Nel mondo odierno, anche italiano, accadono molti fatti che devono essere interpretati in un’ottica nuova, non per vezzo intellettuale, ma per concreta realtà odierna.
di Sergio Bevilacqua
C’è ad esempio un gran battage da più parti sul concetto di “pensiero unico” o di approccio “woke” nell’accezione in voga nella comunicazione. Spesso l’accenno al pensiero unico è fuorviante. Non c’è, nel mondo della comunicazione odierno, alcuna strategia filosofica a sé stante, se non surrettizia: essa può avvenire per scopi di sostegno a una sovraordinata strategia economica, in mano ai grandi gruppi economici industriali, di servizi e finanziari globali, o a supporto di altri interessi strategici, con base però sempre economica, come ad esempio quelli di Paesi anche potenti, ad economia non globale ma locale, quali i Paesi primari e le annesse forze economiche non industriali. La strategia che guida, palese o recondita, è dunque stringentemente economico-finanziaria.
I fatti che stanno ad esempio accadendo nella Striscia di Gaza, riportati dai mass-media, e i relativi fenomeni dolorosi, non sono che l’espressione degli effetti di un sostegno a una coattiva strategia di pace (benefica, in extremis, ma forse ingiusta) da parte delle grandi aziende globali, esterne e sovraordinate a quel risiko geopolitico che riempie la bocca a tanti vetusti commentatori statalisti e neo-napoleonici. Per la prima volta nella storia recente (gli ultimi due secoli di sicuro) i potentati economico-finanziari, già oggigiorno mondiali, non vogliono la guerra grande, non vogliono conflitti di ampia dimensione, e agiscono come al solito in modo pragmatico, senza remore filosofiche, morali o umanitarie, se non quelle che sostengono il superiore valore dell’economia. Per quanto riguarda lo Stato d’Israele, esso ne è primissima espressione (molti gruppi finanziari globali sono collegati sociologicamente allo Stato ebraico) e saprà, come sempre acutamente, evitare il rischio di conflitto sopra le righe dettato dalla strategia economica globale. Sono invece gli altri ad essere oggi il vero pericolo per l’umanità, perché ragionano in termini ideologici e anticamente geo-politici.
Anche la valutazione e i problemi di eteronomia della politichetta italiana sono espressione di questo nuovo ruolo dei potentati economici globali, che sovrastano l’elemento geo-politico. La domanda è semplice: quanto questo governuccio (non molto dissimile dai precedenti…) garantisce gl’interessi del Gotha Globale di economia e finanza? Visto dall’esterno, cioè dalle logiche stringenti e particolarmente intelligenti dei Grandi Gruppi Globali (che hanno organi per tale intelligenza, assenti nei partiti, italiani in particolare, e molto meno efficienti oggi negli Stati), il livello di affidabilità globale del governo Meloni è in questo preciso momento medio, oscillante forse verso il basso. Era basso tendente al bassissimo nei governicchi pre-Draghi ed era invece piuttosto alto nel governo Draghi. Ora, le tensioni che vedono i cani della sinistra abbaiare sempre più forte, come altrimenti i cani della destra, sono da vedere in questa luce (oltreché in quella volgarissima preelettorale).
Non filosofia o ideologia, ma schietto opportunismo dei poteri supremi (gotha economico-finanziario globale) che tramite Stati e organismi internazionali o semplici interventi di sostegno finanziario nemmeno tanto recondito, spingono per i loro interessi. Che sono certamente di pace mondiale, al netto di conflitti locali controllabili, e più vicini agli interessi dell’umanità tutta. Certo che senza sana politica e avveduta (sic…) l’importantissimo ruolo di “Tribuno della plebe” che gli Stati avrebbero oggi, tarda a realizzarsi, e questo comporta un rischio di arbitrio da parte dei GGG (Grandi Gruppi Globali) che però è molto meno pericoloso, dato il diverso livello d’intelligenza tecnica e di concreta partecipazione di Molti alle decisioni strategiche in tempi e modi, dell’arbitrio delle ebeti costruzioni politiche statali rispetto all’andamento antropologico odierno.
Non è di sicuro il “migliore dei mondi possibili” (Liebniz), ma questo concetto stesso è superato dal concreto pragmatismo del benessere per le vie economico-finanziarie, di cui sono dimostrazione l’antropocene (moltiplicazione dell’umanità), il nuovo ruolo della donna nell’Umanità (ginecoforia), la grande mediatizzazione, la olistica integrazione dell’economia in benessere e habitat, e anche il versante “buono” del Transumanesimo.
Panta rei, dunque: le ipotesi puramente teoriche o filosofiche non sono appropriate al casus (belli…). Il mondo va visto partendo da domani in poi, perché siamo in un’era macro-rivoluzionaria, caratterizzata da numerosi fenomeni stranianti di cui cinque emergono prepotentemente:
- Globalizzazione e affioramento di un potere globale-olistico mai esistito, interpretato non da Stati ma da GGG (Grandi Gruppi Globali)
- Antropocene e società di Grande Massa: 8 miliardi di individui e almeno 40 miliardi di umani consorzi (società di molti tipi)
- Ipermediatizzazione (diverse decine di miliardi di terminali interconnessi)
- Emersione della Donna e dell’Eterno Femminino (Ginecoforia)
- Transumanesimo (dalle protesi, alla Intelligenza Artificiale, all’ingegnere genetica).
In questa situazione, la Storia stessa ci dice magistralmente di non essere magistra vitae. Quindi i raffronti col passato anche fantasiosi sono metodologicamente fuorvianti.
È invece chiarissimo alla luce di 1-5 quanto sia sintonizzata la operazione israeliana e invece quanto sia terroristica, oscurantista, provocatoria e spericolata la guerra scatenata da Hamas.
Dopodiché, “malgré nous, a la guerre comme a la guerre”…
Vedrete che Israele si fermerà appena avrà tratto tutti i vantaggi dall’idiozia di Hamas di attaccare chi è molto più forte di lui, “per principio” secondo l’ottuso medievalismo del pensiero islamico, che Allah è grande, e di chi, meno medievale (…), cerca astuti elementi per portare avanti la sua strategia opportunistica di conflitto con l’Occidente, che in realtà è poi con l’intera economia secondaria.
La guerra è vera nefandezza. Per cui non va attivata. Soprattutto per fare poi “le vittime” nel doppio senso (morale e fisico) del termine. Beninteso, io son per la Pace, proprio per motivi antropologici. Non posso però esimermi dall’analizzare in termini sociologici (cioè tramite la scienza dei sistemi aperti, applicata ai casi di cui sono esperto, quelli sociologici) i fatti che accadono. La “guerra” non è il confronto aspro o il terrorismo (che è una forma gravissima di volgare delinquenza). La guerra è un fenomeno che prevede la cessazione dell’uso dell’intelligenza del fenomeno e la conseguente dialettica nella gestione del caso di attrito, per passare all’uso della forza e quindi dell’affermazione di una posizione senza più discussione civile. Anche se, comunque, non è tutto bianco o nero, il fatto bellico è qualificato in termini sociologici e giuridici, ed è quindi unanimemente riconosciuto e riconoscibile.
Una volta scattato il fatto bellico (Hamas, Russia in Ucraina, ma anche USA in Iraq, ecc. ecc.), le sue logiche sono diverse e attengono appunto a uno stato specifico, quello di guerra, che non prevede, se non “in separata sede” (negoziati) la ripresa della dialettica non basata sull’uso della forza, ma che include oramai le implicazioni della commisurazione di “forza” propria della logica di guerra. Ciò che precede la guerra non è più significativo in tempo di guerra. Verrà semmai riconsiderato dopo (processo di Norimberga, caso Iraq, 7 ottobre, attacco all’Ucraina, ecc. ecc.), ad esempio se fossero davvero esistite le condizioni per fare la guerra. Poi ci potranno essere processi su come è stata condotta la guerra, perché esiste un diritto internazionale anche su quanto accade in guerra. Ma è illusorio proceduralmente che tale dibattito avvenga durante la guerra con la dovuta efficienza. Purtroppo, il senso ultimo è a la guerre comme a la guerre.
E chi sbaglia a farla, paga con il conto più caro: il sangue dei suoi.
Sergio Bevilacqua