Italo Calvino nasce a Cuba nel 1923 ed all’età di tre anni si trasferisce a San Remo con i genitori. La città ligure gli cambia la vita perché lì inizia il <suo viaggio di parole>, incastonate nella Riviera dei Fiori.
di Gianfranco Barcella
Lo scrittore soggiorna a villa Meridiana, poco più in su della Salita San Pietro. Dal retro dell’abitazione comincia il suo percorso emotivo, descritto ne <La strada di San Giovanni> che portava all’orto, coltivato con passione dal padre Mario, agronomo di professione. Il percorso in salita compiuto da padre e figlio si snodava regolarmente, in silenzio. Da questo rapporto filiale nasce nel Nostro la sensazione di sfiorare sempre la vita senza afferrarla mai e trascorsa essenzialmente da essere solitario.
La Sanremo che lo accolse era una <città viva, elegante, dove venivano a svernare soprattutto i piemontesi ma c’erano anche turisti inglesi e dei Paesi del nord>. Calvino vide sorgere l’alba sanremese dopo la prima notte trascorsa fuori casa, proprio sul molo: “Arrivai al porto, il mare non luccicava, lo si sentiva solo allo sciacquio contro la viscida murata del molo e dall’antico odore di salmastro. Un’onda lenta lavorava gli scogli. Davanti alla prigione (l’ex carcere di Santa Tecla n.d.r.), camminavano le guardie carcerarie. Mi sedetti sul molo, in un punto riparato dall’aria. Davanti a me c’era la città con le sue incerte luci”.
San Remo intanto volgeva lo sguardo verso l’infinito del mare, da una piccola baia, protetta dalle montagne che la custodiscono in una tepida atmosfera che fa della <natura, armonia> come scriveva Emily Dickinson. Per scoprire i luoghi calviniani della Città dei Fiori bisogna partire da Piazza Nota, dove una lapide ricorda che lo scrittore frequentò il prestigioso liceo-ginnasio Cassini, compagno di classe di Eugenio Scalfari. (La famiglia Scalfari si trasferì in Liguria per via del lavoro del padre Pietro, nato in Calabria, eroe della Prima Guerra Mondiale, legionario a Fiume, amico di D’Annunzio, <ed avvocato dalle scarse cause> come lo definì il figlio, grande giornalista.
Le ultime testimonianze di Calvino, studente, furono di Gianni Pigati, compagno di scuola per ben otto anni del Nostro. Scrive: “ Nessuno avrebbe scommesso che sarebbe diventato un grande scrittore, visto l’andamento scolastico. Scalfari, a scuola, andava molto meglio di Calvino, il quale disegnava vignette tutto il tempo, seduto al banco, anche se con le mani non sapeva far nulla. Una volta a Limone Piemonte affondò nella neve con le gambe segaligne e toccò a me tirarlo fuori a fatica. Insomma, un tipo riservato ma curioso, poco socievole e non altezzoso, studioso ma non secchione. Al tempo era talmente distante dalla letteratura che per accontentare i genitori si iscrisse ad Agraria senza dare esami”.
“Sono figlio di scienziati– scrisse Calvino in una succinta biografia del 1960- mio padre era un agronomo, mia madre una botanica, entrambi professori universitari. Tra i miei famigliari solo studi scientifici erano un onore; un mio zio materno era un chimico, proferrore universitario, sposato ad una chimica (anzi ho avuto due zii chimici sposati a due zie chimiche), mio fratello è un geologo, professore universitario. Io sono la pecora nera, l’unico letterato della famiglia di San Remo, mia madre è sarda. Mio padre visse una ventina d’anni in Messico, direttore di stazioni sperimentali agronome, e poi a Cuba; a Cuba condusse mia madre, conosciuta attraverso uno scambio di pubblicazioni scientifiche e sposata in un fulmineo viaggio in Italia; io nacqui in un villaggio vicino all’Avana, Santiago di Las Vegas nel 1923”.
Con la nascita della Repubblica Sociale venne assunto come scritturale al Tribunale Militare di San Remo avviando pure i contatti con le organizzazioni partigiane della Resistenza. Il 15 giugno 1944 salì in montagna nella brigata alpina, comandata dal capitano Umberto, al secolo Candido Bertassi, partecipando alle battaglie di Coldirodi, il 3 settembre, e a Baiardo, tre giorni dopo.
“Arrivò sui monti– raccontò Pigati– quando la banda del capitano Umberto si stava già sfasciando. Conosceva bene il terreno perché lassù si aggirava con il padre Mario. Con altri studenti suoi amici, entrò organicamente nel sedicesimo distaccamento della IX Brigata Garibaldi, comandata da Bruno Luppi detto Erven che nel dopoguerra divenne insegnante a Savona.
Nell’estate del 1944, nella battaglia di Sella Carpe, i garibaldini persero molti combattenti e lo stesso comandante Luppi rimase gravemente ferito. I residenti furono inseguiti sui monti, durante violenti rastrellamenti da parte delle truppe neofasciste che portarono anche all’incendio dei paesi di Triora e di Molini.
Il 5 settembre Calvino partecipò alla difesa di Baiardo, combattendo con audacia e rischiando la vita. Dal primo di ottobre del 1944 entrò a far parte del Distaccamento Partigiano, comandato da Jaures Sughi detto Leone, formazione della Brigata Cittadina GAP <Guacomo Matteotti> che operava sulle colline intorno a San Remo, a sua volta comandata da Aldo Baggioli detto Cichito. Il suo apporto, visto la conoscenza dei luoghi, delle creuze e delle mulattiere della zona, fu importante. Ma proprio vicino alle terre di famiglia, il 15 di Novembre, i tedeschi rastrellarono la zona di San Romolo. Molti partigiani tentarono la fuga tra i quali Floriano Calvino, altri vennero uccisi dai Tedeschi mentre cercarono riparo sul Mote Brignone, tra o quali Aldo Baggioli, compagno di alcune missioni di Calvino nel giugno del 1944 e comandante della Brigata come ci informano Daniela Casini e Sarah Clarcke Loiacono nel volume:<Italo Calvino, il partigiano Santiago>, Fusta Editore.
Ad un certo momento, il destino del futuro scrittore fu nelle mani di Jaures Sughi che gli salvò la vita durante quel rastrellamento. I due partigiani si trovarono nel podere di San Giovanni dove il padre di Calvino aveva fatto cotruire una sorta di <grotta> dove nascondersi in caso di chiamata alle armi, <una specie di appartamento dentro una fascia di terreno con entrata cubicolare, dissimulata sotto mucchi di letame per confondere i cani dei Tedeschi che non avrebbero più potuto fiutare le orme dei “banditi”, nel quale stavano comodamente parecchie persone>. Così ha scritto Pietro Ferrua nel volume Italo Calvino di Sanremo- Famija Sanremasca.
“Calvino e altri- ha raccontato Pigati– si nascosero in una grotta per passare la notte. Al mattino Italo e Jaures si diressero verso la chiesa di San Giovanni, dove erano di casa, ma incapparono in un soldato tedesco. Alla vista del nemico, Italo tentò la fuga, arrampicandosi su un muro ma l’amico lo afferrò per i pantaloni e lo tirò giù proprio nel momento in cui il militare nazista stava prendendo la mira. Lo avrebbero colpito sicuramente, vista la poca distanza>. Così lo rinchiusero per tre giorni nel forte di Santa Tecla di San Remo, adibito a carcere sino al 1997 e utilizzato anche come deposito di munizioni dai tedeschi.
Intanto Mario Calvino per un paio di mesi a Roma, per compiere una missione, si consegnò ai Tedeschi per cercare di ottenere la sua liberazione. L’intento delle SS era quello di costringerli a svelare dove fossero nascosti i due figli, Italo e Floriano, in clandestinità, come testimoniato nel racconto: <La stessa cosa del sangue>. Nel testo <Autobiografia politica giovanile>, lo scrittore rimarca il coraggio della madre: “Non posso tralasciare di ricordare… Il posto che nell’esperienza di quei mesi ebbe mia madre, come esempio di tenacia e di coraggio in una Resistenza intensa come giustizia naturale e virtù familiare”.
Così nel 1987 Calvino ricordò agli studenti di Pesaro quel periodo: “Durante l’occupazione tedesca accadevano delle cose terribili, i genitori vengono presi al posto dei figli che non volevano andare militari e che diventavano partigiani, cosa che dava anche dei terribili problemi morali. Io ho avuto mia madre in ostaggio delle SS per un mese, mio padre per un altro paio di mesi”.
In un suo scritto degli Anni Sessanta, Calvino ricordava la durezza della lotta partigiana: “Eravamo nel lembo più periferico, detto scacchiere resistenziale italiano, privo di risorse naturali, di aiuti alleati, di guide politiche autorevoli; ma esso fu uno dei focolai di lotta più accanita e spietata per tutti i venti mesi e tra le zone che ebbero una percentuale più alta di caduti… Non posso tralasciare qui di di ricordare il posto che nell’esperienza di quei mesi ebbe mia madre, come esempio di tenacia e di coraggio in una Resistenza intesa come giustizia naturale e virtù familiare, quando esortava i due figli a partecipare alla lotta armata e nel comportarsi con dignità e fermezza di fronte alle SS ed ai militi, e nella lunga detenzione come ostaggio in una Resistenza intesa come giustizia naturale e virtù familiare, quando la brigata nera per tre volte finse di fucilare mio padre di fronte ai suoi occhi”.
Di quel periodo resistenziale e post resistenziale rimangono pure delle testimonianze scritte da Calvino sui giornali clandestini : “Il Garibaldino” e “La Nostra Lotta”, organo del P.C.I. di San Remo; poi dopo la Liberazione su “La Voce della Democrazia”, organo del CNL di San Remo e sull’edizione genovese del quotidiano : “L’Unità”.
Da queste eroiche esperienze nacque il primo romanzo di Italo Calvino dal titolo: “Il sentiero dei nidi di ragno” .L’autore ha affermato in proposito: “ Questo romanzo è il primo che ho scritto; quasi posso dire la prima cosa che ho scritto, se si eccettuano i primi racconti. Che impressione mi fa, a riprenderlo in mano adesso? Più che come un’opera mia lo leggo come un libro nato anonimamente dal clima generale di un’epoca, da una tensione morale, da un gusto letterario che era quello in cui la nostra generazione si riconosceva, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Al tempo in cui l’ho scritto, creare una <Letteratura della Resistenza> si poneva come un imperativo… Ogni volta che si è stati testimoni o attori d’un’epoca storica ci si sente presi da una responsabilità speciale…A me, questa responsabilità finiva per farmi sentire il tema come troppo impegnativo e solenne per le mie forze. E allora, proprio per non lasciarmi mettere in soggezione dal tema, decisi che l’avrei affrontato non di petto ma di scorcio. Tutto doveva essere visto dagli occhi d’un bambino, in un ambiente di monelli e vagabondi, inventai una storia che restasse in margine alla guerra partigiana, ai suoi eroismi e sacrifici, ma nello stesso tempo ne rendesse il colore, l’aspro sapore, il ritmo…”
Leggendo l’opera integrale di Calvino si dipana meravigliosamente come un filo magico, la trama del racconto che arricchisce l’animo nella povertà del quotidiano. Si aprono le porte di un mondo meraviglioso che ci rende persone più partecipi e consapevoli di quella infinita parte a noi mancante. A volte non è facile il salto del fosso che divide il lettore dallo scrittore, ma ci si sente, come per incanto punto cardine, mai causuale del suo divenire intellettuale. Le opere ormai classiche del Nostro ci invitano a tuffarci nella loro lettura, per entrare in un universo immaginario, frutto di grande cultura umana. Ci invitano ad immaginare storie inesistenti e mai scritte anche se non è per nulla facile saltare il fosso che divide il lettore dallo scrittore, potenziando al massimo l’immaginazione.
L’attitudine razionale, la predizione per il secolo dell’Illuminismo e l’interesse per le discipline scientifiche interagiscono con il gusto per l’evasione nel fiabesco e nel fantascientifico. La meditazione avviene con un atteggiamento di distacco dalla situazione e dai personaggi descritti, con risultati del tutto originali nel panorama della tradizione italiana, per la garbata ironia e per l’originale intreccio tra allegoria e satira.
La razionalità si esprime anche nel modo di scrivere di Calvino, nella ricerca di una essenzialità che non preclude l’abbandono alle divagazioni della fantasia. Semplicità espressiva e continuità stilistica caratterizzano la sua opera, pur in una varietà di temi che vanno dalla rappresentazione della realtà fino alle sperimentazioni combinatorie.
Nota peculiare della sua poetica è stata però la volontà di indagare le contraddizioni della società contemporanea, mirando sempre a trovare risposte razionali alla negatività del presente e cercando di acclarare la compresenza nell’individuo di bene (giustizia, uguaglianza, amore) e di male (violenza, ingiustizia,odio. La spinta ottimistica verso la vita e la fiducia nella capacità razionale dell’uomo di dominare il reale e di modificarlo, presenti nel primo libro di Calvino danno vita ad una ricerca sulla condizione umana, ad un interrogarsi sulla realtà sfuggente e labirintica. La poetica di Calvino dunque ed il suo pensiero seguono l’evoluzione della sua ricerca letteraria, passando dal Realismo alla Sperimentazione.
“Per avere rapporti genuini, costruttivi con gli altri è necessario diventare individui. Si diviene individui, approfondendo la conoscenza di sé e mantenendosi fedeli alle proprie regole interne, al proprio codice personale di valori, al proprio stile. Bisogna lasciare che la propria singolarità emerga, anche a costo di apparire degli eccentrici. E’ questa la via per sfuggire al conformismo dilagante, alla massificazione, alla accettazione di modelli di comportamento predefiniti”. (Italo Calvino- Il Barone Rampante, 1957). “Se alzi un muro pensa a chi resta fuori” (I.Calvino).
Gianfranco Barcella