Dopo il fallimento, nuove proprietà e un declino contino fino alla definitiva chiusura del 1993.
di Ezio Marinoni
Abbiamo ripercorso la storia di questa grande fabbrica savonese, in tre precedenti puntate, su Trucioli.it (1). Nel clima generale di instabilità di fine Ottocento, contraddistinto anche dai primi scioperi operai, si verifica il fallimento di alcune banche. Fra queste, nel 1890, a Torino, viene posta in liquidazione la Banca Subalpina, azionista della Tardy e Benech, con inevitabili ripercussioni sull’andamento societario della grande azienda savonese.
A Savona stessa, affondano la Banca Ponzone – Astengo (2) , di cui la Tardy e Benech è la maggior creditrice per la cifra di 430.735 lire dell’epoca. A seguito del fallimento della banca, Angelo Ponzone si dimette dalla carica di Presidente della Società Anonima Metallurgica Tardy e Benech (gli subentrerà Giovanni Brombini). L’anno successivo anche la banca Forzani – Giusti (3) fallisce, ulteriore segnale negativo per l’economia savonese.
Alla fine di giugno del 1891 “Il Secolo XIX” pubblica un articolo in cui si sostiene che la Tardy e Benech e la Banca Mutua Popolare sono in difficoltà. Inevitabili le smentite ufficiali, ma la realtà è un’altra, l’articolo ha colpito nel segno.
La Tardy e Benech alterna periodi in cui licenzia una parte dei dipendenti, salvo riassumerli in base all’andamento degli ordinativi e del prevedibile lavoro, in assenza di qualunque tutela giuridica e contrattuale, oltre che di ammortizzatori sociali. La situazione di crisi economica aziendale induce, quindi, il Consiglio d’Amministrazione della società a chiedere al Tribunale di Savona una moratoria per la sospensione dei pagamenti in corso. Viene concessa alla Società Anonima Metallurgica Tardy e Benech una moratoria di sei mesi, nominando curatore provvisorio il ragioniere David Viale di Genova. In conseguenza, i pagamenti sono sospesi e il personale ridotto a poco più di 700 addetti, che nel dicembre 1891 vengono licenziati in blocco.
Scrive Marcello Penner nella sua opera già citata in precedenza (4): «La grande fabbrica era giunta alla fine della sua grande attività, dai 250 dipendenti dei primi anni arrivò ad occuparne 1800 nel suo ultimo anno di esercizio. I suoi impianti insistevano su una superficie totale di 77.435 metri quadrati, 19 volte più grande del vecchio impianto originario sorto sulla spianata del molo.
Gli impianti comprendevano l’acciaieria, i laminatoi, le officine meccaniche, un impianto per la fabbricazione degli assi montati per veicoli ferroviari, un reparto torneria, una stazione di pompaggio, novemila metri di binari, vagonetti, locomotive di servizio per il trasporto dei materiali, nonché magazzini e uffici.
La sua produzione comprendeva commesse di lavoro ad aziende presenti dal nord Italia al mezzogiorno, come la Società Italiana delle Ferrovie Secondarie Sarde, la ferrovia di Reggio Emilia, l’Impresa Industriale Italiana di Napoli, la Ferrovia Sicula Occidentale, Società Nazionale Officine di Savigliano, nonché il Ministero della Marina.»
Per l’azienda si apre un periodo difficile periodo, fra moratorie e recuperi creditizi. L’unica possibilità sembra la cessione dello stabilimento ad una società in grado di riavviarlo e conservarne l’utilizzo. Si cercano soci e alleati nel settore della metallurgia e della siderurgia, anche oltre i confini nazionali.
Riprendiamo ancora il fondamentale testo di Marcello Penner: «Intanto, Giuseppe Tardy ad ottobre avvia una trattativa con il grande gruppo belga la Societè Cockerille. La Società belga propose di entrare in compartecipazione e secondo il giornale tedesco Frankfurter Zeitung, pagherebbe i 4 milioni di franchi per i debiti più urgenti e ne verserebbe 1,5 milioni per l’esercizio dell’impresa.
il probabile accordo con la società belga non arriva, si apre allora una trattativa con la Società degli Alti Forni, Fonderie ed Acciaierie di Terni, su proposta del Liquidatore David Viale per un concordato in cui i creditori rinunciano ad ogni maggior loro diritto e credito verso la Società Tardy e Benech mediante il pagamento del 35 % sui loro rispettivi crediti riconosciuti, il quale permetterebbe la cessione dello stabilimento per 9 milioni di lire alla ditta di Terni. Le trattative del concordato vengono avviate e coadiuvate dalla banca svizzera Zurcher Bankverein di Zurigo la quale assumeva il ruolo di intermediario tra i creditori e la Società degli Alti Forni, Fonderie ed Acciaierie di Terni.
L’assemblea del 28 dicembre 1891 approvava la cessione dello stabili-mento per il capitale di nove milioni e la messa in liquidazione della società. Nell’operazione viene chiamato in causa il comune di Savona a cui si richiede di cedere al 50% le obbligazioni avute per l’acquisto della piazza d’Armi.»
Purtroppo, varie ed ulteriori problematiche insorte portano alla rottura delle trattative, il 29 gennaio 1892; in conseguenza di ciò, il Consiglio di Amministrazione della Tardy e Benech si vede costretto a deliberare il fallimento. Il 1° febbraio del 1892 il Tribunale di Savona ratifica questa deliberazione con emissione di sentenza di fallimento; viene dichiarata fallita la Società Anonima Metallurgica Tardy e Benech.
La sua fine è un vero disastro per la città di Savona, che già si trova avvolta nelle spire di una seria crisi economica; i 1.800 dipendenti dello stabilimento vedono cancellare la unica fonte di reddito per sé e per le loro famiglie.
Si può stimare, con qualche approssimazione, che gli operai e le famiglie ammontassero a circa 6.400 persone, che dipendevano direttamente dalla grande fabbrica fallita, su una popolazione savonese di poco più di 35.000 abitanti.
Che cosa succede, in seguito? Si verifica una strana ironia della sorte o qualcosa di peggio? Lo stabilimento savonese viene acquistato dalla stessa società Terni, che aveva rinunciato fra vari cavilli e diatribe, per quattro milioni di lire (cifra molto inferiore alla precedente ipotesi di acquisto, che prevedeva l’esborso di nove milioni!), che lo riaprirà verso la fine del 1892, con l’assunzione di seicento dipendenti della vecchia Tardy e Benech. L’attività prosegue negli anni successivi, con periodi di crisi economiche ed industriali che comporteranno altri cambiamenti della ragione sociale e una continua metamorfosi della produzione (non è questa la sede per proseguire nella sua storia industriale, se non sommariamente).
Nel 1900 l’impianto è rilevato dalla Siderurgica Savonese; nel 1918, insieme ad altre aziende, andrà a costituire il grande gruppo siderurgico statale ILVA, che nel 1961 diventerà Italsider; nel1990 lo stabilimento viene messo in liquidazione dalla Nuova ILVA e passerà ad un gruppo di imprenditori privati costituiti sotto la società OMSAV (Officine Meccaniche Savonesi)
Nel maggio del 1993, infine, scesa a meno di 300 dipendenti, l’azienda cesserà definitivamente la sua attività.
Ezio Marinoni
Note-
1.Questo è l’ultimo di quattro articoli che intendono raccontare la grande storia della Tardy e Benech a Savona. I tre precedenti, sottoelencati, sono apparsi il 18 gennaio, il 25 gennaio e il 7 marzo 2024:
- Il Banco Nicoletta Astengo & figli è attivo nei decenni postunitari a Savona. Nel 1871 il Banco si fa promotore, assieme ad alcuni altri banchieri privati (i fratelli Forzani, i fratelli Ponzone, Luigi Astengo) della costituzione della Banca di Savona, una società anonima che si inserisce in quel fenomeno di grande sviluppo bancario avvenuto nei primi anni Settanta in Liguria. Negli stessi anni il Banco opera per conto della Cassa di Risparmio di Savona, la quale – constatato che l’investimento in buoni del Tesoro è poco conveniente in quel momento – utilizza gran parte dei propri capitali in sconti di pagherò proprio tramite Banco Nicoletta Astengo & figli.
- Il Banco Fratelli Forzani, assieme al Banco Giusti e al Banco Ponzone & Astengo, appartiene a un ristretto gruppo di banchieri-cambisti ubicati nell’area di via degli Orefici/piazza delle Erbe a Savona, luogo storico dell’attività creditizia nella città. Negli anni Ottanta, il Banco Fratelli Forzani svolge un ruolo importante nell’economia savonese, in supporto alle attività industriali e al commercio, ben più della Banca di Savona, della Banca Marittima di Savona e della Cassa di Risparmio di Savona. La congiuntura di crisi che investe l’economia di Savona nei primi Anni Novanta dell’Ottocento colpisce anche il Banco Fratelli Forzani che, nel gennaio 1891, sospende i pagamenti e subito dopo viene dichiarato fallito, trascinando in un vortice di fallimenti molte imprese della città, che nel giro di poco tempo avrebbe “bruciato” circa 15.000.000 di lire. Nello specifico il Banco Fratelli Forzani (come peraltro il Banco Giusti) viene trascinato nel fallimento della ditta Carlo Isasca, produttrice di cremore tartaro e colle, che aveva investito ingenti capitali in Argentina ed era stata colpita irreparabilmente dal disastro finanziario di quel Paese. Il Banco Fratelli Forzani e il Banco Giusti avevano fatto credito alla ditta Isasca per circa 1.800.000 lire ed erano impegnati con ingenti crediti anche nei confronti di un’altra impresa fallita nello stesso periodo, la Cartiera F. Coma & C. di Dolceacqua.
4.Marcello Penner – Dall’usina Tardy al grande stabilimento Tardy e Benech (1860-1892) – Società Savonese di Storia Patria – Atti e Memorie – Nuova Serie – Vol. XLIII – 2007.