Trucioli

Liguria e Basso Piemonte

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L’Italia ostaggio dei cantieri: grande la confusione sotto il cielo. E in Liguria?


L’Italia è un cantiere a cielo aperto. Questo almeno stando alle interruzioni per lavori che si susseguono da un capo all’altro dello Stivale e di cui ormai si è perso il conto. Ma di operai in attività se ne vedono pochi.

di Massimo Ferrari*

A Milano, per il cambio dei binari del tram, via Ponte Seveso, di fianco alla stazione Centrale, è rimasta chiusa per due mesi. E da settimane la stessa sorte tocca a viale Lancetti e via Imbriani: tuttalpiù capita di incontrare una squadretta di due o tre persone, più spesso gli attrezzi da lavoro giacciono abbandonati per giorni interi per la gioia degli automobilisti che ne approfittano per parcheggiare abusivamente sulla sede riservata. Ma anche chi si sposta con la propria vettura ha poco da stare allegro.

In Liguria la galleria Madonna della Guardia, sulla strada statale 523 resterà chiusa tutte le notti fino al 15 gennaio 2025: molte sagre estive nell’entroterra  rischiano di essere annullate. E sono solo un paio di esempi delle centinaia di disagi che martellano le città e le province d’Italia. Senza citare le buche ormai presenti ovunque e non solo nella capitale.

E’ bastata una forte perturbazione nei giorni che hanno accompagnato la Pasqua per determinare smottamenti sull’intero arco alpino. Alcune tra le più belle ferrovie di interesse turistico sono rimaste interrotte a seguito di frane o cedimenti di terreno, dalla Vigezzina al Trenino Rosso del Bernina, per non parlare della sfortunatissima Brescia – Edolo, riaperta da pochi giorni e subito nuovamente interrotta nella parte terminale. O del valico di Tenda, tra Liguria e Piemonte, dove la strada funziona a intermittenza e la ferrovia, in compenso, è adesso bloccata dalla parti di Vievola. In territorio francese. Quando sarà ripristinata? Non si sa. Negli stessi giorni l’isola di Taiwan è stata scossa da un terremoto di magnitudo eccezionale (7,4), ma i treni hanno ripreso a circolare nel giro di poche ore. Si vede che in Oriente il traffico su rotaia conta davvero.

Non a parole, come capita dalle nostre parti. La conversione del trasporto merci sulla ferrovia, tanto sbandierata negli intenti dei vari governi succedutisi nel corso degli anni, sembra compromessa. Il traffico interno è ben poca cosa; quello internazionale, su cui contavano gli spedizionieri d’oltralpe, è mortificato dall’interruzione della linea del Fréjus in Francia, che si protrarrà per oltre un anno, oltre che dalla chiusura per ben tre mesi la prossima estate della tratta tra Arona e Verbania, essenziale porta d’accesso alla Svizzera. Ma dove i valichi ancora funzionano, come nel caso del Brennero, appena gli austriaci cercano di far rispettare le restrizioni al traffico pesante sull’autostrada, il governo italiano insorge e chiede all’Europa di sanzionare Vienna.

Se la partita delle merci è persa, i cantieri che aprono lungo le linee principali, rischiano di provocare disaffezione anche ai viaggiatori, che pure negli ultimi anni hanno riscoperto il treno.

La linea Adriatica resterà chiusa per ben dieci giorni tra San Vito, in Abruzzo e San Severo, in Puglia. Non esistendo praticamente itinerari alternativi, si pensa di ovviare con bus sostitutivi che, come al solito, arrancheranno sulla viabilità ordinaria e si perderanno per raggiungere le stazioni (è già successo a Caserta!).

Il motivo, qui come altrove, è l’introduzione dell’ERTMS, un acronimo complicato riferito ad un sistema di gestione, controllo e protezione del traffico che dovrebbe accrescere la sicurezza ed aumentare la portata delle linee. Perché non viene istallato in pendenza di esercizio o, almeno, nelle ore notturne? Mistero. A qualche parlamentare che si è lamentato per il blocco prolungato della linea del Sempione per tutta l’estate, RFI ha risposto come questi lavori possono essere effettuati solo col caldo, manco si trattasse del nostro imbianchino che deve pitturarci la terrazza di casa. In realtà l’incompetenza della classe politica è tale che i funzionari preposti possono accampare qualsiasi pretesto, sicuri di non essere contraddetti.

E meno male che i tecnici ancora ci sono! RFI ed ANAS (che fa parte del gruppo Ferrovie dello Stato) gestiscono la maggior parte dei lavori che dovrebbero sovrintendere all’ammodernamento del sistema infrastrutturale italiano, dal completamento dell’Alta Velocità tra Milano e Venezia e tra Napoli e Bari, dall’allacciamento con gli aeroporti al fatidico Ponte sullo Stretto. Si tratta di qualcosa come 40 miliardi di euro in tre anni: una cifra colossale!

Sono consapevoli che tutti questi interventi, se mal gestiti, rischiano di far collassare definitivamente il Paese? Si, lo sono. Ma preferiscono lavorare sottotraccia in silenzio. Una capillare campagna di informazione rischierebbe di diffondere il panico sulla tenuta dei conti pubblici. E, se si chiude il rubinetto dei  finanziamenti, si può fermare tutto a metà strada: è già accaduto varie volte in passato. E poi c’è il rischio di accendere gli appetiti della politica nazionale e locale. E’ bastato far trapelare l’intenzione di procedere nell’ammodernamento della linea costiera tirrenica per portare l’Alta Velocità in Calabria – ovvero l’unica scelta compatibile con le finanze e la salvaguardia dell’ambiente – per provocare la levata di scudi di sindaci e parlamentari cosentini che vorrebbero veder passare i binari in mezzo alle montagne della Sila.

Mentre sulla questione del Ponte  sullo Stretto continuano a contrapporsi posizioni ideologiche astratte da ogni valutazione della realtà. Da un lato si minimizzano le difficoltà di costruire una struttura a campata unica di un’ampiezza senza precedenti, mentre la soluzione (per altro, non semplice) con piloni intermedi ha incontrato una spaventosa obiezione nel recente disastro di Baltimora. Dall’altra parte si insiste su argomenti capziosi, come l’arretratezza della rete viaria e ferroviaria siciliana, sulle quali comunque si sta lavorando (e spendendo non poco) e che troverebbe semmai una forte spinta dalla realizzazione della continuità territoriale verso la più grande isola del Mediterraneo.

Intanto, non si interviene sulle altre cause che perturbano notevolmente il traffico, come il diffuso numero di suicidi (il cui numero effettivo viene di fatto secretato, ma pare ammonti a quasi un caso ogni giorno), sul cui effetto tragicamente imitativo c’è poco da fare, ma su cui si potrebbero almeno velocizzare le procedure di ritorno alla normalità, in presenza di tante telecamere che rendono quasi sempre superfluo il sopralluogo di un magistrato. Cosa, invece, sempre contemplata dai protocolli. Per non parlare della forte ripresa della conflittualità sindacale, giustificata certamente dalle massicce esternalizzazioni, dall’aggravio dei turni di lavoro, dai salari taglieggiati dall’inflazione, ma motivata anche da spinte corporative più difficilmente giustificabili.

E neppure si fa qualcosa per agevolare i turisti, per esempio, istallando nelle stazioni collocate in borghi ad alta valenza artistica o paesaggistica armadietti automatici per riporre i bagagli che potrebbero essere controllati da remoto a mezzo telecamere. E provate voi a visitare Camogli o Lucca, tra un treno e l’altro, portandosi appresso un trolley o uno zaino in spalla. Semmai si preferisce disincentivare gli escursionisti “mordi e fuggi”, con l’aumento del prezzo dei biglietti, come nelle Cinque Terre, dimenticando che spesso le strutture ricettive locali sono insufficienti a soddisfare la domanda di pernottamenti nei fine settimana più gettonati.

Dopo aver puntato tutto sull’Alta Velocità, ossia sui treni in grado di “stare sul mercato” senza sovvenzioni pubbliche, capita che la rete dei collegamenti aerei – gestiti da compagnie che certamente non disdegnano contributi per atterrare in scali minori – in certi casi diventi più capillare di quella offerta dal treno. E allora si vorrebbero rilanciare gli Intercity, oggetto del “servizio universale” concordato col Governo, ma poi ci si accorge che mancano carrozze adeguate, come accade, del resto, per i treni notturni di nuova generazione. Ci si lancia alla conquista dei mercati esteri, esportando i Frecciarossa  in Francia e in Spagna, ma si ostacola la timida candidatura di un imprenditore italiano, partner di una compagnia iberica, a riaprire al traffico alcune ferrovie locali in Piemonte. Come a dire: noi abbiamo chiuso quelle linee, perché le riteniamo del tutto deficitarie, ma non tolleriamo che altri provino ad offrire il servizio, magari dimostrando che una gestione meno onerosa è possibile. Parafrasando la celebre frase di Mao Zedong, “grande è la confusione sotto il cielo della Penisola” (si riferiva al caos della società cinese). Ma la situazione in Italia è tutt’altro che eccellente.

*Massimo Ferrari – Presidente Utp/Assoutenti


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M. Ferrari

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