L’industria ligure è sempre stata molto presente nel settore degli armamenti: a Sestri Ponente risiede la sede strategica di Leonardo, a La Spezia l’ex-Termomeccanica ha rappresentato un punto di riferimento di questo comparto a livello nazionale, internazionale e storicamente si è registrata la presenza dell’Arsenale, fin dall’Unità d’Italia elemento fondamentale di sviluppo della Città.
di Franco Astengo

Alcuni recenti avvenimenti hanno posto il tema della riconversione verso il militare anche nell’area del savonese: con l’acquisizione della Piaggio (Sestri Ponente e Villanova) da parte dei turchi della Baykar fabbricanti di droni d’attacco militare e di aerei da caccia senza pilota. Scelta che pone la Piaggio in prima linea sul fronte dell’industria militare.
Il tema è tornato di strettissima attualità dopo la visita di Erdogan in Italia del 29 aprile: le voci che circolavano circa un’intesa tra Baykar e Leonardo si sono concretizzate: assieme costruiranno droni d’attacco che rappresentano il “core businnes” dell’azienda di famiglia del dittatore turco.
Ricordato doverosamente che la Turchia è un paese a “democratura molto limitata” impegnata su due delicatissimi fronti di guerra come Siria e Libia, membro della NATO nel cui ambito dispone del secondo esercito come potenza complessiva dopo quello USA e fornitrice di tecnologia per entrambe le contendenti della guerra russo-ucraina (sempre ricordando che il conflitto è stato provocato dall’invasione russa nel 2023 quale strascico drammatico della guerra a bassa intensità in corso dal 2014 nel Donbass). Torniamo alla situazione italiana, ligure, savonese.
IL CONTESTO DELLA CRESCITA DELL’INDUSTRIA MILITARE- Lo sbilanciamento dell’industria militare italiana si sta verificando in un Paese privo di progetto industriale che la privatizzazione dell’IRI ha lasciato scoperto in settori strategici, con una ridotta capacità manifatturiera e di autonomia tecnologica come dimostrano gli indicatori di produzione industriale, dipendente comunque sul terreno della comunicazione al di là degli eventuali accordi con Starlink, ovviamente dipendente nel campo dell’utilizzo dell’AI, ai margini del quadro europeo e sottoposto ad una duplice incognita: quella della privatizzazione del settore (a partire dal comparto della comunicazione) e quella del ruolo degli Stati e -ancora-della combinazione tra Privato e Governi come ben si evidenzia nel caso Trump-Musk di grandissima attualità.
Nella corsa al riarmo sicuramente si verificherà uno spostamento di risorse arretrando il procedere delle due grandi transizioni quella ecologica (verso la quale si profila un combinato-disposto: crisi energetica/esigenze militari) e quella digitale mentre il black-out spagnolo ci fa sottolineare ancora una volta la question energetica. Questo fatto inciderà, a livello europeo, sul Recovery Fund che l’Italia sta faticosamente tentando di tradurre nel PNRR. Situazione internazionale e spostamento di risorse interne incideranno sicuramente anche su altre filiere produttive prima fra tutte quella agroalimentare (ricordate il Pertini del “si svuotino gli arsenali e si riempano i granai”: la storia del rapporto burro/cannoni è sempre stata strettamente correlata);
IL DIBATTITO SULLA “DIFESA EUROPEA” E IL PIANO VON DER LAYEN- Sullo slancio del riarmo della Germania è stata rilanciata l’ipotesi del cosiddetto “esercito europeo”: tela che non è stato certamente affrontato con il recente voto del Parlamento Europeo sul cosiddetto “piano Von der Layen” che prevede il riarmo dei singoli stati. Attorno a questa idea sorgono questioni molto complesse, prima fra tutte quella riguardante il controllo politico di questo ipotetico nucleo di forza armata in una situazione nella quale l’UE continua a soffrire di un forte “deficit democratico”. Sorgerebbe anche un problema non facilmente risolvibile di equilibrio tra la costruzione di questa ipotetica “difesa europea” e il mantenimento degli eserciti nazionali (tenuto conto anche della presenza nell’Unione di diversi Paesi governati da “democrature”).
Sullo sfondo ancora il tema del nucleare che rimane nella disponibilità della sola Francia (e della Gran Bretagna, in un quadro di alleanze asimmetriche, fuori dal perimetro UE).
L’idea della necessità di accelerare la corsa al riarmo si tradurrà probabilmente in una crescita di profitti per i giganti del settore con relativa concentrazione di profitti e di intelligenza tecnologica.
In un suo rapporto l’ “European network against arms trade” fa notare come i giganti dell’industria bellica di Francia, Germania, Italia, Spagna trattengono il 70% dei fondi UE del settore e coordinano il 68% dei progetti.
Il fondo per la difesa europea 2021-2027 ha una dotazione di 8 miliardi ( i primi programmi a partire dal 2009, trattato di Lisbona, non arrivavano al miliardo) “per ricerca e sviluppo di prodotti militari”.
Il report di Enaat su “come l’UE sta alimentando una corsa agli armamenti” prende in esame i progetti pilota: 90 milioni dell’ azione preparatoria per la ricerca sulla difesa (Padr) e il mezzo miliardo del programma per lo sviluppo industriale della difesa (Edidp).
I principali beneficiari sono Leonardo (23,6 milioni) la spagnola Indra (22,8) e la francese Safran (22,3). Se si considerano anche le aziende sussidiarie, Leonardo, Thales (francese) e la multinazionale Airbus ricevono altre cifre molto importanti: Leonardo 29 milioni.
Il sistema è fatto per favorire pochi colossi privati raggrumando anche la proprietà intellettuale: lo spazio di difesa europea (nonostante la sbandierata roboante cifra degli 800 miliardi tutta da verificare) nasce quindi in una situazione di deficit democratico e di concentrazione di risorse economiche e di “know-how”.
LE SCELTE DELLA ATTUALE GIUNTA REGIONALE LIGURE- La vicenda ligure si inquadra così in questo contesto di carattere generale e l’ipotesi di riconversione verso l’industria bellica si accompagna anche al tema del nucleare.
Qualche tempo fa il presidente della Regione Liguria, Marco Bucci, ha dichiarato di guardare abbiamo guardato alle potenzialità che in Liguria «si possa realizzare, a breve, un reattore nucleare di nuova generazione». L’occasione è stata quella di un confronto con il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso a margine di una visita allo stabilimento di Piaggio Aerospace a Villanova d’Albenga (Savona). «Abbiamo discusso – ha proseguito – dello sviluppo del nucleare di terza generazione avanzata e di quarta generazione, cioè il nucleare di piccola dimensione, realizzato su base industriale, adattabile e componibile e trasportabile anche in un container, per quella che sarà, sicuramente in Italia e in Europa, la tecnologia più avanzata, pulita e sicura per darci energia a un costo più basso e continuativo. E soprattutto per garantire l’autonomia energetica» del nostro Pese e dell’Ue.” Una dichiarazione che lascia pesanti interrogativi, a parte quello che può essere definito un eccesso di ottimismo nella valutazione al riguardo della tecnologia nucleare di piccola dimensione:
1) Quale modello di sviluppo si prevede per la nostra regione ?
2) Come si concilia la velleità di crescita turistica – in particolare nel Ponente – con la presenza assieme di un reattore nucleare e di una fabbrica come la Piaggio di proprietà turca (con dirette interessenze del governo turco e di conseguenza delle sua esigenze geopolitiche, in particolare sullo scacchiere mediorientale) trasformata in una fabbrica d’armi (droni d’attacco e aerei senza pilota) con previsione di intrecci con Leonardo, sede strategica a Sestri Ponente ?
3) Quale prezzo di servitù territoriale dovrà pagare la Liguria al feticcio dell’approvvigionamento energetico considerato che rimane ancora in ballo non risolta la questione del rigassificatore da spostare da Piombino alla rada di Savona – , mentre si parla di raddoppiare la presenza di una struttura del genere in quel di La Spezia ? Domande per una prospettiva incerta per una Liguria che presenta evidenti deficit sul piano infrastrutturale, con l’area centrale dopo la desertificazione industriale ha lasciato aree dismesse di grande importanza tutte da recuperare e che potrebbe rappresentare la base per un rinnovamento produttivo di modello diverso dal combinato disposto armi/nucleare, grandi opere da completare per quel che riguarda il porto di Genova e molte altre problematiche di complessa definizione. prima fra tutte quella occupazionale, sia dal punto di vista qualitativo sia quantitativo. Insomma: ce n’è abbastanza per aprire un confronto di metodo e di merito sul futuro di questa martoriata regione, partendo dalle scelte da compiere per il Comune di Genova dove si voterà in primavera.
Ci troviamo in una situazione di pieno rispetto della tradizione storica dell’opacità che ha sempre riguardato il complesso del “militare” e delle logiche di guerra da sempre gestite da soggetti e in dimensioni ai margini della democrazia.
LA SITUAZIONE NEL SAVONESE- Nella provincia di Savona registriamo da molti mesi una grandissima attenzione da parte dell’opinione pubblica sul tema, cui si faceva già cenno, della nave-rigassificatore che non si vorrebbe spostata da Piombino a Vado Ligure: attenzione giusta (tra l’altro il tema riguarda l’altro punto nodale della prospettiva di sviluppo: dal militare all’energetico e relative dipendenze) ma che dovrebbe essere accompagnata da eguale impegno e attenzione al riguardo delle prospettive dell’industria. Un’industria soggetta nel tempo ad un processo di arretramento strutturale che ha lasciato anche profonde ferite non solo sul piano economico ma anche dell’uso del territorio come nel caso della Val Bormida, al riguardo della quale non può non essere rimarcato ancora una volta l’esito deficitario del decreto di crisi industriale complessa emanato ormai quasi dieci anni fa (2016) senza che si sia registrato quello che avrebbe dovuto rappresentare un progresso sostanziale: quella della messa a disposizione di aree utilizzabili per un progetto vero di ripresa industriale (pensiamo a Ferrania e ad ACNA, dove il piano di bonifica è rimasto fermo alla recita di un rosario di buone intenzioni).
Un discorso, quello della caduta dell’industria e della identità produttiva, che viene da lontano anche in precedenza degli anni’60 del XX secolo quando si è avviato un processo di dismissione dovuto anche a cause di natura geopolitica soprattutto al riguardo della siderurgia.
La struttura industriale savonese aveva rappresentato in passato punti di eccellenza sviluppatisi proprio nella connessione tra progresso scientifico, applicazioni tecnologiche, capacità produttive se pensiamo come esempi alla Scarpa e Magnano (Gruppo Edison), al Tecnomasio, alla Ferrania. La sottrazione di capacità tecnologiche e di tecnica operativa fu alla causa di una fase, protrattasi ben oltre gli anni’90, che può essere definita come di “arretramento dalla modernità”. Si è così accumulato un ritardo che ha provocato quella vera e propria caduta di identità cui tante volte ci siamo richiamati.
IPOTESI PER UN NUOVO MODELLO DI SVILUPPO- Oggi si tratta di pensare ad una inversione di tendenza verificando la disponibilità dei territori, la capacità di promozione per progetti ad alto livello tecnologico, di uscita dall’isolamento dal punto di vista infrastrutturale.
Il ruolo dell’Università e delle aziende ancora presenti sul territorio dovrà essere compreso in questo disegno per il quale occorre tutto l’impegno delle istituzioni e della società civile. Potrà essere possibile richiamare presenze sul territorio anche attraverso le nuove forme di lavoro cosiddetto “agile” per il quale la nostra realtà presenta condizioni molto favorevoli: ma il “cuore” di una possibile ipotesi di nuovo sviluppo dovrà essere formato da una triade di possibilità:
1) quella tecnologica,
2) quella infrastrutturale,
3) quella del ritorno ad una vera e propria “vocazione territoriale” per lo sviluppo,costruendo progettualità e andando ben oltre a confini limitati nello spazio a singole realtà territoriali.
Tutto questo contrasterebbe con la decisa virata di riconversione verso il militare.
Sul discorso infrastrutturale va tenuto aperto un ulteriore capitolo :la risorsa principale di cui è necessario disporre è quella della realizzazione di infrastrutture in grado di far uscire dall’isolamento la nostra area e velocizzare al massimo la movimentazione.
I collegamenti necessari sono di quattro ordini: ferroviario con il potenziamento sia verso il Nord sia verso Ponente, stradale, aeroportuale , marittimo con la creazione di “autostrade del mare” verso Marsiglia.
Sotto questo aspetto viviamo una condizione di minorità che deve essere prioritariamente affrontata attraverso una sinergia da realizzare tra diversi soggetti con una forte capacità di pressione verso la Regione Liguria alla quale richiedere una capacità di programmazione che tenga conto della complessità di esigenze che arrivano dall’insieme della Liguria non esaurendosi nelle grandi opere del nodo genovese.
Una capacità di programmazione da realizzarsi attraverso un adeguato equilibrio progettuale, cominciando con il non lasciare soli i lavoratori e il sindacato nelle loro lotte quotidiane.
Va attivato un recupero ad uso industriale con attività ad alta densità tecnologica dei siti dismessi (esempio particolare quello di Ferrania).
In questo senso potrebbe essere ricercato un contatto per la realizzazione di sinergie con Genova nel campo dell’hig-tech.
E’ necessario eseguire una accurata ricerca riguardante i siti utilizzabili per insediamenti della piccola industria e dell’artigianato.
E’ evidente che ci troviamo in una forte carenza dal punto di vista infrastrutturale che non può essere colmata con improbabili liste della spesa.
Sono necessari un riassetto e recupero dei centri urbani, nella direzione di nuove tecnologie di risparmio energetico e di isolamento termico.
Serve anche un’operazione di dismissione integrale dell’amianto.
Occorre stabilire un piano certo di finanziarizzazione dei progetti che deve essere parte integrante di un eventuale esito di una vertenza a livello nazionale e regionale.
Soprattutto servirebbe un iter trasparente di coinvolgimento reale del territorio sia sul piano della mobilitazione sia della capacità di proposta imponendo un criterio di reale programmazione: ma questa forse è l’utopia più grande.
Franco Astengo