Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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Anonimo prete perde il pelo, mai il vizio e pure in ritardo di 35 anni. Quel giorno, se sarà vivo e onesto, mons. Canessa dovrebbe chiedermi scusa. Proposi di riorganizzare le parrocchie


Don Giacomo Martino, rispondendo all’anonimo prete imboscato, racconta della sua esperienza di «Moderatore» di un gruppo di parrocchie (Zona di Oregina-Lagaccio) e centinaia di volontari che coadiuvano, sostituiscono, s’impegnano.


di Paolo Farinella, prete

Giacomo Martino che è monsignore ma tutti chiamano “don” (vedi Il Secolo XIX del 2o15…..)

Un mondo nuovo, previsto dalla Scrittura: «Io creo nuovi cieli e nuova terra; non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente» (Is 65,17), altro che rimpiangerlo: «Le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove» (2Co 5,17). Come scandalizzarsi della Parola di Dio che ci spedisce fino ai confini della terra? «Di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8). Geografia pura.
Leggo sulla «Pravda-Verità» (in russo) della Curia del 20 luglio 2025 a p. 2: «Dalla vita della Diocesi (pretenziosi sempre in curia o in redazione) con occhiello e sottotitolo: «Fraternità di Parrocchie e avvicendamenti di Sacerdoti nel Medio Alto Bisagno e Levante. Progetti pastorali per favorire la presenza della comunità cristiana nei territori». Solo questo titolo e i singoli lemmi meriterebbero una riflessione corposa di un volume di pagine, ma tralasciamo. Spiccano nella pagina della Verità/Pravda n.9 foto di sorridenti preti e qualcuno pure pensoso. Grande stima a loro, grato di chi sono e cosa
fanno, anche a nome mio, in quella porzione di vigna che si chiama «Chiesina di Genova, Zona Oregina».
La lettera dell’anonimo «pusillus», la risposta di don Giacomo Martino e il gaudio della Pravda della Curia di Genova, mi hanno riportato indietro di 35 anni e come in un «Feed-back» cinematografico, ho rivisto volti, luoghi, atteggiamenti e ascoltato parole per concludere: in diocesi gongolano per le «fraternità sacerdotali», più un esperimento
esteriore e abborracciato che non vere fraternità (vero, Vicario Generale?). L’anonimo si lamenta che gli hanno rubato il passato (non specifica se del tempo o di verdura) e io rivedo il film del 1990/’91 come fosse oggi.

Mons. Martino Canessa nato a Genova il 22 luglio 1938, ordinato sacerdote il 29 giugno 1962. Nominato vescovo ausiliare per l’arcidiocesi di Genova ed eletto alla sede titolare di Tigisi di Mauritania il 20 giugno 1989, è stato consacrato vescovo il 9 luglio dello stesso anno dal cardinale Giovanni Canestri. Il motto episcopale di mons. Canessa è In spe fundati. È stato trasferito alla sede di Tortona il 2 febbraio 1996, succedendo a Luigi Bongianino.
Attualmente risiede in Diocesi a Genova e collabora soprattutto nell’amministrazione delle SS. Cresime nelle Parrocchie.

Anno 1990 ca. Vicariato di Prato in Valbisagno, Vicario don Fortuna Ildebrando, coadiuvato da don Luciano Torre e don Vincenzo De Negri di Moranego, poi c’ero io parroco di Calvari (e poi anche Marsiglia e Capenardo di Davagna) e quelli di Rosso, Davagna, Traso, Bargagli e Prato (la Rosata). A una riunione di Vicariato (non ricordo la data, ma era primavera inoltrata), presente il Vicario Generale/Ausiliare, mons. Martino Canessa (vivente), l’OdG era «Organizzazione del Vicariato». Parlò Canessa, Fortuna, e altri. Alla fine del giro, chiesi la parola. Tirai fuori dalla mia
borsa uno scritto di sette pagine e chiesi se potessi leggerlo e sintetizzarlo in corsa d’opera. Tutte le volte che andavo in vicariato, mi preparavo con interventi scritti per rispetto verso gli altri e la serietà di partecipazione. Ancora oggi uso lo stesso metodo (sana tradizione). Contenuto. Non ho più il testo scritto, ma lo lasciai al Vicario con richiesta formale di annetterlo agli atti, a futura memoria. Oggi, a 35 anni, sono io la futura memoria. Grosso modo, dissi quanto segue.
Premessa. Meno di vent’anni ci separano dal II Millennio e già le nostre parrocchie si spopolano. In inverno a Calvari restiamo io e 25 persone anziane con 57 galline, qualche gallo e gatti e cani. In estate scoppiamo di presenze (in tutte e sei le frazioni vi è un aumento del 1.200%) e manca l’acqua. Continuare a gestire le parrocchie come «40 anni fa», è improponibile e citai il card. Marcantonio Maffei (sec. XVI), Vicegerente di Roma, in piena attuazione del Tridentino, che era solito dire: «Camminare coi tempi per arrivare in tempo». Nel XVI secolo! Suggerii alcune proposte concrete:
1. Eliminare le singole parrocchie del vicariato, lasciando magari il nome storico, aggregandole tutte come «Zona Pastorale Territoriale Alta Val Bisagno».
2. Unificare la contabilità (bilancio compreso) di tutte le parrocchie e chiese nella sola parrocchia di Prato, la più attrezzata e strategicamente più idonea. Individuare personale competente per la gestione dell’economia della Zona.
3. Fare in fondo valle (Prato), un presbiterio residenziale per alcuni preti residenti nello stesso posto con condivisone di luogo, vitto, lavanderia ecc. La casa deve restare sempre a disposizione degli altri preti e dei laici e laiche.
4. Il Gruppo ogni lunedì si riunirebbe per programmare la settimana o la quindicina e poi sul piano concordato, sparpagliarsi tra le parrocchie, animando uniformemente chi aveva dato la disponibilità a condividere la gestione pastorale e materiale delle singole parrocchie, tutte rapportate a San Cosma e Damiano di Prato come il fulcro della
«Zona Pastorale Alta Valbisagno». Fare attenzione alle verifiche costanti per valutare progressi e stalli.
5. Dotarsi di uno o più pulmini adeguati a convogliare in Valle (Prato) le attività formative, raccogliendo ragazzi, giovani, adulti e anziani per le altre attività di qualsiasi genere. Studio serio della Bibbia al primo posto.
6. Per alcuni anni, sempre con i pulmini o altri mezzi, fare ruotare le diverse parrocchia nel Centro (Prato) per favorire la conoscenza, gli scambi e la comunione di condivisione.
7. Ogni mese il gruppo dei preti e dei laici coordinatori delle singole parrocchie dovrebbero fare il punto e la verifica delle cose riuscite e dei problemi emersi.
8. Abolire offerte di messe e qualsiasi altra forma di baratto comprese le raccolte «infra Missam», entro un lasso di tempo congruo, e nel frattempo formare, confrontandosi coi residenti, estivi e simpatizzanti, sulla forma migliore per contribuire alla vita materiale, culturale e spirituale delle parrocchie. Suggerire e discutere di un contributo
mensile, secondo le proprie possibilità sul Conto corrente dell’«Unità Pastorale Alta Valbisagno». Qui «tutto deve essere gratuito, nessuno può comprare Dio e nessuno può venderlo», ma tutti possono collaborare al mantenimento e gestione dei monumenti dei nostri antenati, alle attività per bambini, ragazzi, giovani, anziani e adulti, con bilanci
controllati dai laici e pubblicati sempre, periodicamente e, per intero, alla fine dell’anno con discussione pubblica.
9. Aggiunsi altre cose, ma, all’improvviso si alzò… Mons. Martino Canessa, rosso cardinalizio in volto, e, battendo il pungo sul tavolo (era a capotavola, dalla parte
dell’ingresso, io ero in diagonale a lui alla parte estrema del tavolo, lato destro. Quando si dice che le mappe cognitive episcopali, che si formano nei primi tre anni di vita, si sono bruciati per carenze gravi di affettività. Cogitato, restando in piedi e puntando l’indice contro di me, disse: «Non vorrai, per caso, insegnare il mestiere al Vescovo? Tutto quello che hai detto fino ad ora è di esclusiva competenza del Vescovo, soggetto al Codice di Diritto Canonico e nemmeno lui può fare di testa sua [vero, cf CJC, can. 515 §2; can. 517 §1]. Cosa sono queste velleità di abolire le parrocchie e creare «L’unità
pastorale» con convivenza dei preti. Non siamo un convento, noi siamo preti diocesani». Appena finì di parlare, liberatosi dal rospo e dalla rana che aveva «in corpore episcopali», risposi: «Bene, contento lei, contenti tutti. Le consegno il testo scritto del mio intervento e pretendo che sia accluso agli atti a futura memoria. La prego di segnarsi sull’agenda che oggi la preavverto: non passeranno 30 anni che la diocesi sarà costretta dalla realtà a fare peggio di quello che oggi ho esposto, ma sarà troppo tardi. Una cosa è arrivare per scelta e con convinzione, altra cosa è essere costretti dalla storia, o peggio,
dall’emergenza, a fare quello che avremmo dovuto scegliere molto, ma molto prima. Quel giorno, se sarà vivo e onesto, dovrebbe venire a chiedermi scusa». Consegnai i fogli che mons. Canessa prese e io rimasi zitto in un silenzio più assoluto.
Don Fortuna spezzò l’incantesimo, invitando tutti a preparare il tavolo per il pranzo. Il testo mio scritto da qualche parte della Curia deve esserci ancora e se qualcuno lo tirasse fuori, forse, farebbe anche un servizio «pastorale».
La reazione «abnorme» del Vicario/ausiliare mi fece pensare allora, e confermo anche oggi, che i preti non hanno il senso della storia e della tradizione che si evolve sempre, perché anaffettivi. Sono spaventati dai cambiamenti che, però, vorrebbero gestire, mantenendone il controllo di autorità, senza della quale si sentirebbero sminuiti e spogliati. I laici, che lavorano o collaborano in Curia, come nelle parrocchie, si clericalizzano subito, per osmosi, per cui finiscono per svolgere un ruolo di «chierichetti cresciuti», ma nulla di più. Basti pensare che tutti gli organi pastorali dove la presenza dei laici dovrebbe essere robusta e costruttiva, sono tutti «consultivi», cioè, i laici discutono e il parroco/vescovo decide. Per cinque anni mi sono rifiutato di fare firmare il Consuntivo economico per rispetto alla professionalità e competenza di persone
serie, scrivendo prima della mia firma: «I Membri del CPAE di San Torpete non firmano, finché lo stesso non sia «deliberativo/obbligatorio. Lo esige il rispetto e la stima di professionisti e competenti nelle loro materie che, invece la Chiesa mortifica».

Il card. Canestri, un anno prima di andare via mi chiese di farli firmare, in attesa che i tempi cambino. Gli ubbidii per lui come persona che stimavo e che mi stimava, essendo venuto a trovarmi personalmente sette volte in cinque anni e donando, ogni volta, una cospicua somma di denaro per i minori affidatemi dal tribunale o per gli etilisti e
tossicodipendenti in cura nella Casa di Accoglienza e la Coop. Lunanuova di Calvari di Davagna.

Il card. Carlo Maria Martini, alla fine del suo pellegrinaggio si è ritirato a Gerusalemme, sconsolato che la Chiesa fosse «indietro di duecento anni», dedicando gli ultimi anni «a pregare per la Chiesa», davanti al Santo Sepolcro di Gerusalemme.
Forse sono sempre stato «fuori tempo massimo» perché vivo di prolessi, per cui corro e vado avanti dove altri non oserebbero nemmeno affacciarsi. Poiché non ho paura né di Dio (se è Padre, troveremo un accordo o litigheremo), ma preferisco essere sfasato e fuori «tempo massimo o minimo» che essere del tutto fuori del tempo, avendo, in aggiunta, perso 35 anni. Ne valeva la pena? Mai letto la condanna? «Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito» (Lc 11,52). Mai castrare chi ha
idee future, ancora inesplorate perché forse vede più lontano, forse è un bluff; basta sperimentare per sapere. Il tempo è sempre galantuomo.
Oggi non gioisco, ma sono rammaricato, perché se ieri avessimo fatto ciò che fu detto negli anni ’90 del secolo scorso (poteva essere la qualunque a proporlo, non necessariamente io), oggi non saremmo qui a lambiccare candele, incensieri e a gioire perché, con almeno 35 anni di ritardo, abbiamo scoperto l’acqua fredda. Siamo solo in ritardo irrecuperabile. Possiamo mettere pezze, ma sappiamo che sui vestiti vecchi e stantii, fanno solo danno e nulla più: si perdono entrambi (cf Mc 2,21). Lo Spirito soffia e non aspetta noi; a noi resta la quasi certezza che passi, bussi e passi invano lui,
mentre affoghiamo nell’isolamento, certi di avere corso inutilmente e a vuoto (cf Ap 3,20 e Gl 2,2).

I «kairòi del regno» passano sempre all’ora e al tempo giusto, ma come i treni svizzeri, non attendono i ritardatari. È sempre meglio peccare per eccesso che per grettezza: nel primo caso c’è voglia di vita e di osare, nel secondo solo povertà interiore e paura di sbagliare, restando asserragliati nel terrore di ogni cosa e di ogni persona, per finire ad avere paura del vescovo e anche di Dio. Non è terribile? Per me, sì!
A tutti un abbraccio libero e liberante, senza ansia e senza angoscia di anime perse.
Paolo Farinella, prete, che si firma.


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P. Farinella

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