Ci spostiamo in Piemonte per una gita fuori porta, verso un piccolo borgo delle vallate cuneesi: Monterosso Grana, nella omonima Valle Grana.
di Ezio Marinoni
Bisogna coprire una distanza stradale di circa 120 chilometri, utilizzando le autostrade A/6 (Torino – Savona) e A/33 (Asti – Cuneo). Usciti al casello di Cuneo, ci muoviamo in direzione Valle Grana, oltrepassiamo San Defendente e San Rocco, superiamo il torrente Grana che scende a valle e si raggiunge Caraglio.
Lasciata ormai alle nostre spalle la Liguria, siamo passati in poco più di un’ora dal clima di mare al paesaggio che conduce alle montagne; questo viaggio ideale, consigliato a tutti, inizia proprio da Caraglio, la patria dell’aglio (omen nomen!), nota anche per un antico setificio, diventato oggi sede del Museo del Setificio Piemontese (1).
Da qui, in breve tempo, percorrendo la SP 23, attraversiamo il piccolo abitato di Grana ed ecco aprirsi la Valle Grana e delinearsi la nostra meta odierna, Monterosso Grana.
La Valle Grana, in cui opera l’omonima Comunità Montana a protezione dell’ambiente,è un territorio intatto dove si intrecciano storia, natura incontaminata e tradizioni culturali autoctone, con un patrimonio artistico quasi celato dai suoi spazi montani.
Confina con la Valle Stura a sud e la Val Maira a nord, con cui è legata da vincoli storici, geografici e culturali.
La sua estensione va dalle prime propaggini collinari e montane di Cervasca e Bernezzo, fino allo spartiacque del Monte Tibert sull’elevato crinale che abbraccia Castelmagno, con il suo severo e magnifico santuario. Racchiude il territorio di otto Comuni (tre di bassa valle, Bernezzo, Caraglio, Cervasca, e cinque di Alta Valle, Valgrana, Monterosso Grana, Montemale di Cuneo, Pradleves, e Castelmagno): a dominare l’alta valle è il già nominato Santuario di San Magno, le cui origini risalgono ad età precristiane, un luogo che funge da cerniera con le valli vicine.
Monterosso Grana è meta della nostra gita. All’ingresso del paese incontriamo, sulla sinistra, la Cappella di San Sebastiano, risalente al XV secolo, appena restaurata grazie all’importante contributo della Fondazione C.R.C. (ex Cassa di Risparmio di Cuneo), della Sovraintendenza dei Beni Culturali e del Comune di Monterosso Grana; un restauro fortemente voluto dal Sindaco Stefano Isaia. L’esterno disadorno non corrisponde alla conformazione antica e al ciclo pittorico interno, opera di Pietro da Saluzzo (2), attribuito alla fase giovanile del pittore, intorno al 1470. Egli è un pittore misterioso, di cui abbiamo poche notizie Dalla volta a crociera ci osservano i quattro Evangelisti;sulla parete di destra vi sono le scene del martirio di San Sebastiano trafitto e percosso dagli sgherri; la sua decapitazione e il trasporto della sua anima in cielo.
A lato della cappella parte il sentiero del mitico “Sarvanòt” (3), ma questa è un’altra storia, fra mito e racconti popolari che ancora aleggiano nelle valli alpine piemontesi. Può essere un altro viaggio avventuroso attraverso sentieri nei boschi, tenuti puliti da un gruppo di volontari del paese, per arrivare al paese del “Babaciu” (4), figure figlie di una moderna fantasia e mitologia, di cui non diciamo nulla per solleticare la curiosità dei lettori e invitarli a salire in Valle Grana.
Aggiungiamo qualche chicca storica e artistica, prima di raggiungere la vera destinazione del nostro viaggio, il presepe sull’acqua.
Intorno al 1286 il Marchese di Saluzzo fa costruire un castello poco distante dal concentrico, di cui oggi sopravvive il rudere della cosiddetta “Torre di vedetta”. A poca distanza, sull’opposta riva del torrente Grana, sorge il Castello dei Conti di Monterosso, risalente al Seicento; nel suo cortile è murato un frammento di lapide romana del II secolo.
Nella chiesa di San Pietro si conserva un fonte battesimale, risalente al 1456. opera dei fratelli Zabreri (5), autori anche del misterioso fonte battesimale all’interno della chiesa di Santa maria Assunta di Elva, in Val Maira.
Il presepe, dunque. Domenica 8 dicembre 2024 alle ore 20,30 sul ponte del Grana nel centro storico, si è svolta l’accensione delle luci del presepe sull’acqua; per chi non li ha visti sinora, i presepi sull’acqua del Grana resteranno esposti fino al prossimo 15 gennaio, anche nelle borgate di San Pietro, Istiria, Santa Lucia, Frise e Saretto: luoghi da scoprire, uno ad uno, con gli occhi innocenti dei bambini e l’animo sospeso davanti alla magia di queste immagini.
Venerdì 3 gennaio 2025, alle ore 20,30, presso la chiesa di San Giacomo si svolge la “Sagra dei pastori del Bourgat” alla riscoperta delle nostre tradizioni, con Renato Lombardo.
Entrambi gli eventi saranno accompagnati dalla musica della “Banda di Bernezzo” e dei giovani della scuola di musica “Bruno Delfino”.
Nonostante il clima freddo dell’inverno montano, si può anche trascorrere un week-end fra boschi verdi e vette innevate, dove lo sguardo si perde sino all’infinito.
Il prodotto alimentare più famoso della vallata è il formaggio Castelmagno; considerato il Re dei formaggi piemontesi, deve il suo nome al Comune o alla valle in cui viene prodotto. Vanta origini molto antiche: il primo documento ufficiale a registrarne l’esistenza è una sentenza arbitrale del 1277.
Tra i piatti tipici di Monterosso Grana potrete gustare gnocchi al Castelmagno, la patata piatlin-a (una rarità da scoprire), la patata ciarda a buccia rossa e la torta matta, una torta salate a base di patate locali.
Per poter gustare l’apertura del Santuario di San Magno, costruito a 1760 metri, bisognerà attendere l’estate. Sorge in un’area anticamente dedicata al culto di Marte, in passato fungeva da ospizio per i viandanti in transito dalla valle Grana alla Valle Stura; il complesso comprende una parte sette – ottocentesca ed una più antica. Vi si possono ammirare altri affreschi quattrocenteschi di Pietro da Saluzzo, aventi per soggetto gli evangelisti e i dottori della Chiesa, e quelli raffiguranti la Passione di Cristo e i sette santi martiri tebei. Il Santuario è aperto tutte le domeniche e nei giorni festivi da giugno a settembre; tutti i giorni nei mesi di luglio e agosto, dalle 7.30 alle 12.25 e dalle 14.00 alle 19.00.
Volete un consiglio? Vale veramente la pena di organizzare una gita fuori porta e vedere tutto questo!
Buon viaggio, dunque, e buon anno a tutti i turisti, curiosi e viaggiatori liguri e savonesi. Ringrazio per le foto e i suggerimenti la signora Giuliana Peluffo.
Ezio Marinoni
Note
1.Costruito tra il 1676 e il 1678 per iniziativa del Conte Giovanni Girolamo Galleani, è uno dei primi impianti di produzione della seta nel Ducato di Savoia e in Europa. Ospitava tutta la filiera produttiva del filato, dalla coltivazione dei gelsi nelle campagne circostanti per l’allevamento dei bachi da seta alla lavorazione ed alla realizzazione del prodotto finito, diventando il capostipite insieme al coevo impianto di Venaria Reale (TO) e di un sistema di filande sorte in seguito in Piemonte. Dopo un lungo abbandono e degrado, nel 1999 è stato acquisito dal Comune di Caraglio e, dopo un accurato restauro, oggi ospita il Museo del Setificio Piemontese ed eventi culturali di riferimento per il territorio. È considerato uno degli insediamenti industriali conservati più antichi d’Europa.
2.Pietro da Saluzzo. Non si conosce la data esatta della nascita di Pietro, avvenuta a Saluzzo, in seno alla famiglia dei pittori Pocapaglia, di cui si hanno notizie dal XIV secolo. Il corpus di opere riferite a Pietro, già “Maestro di Villar”, di sole pitture murali, va dal 1438, data dal Transito della Vergine in S. Maria degli Alteni a Centallo, fino al 1480.
3.Sarvanòt è il nome che la tradizione orale attribuisce ad un personaggio difficilmente definibile, che nell’immaginario era piccolo, brutto e peloso, aveva piedi caprini, era dotato
di intelligenza pronta e vivace, più degli uomini, allegro e chiassoso, a volte dispettoso ma non cattivo. Buttava a terra i panni stesi, scambiava il sale con lo zucchero, si introduceva nelle stalle
per far confusione con le catene delle mucche. Il suo umore era influenzato dal tempo atmosferico:
se pioveva era contento, quando tirava vento piangeva. Amava vestirsi con indumenti coloratissimi che lo rendevano visibile anche a distanza. Abitava gli anfratti della roccia o basse caverne che sarebbero la causa della sua piccola statura.
4.Si tratta di pupazzi in fieno sorretti da una rete metallica quasi invisibile a grandezza naturale e vestiti con abiti antichi, a simboleggiare la cultura montana dei secoli scorsi.
5.I fratelli Zabreri, Stefano, Costanzo e Maurizio sono nati a Pagliero di San Damiano Macra (l’antico nome della Valle Maira), in una data imprecisata del XV secolo. Essi sono stati scalpellini e scultori che nella seconda metà del Quattrocento aprono un’officina di arredi lapidei per le chiese delle vallate alpine e nei centri di pianura del Cuneese.