Tra le tante stramberie contenute nella riforma della scuola, il solo provvedimento che era piaciuto a tutti era il ritorno ai moduli di insegnamento – le “ore” – di 60 minuti, invece dei canonici 45, 50 o 55. Era piaciuto ai professori, che avrebbero potuto gestire meglio il tempo di insegnamento e di controllo della preparazione, e avrebbero evitato di arrampicarsi sugli specchi per sostituire nelle ore di recupero il collega assente. Era piaciuta agli studenti, che non ne potevano più di comprimere in cinque ore sei diverse lezioni. Era piaciuto ai sindacati.“Aumentare ulteriormente il numero delle materie riducendo ulteriormente l’orario a disposizione di ognuna di esse … è negativo dal punto di vista didattico, perché aumenta ulteriormente la frammentazione dell’offerta formativa, che è una della cause fondamentali della dispersione scolastica” si legge in un documento (in realtà, di qualche tempo successivo) del CESP di Padova.
http://www.cesp-pd.it/spip/spip.php?article230
Era piaciuto, soprattutto, al ministro Mariastella Gelmini che, in sede di presentazione del decreto-legge 112/2008 (poi diventato legge 133/2008) era andata addirittura in televisione per spiegare come lo scandalo dei professori pagati per insegnare meno di quanto dovuto stesse per terminare. Tutti contenti, insomma, tanto che la “Guida alla Riforma” prodotta dal MIUR aveva promosso urbi et orbi l’iniziativa: basta riduzione dell’orario per motivi didattici, ma casomai e per motivi assolutamente inderogabili, solo per esigenze legate al trasporto. In realtà, la riforma Gelmini in questo campo non ha innovato niente: la questione era e rimane disciplinata dall’ultimo contratto collettivo e dalle norme ivi richiamate: le circolari 243/79 e 192/80. Ma, insomma, tutti erano d’accordo sul fatto che, al di fuori della prima e dell’ultima ora, anche per gli studenti italiani le ore avrebbero dovuto essere composte di 60 minuti.
Eppure, a distanza di soli tre anni (la riforma per le scuole superiori è entrata in vigore il 1° settembre 2010) le cose sono cambiate. I dirigenti scolastici hanno voluto – e talvolta imposto – non solo la settimana di soli cinque giorni, ma anche il ritorno a tutte le ore di 50 minuti, anche dove non vi sono motivi legati al trasporto: è quello che succederà a partire dal prossimo anno scolastico in molte scuole di Savona e della Valbormida. E a decidere questo ritorno al passato non è stata né una modifica nella curva di attenzione dei giovani savonesi né qualche rivendicazione corporativa dei docenti ma, più banalmente, la solita questione di soldi. Le cosiddette “ore a disposizione” (cioè il tempo in cui i professori dovevano restare, appunto, a disposizione del dirigente scolastico per recuperare gratis lo scarto tra i moduli di 50 minuti e le ore stabilite dal contratto di lavoro) erano una miniera d’oro per sostituire a costo zero gli insegnanti assenti. Ma con i moduli di 60 minuti queste ore sono scomparse: il docente insegna solo nelle sue classi e stop. Se il dirigente vuole che faccia ore aggiuntive per coprire le classi scoperte, lo deve pagare, e qui sorgono i problemi.
Logica vorrebbe che il dirigente avvertisse l’Ufficio scolastico provinciale e che questi inviasse un supplente (pagato) per coprire la settimana di assenza del titolare, ma di questi tempi la supplenza esterna è una barzelletta. Un’altra norma impone che un professore possa sostituire solo un collega della stessa materia o, quantomeno, di materia affine, ma anche questo disposto è facilmente aggirabile e, comunque ignorato da tutti. E allora ecco la soluzione: basta inventarsi un progetto di “Cittadinanza & Costituzione” – la nuova pseudomateria che avrebbe dovuto subentrare alle discipline giuridiche ed economiche – e il gioco è fatto: a chi andrà a sostituire qualsiasi collega assente, basterà spiegare ai giovani virgulti i segreti della nostra carta costituzionale per il cittadino di vecchia o nuova generazione, e sarà il MIUR e non la scuola a pagare gli improvvisati giuristi. A norma di regolamento il progetto di C&C deve essere svolto fuori dalle ore curricolari, ma questo è un altro di quegli elementi di cui non frega niente a nessuno, e il fatto che certe cose andrebbero insegnate da professionisti del settore per evitare di mettere in testa ai ragazzi delle scemenze sesquipedali è un altro dettaglio trascurabile. Ma ce la vedete voi la professoressa di informatica spiegare ad una classe (che già ha avuto la sfortuna di ritrovarsi il professore titolare malato) quando gli italiani devono obbedire a una direttiva europea che non è stata neppure ratificata dall’Italia? O perché il referendum promosso per abrogare la legge sul lavoro a tempo determinato non è stato autorizzato dalla Corte Costituzionale per una questione di stand still comunitario? Ecco.
Il gioco è talmente sporco che da qualche parte non è riuscito: nelle assemblee sindacali i pochi docenti di diritto rimasti hanno alzato la voce e in alcuni contratti integrativi il “progetto C&C” non è passato. Ma il dirigente scolastico, battuto sul piano della logica scolastica e della tutela delle professionalità, ha avuto un’altra brillante idea: torniamo alle ore di 50 minuti “per motivi didattici”, di modo che ogni professore dovrà recuperare (a costo zero) tre ore alla settimana. I motivi didattici, in realtà, sono proprio gli stessi che tre anni fa avevano spinto Tremonti e Gelmini a abolire i tanto vituperati moduli di cinquanta minuti, ma su questo dettaglio i nostri riformatori passano graziosamente sopra. A rimetterci saranno i ragazzi, che si troveranno (complice la settimana corta) a dover rientrare il pomeriggio pur avendo già affrontato sei moduli di lezione nella mattinata, e soprattutto i docenti che dovranno preparare non soltanto 18 moduli settimanali ma gli stessi più 3 jolly (e su quali materie, poi?), da far eseguire nelle classi in cui dovessero far supplenza, magari al pomeriggio, con ragazzi che non conoscono e che, magari non vedranno mai più.
Con tanti saluti alla professionalità della scuola.
Massimo Macciò