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La politica non è una cosa brutta: è un impegno di umanità. Giorgio La Pira e Pio La Torre. Una bussola per orientarsi nel misero pelago dell’oggi


La politica non è una cosa brutta: è un impegno di umanità. Giorgio La Pira e Pio La Torre, due siciliani che credevano nell’impegno politico come edificazione di civiltà e di pace: una bussola per orientarsi nel misero pelago dell’oggi. “La lotta alla criminalità organizzata è molto difficile perchè la criminalità è organizzata, ma noi no”. (Pio La Torre).

 di Gianfranco Barcella

Giorgio La Pira ‘servo di Dio’

Giorgio La Pira, uomo di ardente fede, profeta di pace, padre costituente, è stato un mistico prestato alla politica, di cui il 9 Gennaio 2024 sono ricorsi i 120 dalla nascita, a Pozzallo, in provincia di Ragusa, nel sud della Sicilia. Nel luglio 2018, Papa Francesco ha concesso l’autorizzazione alla Congregazione delle cause dei santi per promulgare il decreto sulle sue virtù eroiche di servo di Dio. I testi pubblicati nelle pagine del volume Fede, politica e profezia (in Dialogo) a cura di Alberto Mattioli, tracciano idealmente il suo percorso umano, religioso e politico. In un XXI secolo, dominato dalle guerre, anche in Europa, i suoi interrogativi e le sue prospettive assumono un interesse nuovo. L’attualità e la forza della sua testimonianza sono un’utile bussola per tutti coloro che hanno bisogno di orientamento per la propria vita personale e di cittadini.

Il 28 giugno 1952, intervenendo al Convegno internazionale sul tema : “Civiltà e pace”, il Nostro affermava: Noi l’abbiamo sempre  detto: l’edificio della pace esige, anzitutto, la pace dei popoli con Dio. Ecco perché è una premessa negativa ed un ostacolo di immensa portata, il fatto che alcuni Stati facciano dell’ateismo la loro struttura culturale esclusiva e come finalità fondamentale della loro stessa esistenza. Questo non è un punto accessorio dell’edificio della pace: è il fondamento medesimo su cui esso si erige”.

Per La Pira, l’edificazione della pace passava dalle città: “Ogni città racchiude in sé una vocazione e un mistero: voi lo sapete: ognuna di esse è nel tempo una immagine lontana ma vera della città eterna. Amatela, quindi, come si ama la casa comune, destinata a noi ed ai nostri figli. Custoditene le piazze, i giardini, le strade, le scuole; (….) fate che il volto di questa vostra città sia sempre sereno e pulito. Fate, soprattutto, di essa lo strumento efficace della vostra vita associata; sentitevi, attraverso di essa, membri di una stessa famiglia; non vi siano tra voi divisioni essenziali che turbino la pace, l’amicizia, la cristiana fraternità fioriscano in questa città vostra come fiorisce l’ulivo a primavera!”

Da giovane La Pira venne affascinato da Gabriele D’Annunzio e Tommaso Marinetti per i loro ideali di cambiamento. Lesse molto e si avvicinò ad altre esperienze, condividendole con il gruppo di giovani amici di cui facevano parte anche il poeta Salvatore Quasimodo e Salvatore Pugliatti, giurista e futuro rettore dell’Università degli Studi di Messina. Poi un giorno rimase fortamente colpito dall’ascolto di un coro di suore e si avvicinò al cattolicesimo convertendosi definitivamente in occasione della Pasqua del 1924, data segnata in calce sul suo Digesto, strumento di lavoro quotidiano per un docente di Diritto Romano.

Giorgio La Pira è stato, tra l’altro, un apprezzato docente di Diritto Romano, fra i più attivi legislatori all’Assemblea Costituente per la Democrazia Cristiana, e tra i principali artefici della Carta Costituzionale contribuendo alla formulazione dei suoi principi fondamentali. Da docente attento e sensibile al bene dei discepoli riunì intorno a sé un gruppo di giovani cattolici in un’associazione denominata Ut unum sint, che confluì nel Pio Sodalizio dei Missionari della Regalità di Cristo, fondato da Padre Agostino Gemelli. Ciò confermò la sua vocazione allo stato celibatario, rimanendo legato alla vita universitaria. Seguì l’istituzione della <Messa dei Poveri>, nel 1934, nell’antica chiesa di San Procolo. Tale iniziativa venne legata alle conferenze di San Vincenzo, di cui il servo di Dio fu promotore spirituale e materiale.

Il suo impegno culturale e pastorale si manifestò anche attraverso gli scritti come l’opera<il valore della persona umana>, ispirata al pensiero di San Tommaso d’Aquino (di cui fu uno profondo studioso) che considerò come guida per la sua vita spirituale. Ricercato  dai nazifascisti, nel 1943, si rifugiò prima a Siena e poi a Roma. Tornò a Firenze nel 1944 e fu nominato Presidente dell’Ente Comunale di Assistenza (ECA) in favore dei poveri.

La Pira sentiva che la sua vocazione alla promozione sociale  doveva esplicarsi  nell’azione politica. A tal proposito, La Pira ebbe a dire: “ Non si dica quella solita frase poco seria: la politica è una cosa <brutta>! No: l’impegno politico – cioè l’impegno diretto alla costruzione cristianamente ispirata della società in tutti i suoi ordinamenti a cominciare dall’economico, è un impegno di umanità e santità”.

Nel 18 Aprile 1948 si presentò come candidato alle prime elezioni politiche nell’Italia Libera,  dopo essere stato eletto deputato, nel 1946  all’Assemblea Costituente, ed aver formulato con Moro, Dossetti, Basso, Calamandrei, Togliatti i principi fondamentali della Costituzione della Repubblica, affermando le libertà civili e religiose, il diritto al lavoro, la tutela del valore della persona umana e venne eletto nuovamente alla Camera dei Deputati, nominato poi Sottosegretario del Ministero del Lavoro. Richiamandosi all’analisi keynesiana, La Pira sottolineava:” Bisogna che lo Stato intervenga direttamente con un piano organico di investimenti capaci di operare, a scadenze determinate, in graduale assorbimento della manodopera disoccupata: questi <massicci> investimenti costituiscono, del resto, uno stimolo efficacissimo per gli investimenti privati”.

Si dimise nel 1950 dal Governo, insieme ad altri componenti del gruppo dossettiano, per contrasti sul programma economico delle riforme. L’anno successivo, fu eletto Sindaco di Firenze. Iniziò un rapporto, epistolare  con le Claustrali per assicurarsi il loro sostegno spirituale e subito si adoperò per creare nuovi alloggi. Da subito comprese l’importanza di una presenza laica, politica e sociale nel mondo, accanto agli ultimi, ai poveri, ai tanti orizzonti che avevano necessità di una presenza fattiva, di speranza solida e concreta che portasse il messaggio del Vangelo nella storicità di ogni giorno.

La concretezza, insomma, non si vede nei gesti eclatanti e nei grandi trasporti, ma come indicava La Pira, nei piccoli gesti della quotidianità. A tal proposito ricordiamo ancora che La Pira appena arrivato a Firenze nel 1934 dopo aver vinto la cattedra universitaria, mette in atto la Mensa di San Procolo; un primo segno visibile e concreto dell’impegno fattivo del cristiano nel soddisfare i bisogni dell’ultimo. E’ una distribuzione di cibo che accompagna pochi viveri all’Eucarestia nel tempo della grande crisi economica degli Anni ‘30, a cui affianca pure la lettura di un foglietto da distribuire sui grandi valori del Cristianesimo, ma anche sui grandi valori sociali che fanno una comunità davvero inclusa.

Pio La Torre: il suo impegno politico iniziò con l’iscrizione al Partito Comunista

Pio La Torre potrebbe essere definito il contraltare laico di Giorgio La Pira, sempre fedele ai suoi ideali di giustizia sociale, difensore dei diritti del più deboli e dei bisognosi, contro lo sfruttamento dei ricchissimi proprietari terrieri e sostenitore delle lotte dei braccianti siciliani che chiedevano di poter coltivare la terra per sfamare i propri figli. Anch’egli siciliano d.o.c., nacque ad Altarello di Baida, una borgata di Palermo, la vigilia di Natale del 1927 e crebbe insieme a cinque fratelli in una famiglia di poveri contadini, senza acqua e luce elettrica in casa. Il suo impegno politico comincia con l’iscrizione al Partito Comunista nell’autunno del 1945 e la costituzione di una sezione del partito nella sua borgata, la prima delle tante che contribuisce ad aprire anche nelle borgate vicine.

Il periodo tra il 1945 e il 1950 è caratterizzato dalla lotta per l’effettiva applicazione dei decreti Gullo, provvedimenti legislativi emanati dall’allora ministro dell’Agricoltura del governo Badoglio che garantivano ai contadini maggiori diritti e più terre da coltivare. Nel 1947 diventa funzionario della Federterra e successivamente responsabile giovanile della CGIL e del P.C.I. In quel periodo lancia lo slogan <la terra a tutti>. La protesta, messa in atto dai braccianti, e guidata sempre dal Nostro, prevedeva la confisca delle terre incolte o mal coltivate e l’assegnazione in parti uguali a tutti i contadini che ne avessero avuto bisogno. Il progetto prevedeva che i contadini di dodici paesi (Corleone, Campofiorito, Contessa Entellina, Valledolmo, Castellana Sicula, Polizzi, alcune borgate di Petralia Soprana e di Petralia Sottana, Alia, S. Giuseppe Iato, S.Cipirello, Piana degli Albanesi) confluissero a Corleone da dove, la mattina di domenica 13 novembre 1949 sarebbero partiti una serie di cortei che avrebbero occupato e preso possesso di tutte le terre censite come incolte e mal coltivate.

Parteciparono quasi seimila persone che all’alba della domenica partirono da Corleone e si diressero verso i feudi da occupare, tra questi anche quello di Luciano Liggio. Dopo la strage di Melissa, la Polizia aveva qualche remora ad intervenire, così l’occupazione continuò per molti giorni, sviluppandosi anche nei comuni fuori Palermo.

Il governo, viste le dimensioni che la rivolta aveva assunto, decise allora di tentare la via della repressione, arrestando alcuni dirigenti sindacali e braccianti agricoli e scatenando scontri, il più grave dei quali a San Cipirello, portò in carcere diciotto persone. L’occupazione comunque ebbe successo e quasi tremila ettari di terreno vennero coltivati a grano. La <pausa invernale> dovuta all’attesa dei frutti della semina servì a La Torre ed al partito per organizzare le lotte primaverili, quando si sarebbe dovuto lottare per conservare il diritto di raccolta sugli ettari seminati in autunno e rivendicati dai proprietari agrari.

La data fissata per la ripresa della lotta fu il 6 marzo 1950. L’obiettivo era quello di far ottenere alle cooperative dei contadini l’assegnazione dei tremila ettari occupati, e non come aveva proposto l’allora prefetto di Palermo, Angelo Vicari, di affidare ai contadini altri tremila ettari, scelti dai proprietari, mentre quelli occupati, compresi il loro raccolto, sarebbero stati restituiti ai proprietari terrerieri.

Il 10 marzo 1950 il movimento dei contadini è a Bisacquino dove si prevedeva di occupare i quasi due mila ettari di terreno del feudo Santa Maria del Bosco. Pio La Torre è alla testa del corteo, lungo quasi cinque chilometri e formato da circa seimila persone. Arrivati sul feudo si procedette all’assegnazione di un ettaro di terreno a testa, fissando i limiti di divisione. Sul calar della sera, quando i contadini stanno percorrendo la strada che doveva riportarli alle loro case, vengono circondati dalle forze di polizia, inviate dal prefetto Vicari. La Torre cerca di convincere il commissario Panico, a capo degli agenti di desistere dalla repressione, ma questi ordina di strappare ogni bandiera e vessillo dalle mani dei contadini; ne nasce una sassaiola e a quel punto il commissario Panico ordina di sparare; molti braccianti vengono colpiti e La Torre venne arrestato e condotto in carcere, dove resterà dall’11 Marzo 1950 al 23 agosto 1951.

Appena liberato continuerà con sempre maggior vigore ed impegno politico la sua lotta per la giustizia sociale arrivando a ricoprire la carica di consigliere del P.C.I. al Consiglio comunale di Palermo, poi quella di consigliere regionale e di parlamentare per tre legislature, facendo parte delle Commissioni Bilancio e Programmazione Agricoltura e Foreste, della Commissione Parlamentare per l’esercizio dei poteri di controllo sulla programmazione e sull’attuazione degli interventi ordinari e straordinari nel Mezzogiorno ma soprattutto nella commissione Antimafia.

La Torre, insieme al giudice Cesare Terranova, redasse e sottoscrisse come primo firmatario, la relazione di minoranza che metteva in luce i legami tra la mafia e importanti uomini politici, in particolare della Democrazia Cristiana. Alla relazione aggiunse la proposta di legge: “Disposizioni contro la mafia”, tesa ad integrare la legge 575/1965 e ad introdurre un nuovo articolo nel codice penale: il 416 bis.  La legge n. 464 del 13 Settembre 1982, introdusse per la prima volta nel codice penale la previsione  del reato di <associazione a delinquere di tipo mafioso>(art.416 bis appunto) e la conseguente previsione di misure patrimoniali, applicabili all’accumulazione illecita di capitali.

Questa innovazione legislativa ha assunto un‘importanza fondamentale nella lotta alla mafia perché mirava a colpire anche l’accumulazione di capitali illeciti e la possibilità di riciclarli attraverso investimenti nel circuito legale. Individuare, attraverso le indagini patrimoniali, i canali che consentivano alle organizzazioni criminali di reinvestire i proventi  delle attività illecite, significava ostacolare la loro capacità di consolidare redditi e potere. L’utilizzo degli strumenti ablatori previsti dall’ordinamento tendeva infatti  ad impedire alla criminalità organizzata che i beni di origine illecita entrassero nel circuito dell’economia legale.

Prima dell’entrata un vigore di questa legge, il più delle volte venivano pronunciate sentenze di assoluzione per insufficienza di prove perché la più generica  fattispecie prevista dall’art.416 c.p. (associazione a delinquere) non consentiva di individuare facilmente la condotta associativa con lo scopo appunto di realizzare attività di tipo <mafioso>. Necessitava dunque estendere la punibilità anche alle condotte, di per sé formalmente lecite o non connotate  dalla volontà  di realizzare singole fattispecie criminose, non rientranti nella previsione dell’art.416.

A distanza di quarantadue anni dall’emanazione della legge Rognoni-La Torre, questa norma, grazie anche alle modifiche introdotte nel tempo, costituisce ancora uno degli strumenti più efficaci  nella lotta alla criminalità organizzata, a riprova di come le analisi compiutamente svolte da Pio La Torre e Cesare Terranova, riportate nella relazione parlamentare di minoranza dalla Commissione Antimafia del 1976, siano ancora valide. E così i beni confiscati alle mafie <sono diventati palestre di vita> come ha affermato Papa Francesco.

In ultimo vi è da sottolineare che la collaborazione alla formulazione della 416 bis, fu prestata dall’on.Rognoni che militava nella Democrazia Cristina, a sua volta aiutato nelle notazioni più tecniche, dai magistrati in servizio presso la Procura della Repubblica di Palermo, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Il 30 aprile del 1983, alle nove del mattino Pio La Torre, insieme a Rosario Di Salvo, stava raggiungendo in auto, la sede del partito Comunista. In via Turba: fu assassinato da alcuni uomini mascherati che lo raggiunsero su moto di grossa cilindrata. Non morirà mai la sua eredità politica, sociale ed umana come pilastro della nostra democrazia.

“La lotta alla criminalità organizzata è molto difficile perchè la criminalità è organizzata, ma noi no”. (Pio La Torre).

Gianfranco Barcella


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G.F. Barcella

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