Tra il dicembre 1999 e l’inizio del 2000, mentre dimoravo a Gerusalemme, «vidi» con chiarezza la necessità indispensabile di un Papa che assumesse il «nome proibito» di Francesco.
di Paolo Farinella, prete
In agosto del 2000, mentre ero a Dublino a studiare, preso da un magnetismo più forte di me, mi sedetti al tavolo della mia stanzetta e mi misi a scrivere sul mio Notebook da viaggio. Per sei giorni consecutivi, senza dormire e senza mangiare. Dimagrii di Kg 15 in una settimana (la dieta non è brevettata, quindi è libera).
Di ritorno a Gerusalemme, mi fermai a Genova: rilessi il testo, lo aggiustai, tolsi le ripetizioni, aggiunsi qualche nota. Lo diedi a un critico severo, mio fratello Calogero, il quale dopo una settimana, mi disse laconicamente: «Come dite voi preti? Imprimatur? Si, Imprimatur!». Consegnai lo scritto al mio amico, grande letterato e giornalista di oro pregiato, Salvatore Giannella, il quale lesse il manoscritto in una notte
e «volle» chiudere la sua casa editrice con il mio romanzo «Habemus Papam, Francesco».
Tornai a Gerusalemme. Dopo 12 anni, mentre ero in cardiologia all’Ospedale Galliera per tre infarti quasi consecutivi, rinnovai la previsione e aggiornai il racconto a Benedetto XVI e a quella sagoma sgualcita di Tarcisio Bertone.
L’anno successivo, il 13 marzo 2013, dal balcone di San Pietro risuonò lo stentoreo cardinalizio «Annuntio vobis… Habemus Papam… nomen Franciscus>.
Non ho mai ringraziato abbastanza Dio del suo arrivo perché in appena 12 anni di prete-papa, ha lasciato tanta «puzza/odore di pecore» da rendere irreversibile il cammino per chiunque venisse dopo di lui. Indietro non si torna più e pace ai tradizionalisti che dovranno farsi un bagno nel fiume Giordano o mettere il sedere a bagnomaria nell’acqua benedetta della Madonna ripiena di Lourdes.
Nell’andirivieni cardinalizio di questi giorni di conclave, due cose mi hanno colpito: i vestiti anacronistici «di porpora e bisso dei palazzi del re» degli eminentissimi e il fatto che non hanno ritegno a dire che il Papa lo elegge lo Spirito Santo. Poveretti, non sanno che lo Spirito è andato alle Settechelles e ci resterà fino a papa fatto (senza malizia). Dicono «Spirito Santo» e intanto manovrano, combriccolano,
sistemano la Chiesa, fanno profili di papi che somigliano solo a chi si auto-profila.
Dio li perdoni, se ne è capace, ma dubito con queste lenze di tre cotte. Staremo a vedere. Chiunque sarà non potrà chiamarsi Francesco che, per un po’ resterà «unico»; spero almeno che si chiami «Giovanni XXIV» per continuare il filo interrotto dalla morte di Francesco che venne per riportare la Chiesa sulla soglia del Concilio represso. Copertina del romanzo con il Francesco di Giotto e il colophon con la data segnata in arancione.
Paolo Farinella, prete
PS. Morto papa Francesco, a leggere Il Cittadino, organo ufficiale della Diocesi di Genova, si fa fatica a credere ai propri occhi: un’apoteosi, lutto dappertutto e messe su messe, tutti i giorni e a tutte le ore «pro defuncto pontifice» e anche «pro eligendo pontifice», ma sì! «Abundantis abundantium» (© Totò). Sono convinto che molti di questi «attivisti» della morte papale pregano per ringraziare Dio che finalmente un «puzzone con l’odore delle pecore» si sia tolto di mezzo e pregano che torni sul «sacro soglio» un bel cardinalozzo d’altri tempi, con scarpette rosse, camauro in testa, clamide imperiale porpora sulle spalle e ermellino scelto sui «sacri òmeri papali». Molti sperano che riprenda il latino, magari il greco e perché no, l’ebraico (se vogliono posso prestare il rito di tutta la messa in ebraico)…