era per me una gioia che mi aiutava a godere della serenità della vita familiare e, talvolta, a trovare l’ispirazione per comporre qualcosa di nuovo.
Quindi, tra i suoi numerosi scritti in prosa e in poesia, qualcuno ha preso forma proprio a Varazze?
Certamente. Oltre a molte lettere ad amici, colleghi letterati, scrittori ed editori, a Varazze ho composto la poesia “Ora”, poi pubblicata nella raccolta “Tempeste” nel 1896 . Eccola:
L’ora
Cala qual nembo sul mio cor di vergine
L’ora sacrata de la passïone:
È notte e ne la tenebra
Cova un incanto di perdizione:
È notte e tu non sai,
Tu che dormi da me così lontano,
Ch’io, bianca in volto e con le mani in croce,
Chiedo il tuo bacio in vano.
Mai più, mai più ne’ miei grand’occhi il raggio
Di questa prorompente giovinezza
Sorriderà sì fulgido,
E le mie labbra avran questa dolcezza:
Mai più l’acceso spirto
A te verrà con vïolento grido,
Come augel che trillando ai boschi, ai cieli,
Ebbro si slancia al nido. Il desiderio mio ne l’ombre tacite,
Rogo e martirio, lampeggiando avvampa:
Ma l’ora passa—e spegnesi,
A poco a poco, la solinga vampa.
L’alba, triste nei veli, in un pallore di sudario spunta:
Perduta è l’ora de la nostra ebbrezza:
Essa morì consunta.
Come vede, vi sono espressi molti temi della mia poetica: la malinconia, lo struggimento interiore, “l’ora della sacrata passione” , il senso di perdizione nel buio della notte cui seguono prima l’illusione dell’ebrezza e poi l’amarezza della solitudine.
Tiziano Franzi