Angela Ruffino un’estrosa signora nata in un suggestivo gruppo di case chiamato Cosseria, ma abitante a Plodio, insieme con la famiglia. La sua passione dominante – per adoperare un termine della filosofia morale – è la scrittura e la creatività.
di Gian Luigi Bruzzone
Gentile Signora, se non le dispiace, ci parli un poco della sua famiglia.
Sono nata in una famiglia contadina di Cosseria (SV) I miei bisnonni lavoravano la terra, a mano, come pure i miei nonni materni con i figli Giulia, Renato e Rosa.
Mio nonno Giovanni considerava la sua primogenita Giulia, ovvero mia mamma, il suo braccio destro da lavoro e la voleva sempre accanto nei campi. Lei, classe 1926, e tuttora presente, è stata davvero in gamba ad usare la zappa, la vanga, la falce e tutti gli attrezzi del caso. Mia mamma ha imparato tutto ciò che serviva per la preparazione del terreno, della semina, dell’accudimento, del raccolto e della conservazione dei prodotti. Il durissimo ed infinito lavoro di campagna non l’ha mai spaventata, affermando che con una zappa tra le mani passano tutti gli sghiribizzi immaginabili e non si conosce la depressione; una parola dal significato sconosciuto. Lavorando sempre non rimaneva altro tempo, nemmeno per pensare. Solo nei giorni di maltempo le fu concesso recarsi a scuola, ovvero quando non si poteva lavorare nei campi e poi per una ragazza non era così importante l’istruzione. Era molto meglio sapersela cavare diversamente. Terza elementare a tempo perso, ma ciò nonostante ancora oggi lei legge molto, scrive in corsivo in bella calligrafia e fa le operazioni; non si è mai sbagliata a contare.
E caso volle che quando incontrò mio papà, innamorandosi perdutamente, e comunicò a suo padre Giovanni che si sarebbe sposata il 29 aprile del 1947, compleanno del suo sposo, si oppose dicendo che in quel periodo c’era la semina delle patate e lui da solo non ce l’averebbe fatta. Rimandando così la data al 3 di maggio, ma non fu più la stessa cosa.
Per fortuna con mio papà la sua vita cambiò in meglio pur non avendo nulla, solo una manciata di patate e di cipolle, ma insieme erano felici. Mio papà era molto intraprendente e con i primi ricavi dalle ore straordinarie dei suoi svariati lavori, comprò una radio per ascoltare il notiziario. E in un secondo tempo anche un’automobile, una Fiat Topolino decappottabile grigia. In quegli anni lui fu molto criticato dal vicinato per le sue spese considerate pazze e di conseguenza a noi figli; io e mio fratello Renato, sarebbe mancato il pane. Ma fortunatamente non fu così e tutto andò avanti sempre meglio, in continua crescita.
La mia infanzia la ricordo serena, papà Pietro lavorava fuori paese a tracciare nuove strade, ma al sabato arrivava ed era sempre una gran festa. Alla domenica si andava a girare tutti insieme, anche i nonni, con la Fiat Topolino. Quanti bellissimi e indelebili ricordi. Grazie carissimo papà, sono più di trent’anni che non sei più con noi e ci manchi tantissimo, ma il tuo ricordo è sempre più vivo.
E del corso degli studi. Le lezioni e la figura di qualche insegnante sono rimaste impresse nella sua memoria e nel suo animo?
Crescendo sono arrivata alla quinta elementare poi, consapevolmente, ho deciso di avviarmi al lavoro ed ho sentito il bisogno di conseguire il diploma di terza media alle serali, quando mio figlio Matteo frequentava la terza media.
Le lezioni scolastiche delle elementari erano molto severe, indiscutibili, e quando la maestra entrava in classe tutti sull’attenti salutando in coro: “Buongiorno Signora Maestra”. Ero molto legata alla mia maestra ed ogni giorno tornando sola da scuola, da Cengio a Cosseria a piedi lungo la ferrovia, facevo in modo di arrivare al casello ferroviario contemporaneamente al treno che la trasportava verso Savona, in quel punto lei si affacciava dal finestrino e ci salutavamo poi, passato il treno, attraversavo i binari e rimaneva ancora un bel pezzo di salita prima di arrivare a casa con la cartella, la borsa del pane ed altre cosette di prima necessità.
Mentre al mattino, recandomi a scuola, raccoglievo i crocus selvatici e glieli portavo, come a una mamma. Ma una cosa che mi umiliava profondamente era trovare quella solita frase: “Forme dialettali” al finale di un mio tema in classe. Lei lo sapeva benissimo che in casa mia, come del resto anche nelle altre famiglie contadine, si parlava solo il dialetto e quindi la lingua italiana, per me, era come imparare una lingua straniera. Avrebbe potuto considerarlo? Non riuscivo a togliermi di dosso l’odore di contadina. E di conseguenza, il nostro bellissimo dialetto non l’ho insegnato a mio figlio ed ora me ne pento.
I cosseriesi, avendo solo strade da carro e gli scarponi sporchi e infangati, erano considerati grossolani camminatori nel fango (Cusceria scuorza pota) e per questo schernita dai compagni di classe camminanti sulle belle strade asfaltate con scarpette lucide. E fu così che mamma Giulia, per mettere fine ai miei piagnistei, con grande sacrificio, mi comprò un altro paia di calzature che io nascondevo in un cespuglio all’inizio del paese e le cambiavo al momento lasciando quelle sporche che avevo nei piedi, arrivando anch’io a scuola con gli scarponi puliti.
Plodio per me…
Plodio è un piccolo paese con persone dal cuore grande e per me significa casa, senza nulla togliere a Cosseria, le mie radici. A Plodio mio marito ha costruito la nostra casa. Lui non conosceva cazzuola e cemento, nemmeno progetti e cose varie, ma la sua tenacia, grande volontà e l’ingegno come nessuno, hanno fatto tutto. Lui cominciò a disegnare la nostra casa sulla carta millimetrata e a all’ingegnere non restò che acconsentire. Poi iniziò a realizzarla giorno dopo giorno, fino all’abitazione. Fece tutto lui, all’infuori dell’impianto elettrico. Però questa scelta, quest’ardua impresa ci limitò molto anche nella crescita di nostro figlio, al quale non riuscimmo a dare le attenzioni dovute. E questo ha tutto il suo peso.
Osvaldo non è più con noi dal 25 Aprile 2004. La sua prematura ed improvvisa morte ci colse tutti impreparati devastandoci completamente. Ma io e mio figlio continuiamo ad abitare nella sua casa colma di ricordi e nel frattempo è arrivata anche Elena, compagna di Matteo. Intorno a noi cani e gatti liberi ci allietano, ma spero di vedere anche bambini giocare nel prato.
Com’è sbocciata la passione per la scrittura?
Pur avendo una pessima grafia, la scrittura mi ha sempre affascinato, specialmente quella antica con la penna ed il calamaio. Ma la decisione di provarci, con il computer, è nata nel 2010 a ritorno dal mio primo Cammino verso Santiago de Compostela. La condivisione del Cammino per me, è stata una lezione di vita, tant’è che ho ripetuto il medesimo più volte e visto da diverse angolazioni; come la vita. A volte sembra così giusta la solita Via conosciuta, che una nuova all’orizzonte spaventa apparendo anche sbagliata, ma ci si può anche ravvedere. Ho poi percorso altri Cammini per curiosità, entrando a far parte della Confraternita di S. Jacopo con Sede a Perugia, la quale mi dà la possibilità di poter fare accoglienza Pellegrini negli Spedali da Lei gestiti.
Al ritorno dal Cammino ero così piena di cose belle e nuove, anche se queste erano le medesime di prima, ma le vedevo con altri occhi; gli occhi di tutti i pellegrini incontrati sotto quella meravigliosa Via Lattea. Ecco, era proprio questa la stranezza, rivedere le stesse cose come fosse la prima volta e trovarle meravigliose, capirne il valore senza darle per scontate. Ed ho iniziato ad ampliare il mio piccolo diario di viaggio perché desideravo condividere la mia esperienza, nella speranza potesse essere utile a qualcuno che come me, caduta in quel buco nero senza fondo, senza nessuna forza né voglia di risalire, in fondo ci stavo bene e nessuno mi poteva pigliare. Intorno a me terra bruciata, ma così non mi piacevo…. e nei sogni sentivo la voce di Osvaldo: “Perché non scrivi un libro?“.
Lui queste parole ogni tanto me le diceva davvero, ma io rispondevo che non avrei saputo cosa dire. Ma dopo un tempo incalcolabile in cui la polvere della strada e della vita s’era appiccicata ai miei scarponi, rendendo impervio il mio andare, sentivo che era giunto il momento di raccontare qualcosa. Serviva però coraggio, avendo a disposizione soltanto le scuole dell’obbligo, comprese le forme dialettali, le probabili ripetizioni, le divagazioni, rischiando di raccontare cose già dette e per giunta senza fare correggere i compiti, per apparire quella che sono con tutti i miei limiti. Andai così nello stagno ed iniziai a galleggiare, poi lentamente provai a scendere in profondità senza smuovere l’acqua che sarebbe diventata torbida impedendomi di vedere, di osservare, di non trovare, ma nel caso avessi trovato essere pronta ad accettare scomode verità. Lati oscuri, sconosciuti e spaventosi, ma peggio ancora sarebbe stato trovare cose familiari ma stupidamente ignorate.
Che cosa si propone?
Mi propongo di provare ad ascoltare, che forse ho sempre confuso con lo stare a sentire. Ascoltare meglio, con impegno ed interesse, perché secondo le mie lacune, credo di avere più bisogno di ascoltare e osservare, che di parlare. C’è molto da imparare nel silenzio, come pure ascoltando gli altri e riconoscere frammenti di vita simili alla mia, visti però da un’altra angolazione alla quale non avevo pensato. Intanto, continuo con la terapia della scrittura e della fotografia che io trovo molto benefica e apre le porte verso nuovi orizzonti di conoscenza. Penso che tutti dovremmo scrivere o fotografare qualcosa, fosse soltanto per lasciare un piccolo segno del nostro passaggio su questa Terra.
Se vuole, ci presenti i suoi volumi.
Ad oggi i miei volumi sono cinque. Il primo dal titolo “Le mie orme sulla polvere” scritto con l’aiuto di Laura Maggesi, Edizioni arabAFenice, racconta i miei due primi Pellegrinaggi verso Santiago de Compostela. Il primo fatto in compagnia di mia cognata Fedora, sorella di mio marito. E soltanto nelle ultime tappe mi accorsi che non avevo capito nulla e mi riproposi di ripeterlo da sola per affrontare le mie paure, i miei tormenti e trovare l’accettazione. Il Cammino non è un trekking, il Cammino entra dentro e come l’acqua fresca e quieta di un ruscello leviga, leviga non solo sassi, ma anche macigni.
Nel secondo “Oltre la soglia di un Ospitale” racconto la mia esperienza di Hospitalera al San Nicolàs de Puente Fitero in Spagna, sul Cammino Francese, l’unico Spedale italiano. Un magnifico Eremo del 1100 ristrutturato, nella sua natura, dal nostro Rettore di Confraternita Paolo Caucci Von Saucken. Come racconto pure dello Spedale romano mettendo a confronto le diversità tra i due luoghi. E nell’ascoltare le esperienze altrui riaffioravano i ricordi del mio Pellegrinaggio sulla Francigena, da casa mia a Plodio fino a Roma.
Il terzo “I tre amuleti della Sciamana“, Edito arabAFenice, tratta del mio viaggio avventura in Mongolia, magnifica Terra di Nomadi, Sciamani e Angeli dal cuore d’oro. In Mongolia sono stata vittima di un incidente d’auto nel Deserto del Gobi, dal quale ne sono miracolosamente uscita viva, ma con molti limiti e questo fatto mi ha donato nuove amicizie e tanto altro. Persino un Patto d’Amicizia tra Plodio e Khankhongor il villaggio più vicino al luogo dell’incidente (villaggio capitato per caso) Ma le cose non succedono mai per caso.
Nel quarto “Mai per caso”, sempre edito da arabAFenice, condivido con il lettore l’ultimo mio Pellegrinaggio a Santiago lungo la Via della Plata. Pellegrinaggio dedicato a Raquel una ragazza argentina affetta da cancro al seno e tuttora abbastanza in salute. Come dell’incontro con Cecilia Mangili di Bergamo (purtroppo deceduta) colpita alla nascita da Amiotrofia Spinale. Della sconvolgente conoscenza con Daniela Gazzano di Calizzano (SV) Locked in Syndrome. Per finire con il ritrovo “mai per caso” di Valentina Bonetti di Cremona, incontrata una sera nel Gobi e ritrovata a Finale Ligure alla presentazione di un mio libro. Il ricavato di questo libro è stato diviso in tre parti uguali e devoluto per la ricerca nelle patologie che hanno colpito le protagoniste di questi miei racconti. E con questo volume ho capito che la mia strada da seguire è questa.
Il quinto “Mia figlia à scritto”, Edizioni Tigulliana, contiene memorie incrociate tra me e mamma Giulia. Frammenti di storia, echi di tradizioni che si sono perse. Quindi per conoscere e conservare il vissuto di un passato nemmeno troppo lontano. Essendo i miei genitori entrambi diabetici, il ricavato di questo libro sarà devoluto a favore del Progetto di Diabetologia Pediatrica all’interno della Pediatria ASL 2 Direttore dott. Alberto Gaiero.
Esiste, secondo lei, un legame fra narrare e fotografare?
Secondo me, tra narrare e fotografare c’è uno stretto legame: entrambi desiderano comunicare qualcosa. Una comunicazione diversa, ma con il medesimo scopo di emozionare. Un racconto può essere ricco di belle e accurate parole, ma in qualche modo deve toccare le corde del cuore e farle vibrare. La foto non contiene parole, quindi deve emozionare la sola immagine. E sempre secondo me, se l’immagine ha bisogno di troppe spiegazioni significa che è muta.
Trovo molto interessante lasciare libera interpretazione a chi osserva come a chi legge, da più angolazioni possibili. Il tutto va accettato benevolmente perché la critica aiuta sempre a crescere. Scatto quando sento l’emozione e spero di poterla trasmettere. Amo riprendere quello che non è composizione, gli sguardi di chi non sa di essere colto, quell’istante che non è apparenza, ma sostanza pura: dolore, rassegnazione, gioia e tutto ciò che può essere spontaneo, compreso gli elementi di disturbo che possono essere corretti con un semplice click restituendo un’immagine pulita, ma non sempre disturbano al punto da essere eliminati, anzi completano l’attimo fuggente. Per questo mio giocoso hobby ringrazio mio figlio Matteo che, vedendomi persa nel fosso, ha saputo incuriosirmi e di conseguenza avvicinarmi alla sua passione primaria.
Vuole tentare un giudizio sullo stato della Cultura nel Ponente Ligure?
Non tento giudizi sullo stato della Cultura nel Ponente Ligure, né di altri luoghi. Potrei soltanto osservare che proponendo le mie presentazioni libro, sento a pelle quasi la paura di quest’ultimo in generale, e ancora di più delle letture. Ma i presenti, pochi oppure tanti che siano, li trovo sempre molto attenti e interessati e questo scalda il cuore.
Quali gli aspetti più simpatici del ligure?
Quale sia l’aspetto più simpatico del ligure non saprei. Per me tutto il mondo è paese, con i suoi pregi e difetti.
Scrittori e poeti preferiti?
E la stessa considerazione posso dire dei poeti, degli scrittori e dei fotografi. Ognuno di loro ha qualcosa di particolare e di apprezzabile.
Da tempo accarezzo il progetto di ...
Non accarezzo un progetto particolare se non quello di riuscire a ricavare qualcosa dai miei libri per devolverlo.
Che cos’è la felicità?
Che cos’è la felicità? La felicità è semplice e fatta di nulla, ma a volte fatico a individuarla perché divento cieca, sorda e mi chiudo a riccio. Lo sono stata felice, ma non lo sapevo ancora. Chissà cosa mi aspettavo? Però la felicità è ovunque, basta scovarla e questo può costare fatica, ma riconoscerla e sentirla esplodere dentro non ha prezzo. Oggi mi basta vedere mio figlio sorridere, sopratutto con gli occhi, e sono felice. E mi sento felice e appagata se sono accolta in un sorriso ricambiato, come pure in un abbraccio.
Oggi … domani …
Oggi è così perché tocco con mano la realtà presente, ovvero quello che c’è, e domani vedrò cosa mi riserva. Preferisco non programmare. Grazie alla vita.
Grazie, Gentile Signora Angela, per aver risposto alle mie domande. Auguro a Lei ed ai Suoi ogni bene ad iniziare da ore sempre serene.
Gian Luigi Bruzzone